Andy Warhol, idolo che ha generato idoli, nato a Pittsburhg nel 1928 da una religiosissima famiglia slovacca, grafico pubblicitario che ha rivoluzionato i secondi quarant’anni del Novecento sperimentando, oltre alla serigrafia, la fotografia, il video, il giornalismo con Interview, la musica con i Velvet Underground e poi il cinema, la perfomance, il teatro, la tv: non è facile parlare ancora del padre della Pop Art, di cui è stato detto e visto tutto, o contenerne la complessità e la profondità di pensiero, perché paradossalmente la “superficialità” della Pop Art nasconde il volto di una società che si sarebbe sempre più ammalata di comunicazione e fama mediatica.
Milano, nell’ambito dell’Anno della cultura Italiana in America, rende omaggio a Andy Warhol con una sorprendente mostra dal titolo lapidario: Warhol, raccontato attraverso centosessanta opere di proprietà del collezionista, e mecenate Peter Brant.
Il magnate americano si appassionò dal 1966 alle opere di Warhol, diametralmente opposte a quelle di Pollock e degli altri esponenti dell’Espressionismo astratto. Uniche perché hanno avvicinavano il grande pubblico all’arte contemporanea: tra le citazioni più popolari della filosofia di Warhol, si ricorda una frase emblematica del suo modo di democratizzare l’arte:
Non ti preoccupare, non c’è niente che riguarda l’arte che uno non possa capire
Warhol e la cultura consumistica americana, nella quale il mito della Pop Art ha vissuto, sono una cosa sola: nell’epoca della riproducibilità industriale degli oggetti che incarnano sogni, trasformati in culto dalla pubblicità, la serialità prende il sopravvento sull’unicità. Lo strumento per eccellenza dell’impersonale tecnicismo, della riproducibilità di un oggetto di consumo, di un volto baciato dalla fama, per Warhol è la serigrafia, un processo di stampa seriale che “democratizza” l’arte.
Al primo piano di Palazzo Reale non perdetevi Blue Shot Marylin, l’immortale Monroe dai toni fluo, “colpita con arma da fuoco” nel 1964 da Dorothy Podber, una sedicente artista che frequentava la Factory, che sparò sull’immagine della star americana: a Warhol piacque l’effetto estetico di quell’ombra in mezzo alla fronte e così la riprodusse.
La mostra, prodotta dall’Assessorato alla Cultura del Comune di Milano insieme a Palazzo Reale, 24 ORE Cultura-Gruppo 24 e Arthemisia, espone per la prima volta la collezione di Peter Brant, curatore insieme a Francesco Bonami di una esposizione unica che comprende una raccolta custodita nella Fondazione Peter Brant, che racconta trent’anni di ricerca artistica di Andy Warhol: foto, disegni, dipinti, installazioni e una carrellata di imperdibili polaroid. All’ingresso della mostra vi accoglie la musica del disco d’esordio dei Velvet Underground, per la cui copertina Warhol disegnò la banana più famosa del mondo.
La mostra si apre con la prima sala dedicata agli esordi con opere degli anni Cinquanta, quando Warhol per mantenersi a NewYork faceva l’illustratore per riviste di moda. A seguire le altre sezioni , che raccolgono le opere degli anni Sessanta, Settanta e Ottanta, mentre Last Supper (1986), esposta a Milano nel 1987 in occasione della sua mostra personale, inaugurata 20 giorni prima della scomparsa di Andy Warhol, chiude il percorso espositivo.
In mostra sorprendono le illustrazioni pubblicitarie, dal tratto delicato e insieme ingenuo, dal colore vivacissimo, spiccano celebri bozzetti di scarpe glamour dal tacco vertiginoso pubblicati sul New York Times, premiati dal Thirty Fifth Annual Art Director’s Club Award. In mostra si possono vedere anche un ritratto a penna di James Dean e altre opere poco conosciute degli esordi, mentre non sono una novità le sue Marylin, Liz Taylor, Jackie, i Disasters, esposti nella galleria Sonnabend di Parigi, le sedie elettriche, i Flowers, presentati nella galleria Castelli, i Dollar Bills, le Campbell’s e le Brillo Boxes, Monna Lisa, Elvis riprodotti in serie (anni Sessanta), i Mao Zedong, Ladies and Gentleman, gli Skulls, gli Oxidation Paintings, Shodows, i Dollar Signs (anni Settanta) e i Basquiat, i Rorschach, i Camouflages, in cui sovrappone alle immagini pattern mimetico militare (anni Ottanta ).
Merita uno sguardo la serie di autoritratti dell’artista formato tessera, mentre inquieta l’autoritratto rosso su nero istrionico, del 1986. Warhol, pittore freddo, seriale, meccanico, che arrivò a produrre cento opere all’anno, si rispecchia nella società dello spettacolo e lo testimonia l’imperdibile sezione dedicata ai ritratti polaroid scattati tra gli anni Settanta e Ottanta di personaggi famosi di ogni genere, frequentatori della Factory e nello Studio 54 di New York: una sorta di facebook delle celebrità, tra cui Mick Jagger, Jimmy Carter, Joan Collins, Rudolf Nureyev, Diana Vreeland, Leo Castelli, Yves Saint-Laurent, Liza Minnelli, Truman Capote. Tra gli altri vip troverete autoritratti dell’artista con parrucca da donna, e Peter Brant, che conobbe Warhol nei prima anni Settanta, dopo aver già acquistato diverse opere, immortalato in una serie di scatti a raffica, sorridente, col sigaro tra i denti e il cappello da cow-boy calato sugli occhi: immagini flash di un’amicizia che li condusse all’avventura editoriale di Interview e successivamente a produrre insieme due film, L’Amour (1973) e Bad (1976).
Nel 1968 Warhol fu vittima dell’attentato di Valerie Solanas, femminista esaltata che gli sparò nel suo studio, e in seguito a questo incidente l’artista smise di produrre opere. Poi, grazie alle insistenze di Brant e di Leo Castelli, riprese a firmare le sue serigrafie: volti dei personaggi affidati alle stampe nei colori elettrici delle tirature industriali. All’apice della sua carriera, negli anni Ottanta, produsse l’infilata di teschi multicolori, immagini che rappresentano la caducità della vita, come le icone delle Marylin o delle altre star che vivono nell’eterno presente delle immagini.

Warhol
Palazzo Reale, Milano
www.warholmilano.it
1 Comment
Le mani di Gesù dipinte da Leonardo nel Cenacolo, uniche nel dipinto, una con la palma verso il basso e l’altra verso l’altro indicano che Gesù era ambidestro come naturalmente era Leonardo e in parte Michelangelo Buonarroti? Non a caso Andy Warhol, genio anche lui, riprodusse, oltre il Cenacolo, serialmente la Gioconda e Marilyn che richiamano lo stesso volto archetipo. Cfr. ebook (amazon) di Ravecca Massimo: Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo. Grazie.