Ascolto il tuo cuore, città, scriveva il grande Alberto Savinio, pittore, scrittore, musicista (e non il-fratello-di).
La città ha ispirato gli artisti soprattutto a partire dal rovesciamento di prospettiva nella valutazione di un quadro (una volta le raffigurazioni “di genere” erano giudicate minori rispetto alla scene religiose o storiche) e dal’incipiente progresso della tecnica che portò rovesciamenti di prospettiva più generali (si pensi alla rivoluzione industriale e al conseguente sviluppo cittadino), basti pensare, in riferimento alla contemporaneità, ai paesaggi urbani di Sironi o alle vedute dinamiche di Boccioni.
La città non è solo un corpo sociale, ma è anche, come dire, un organismo “vivente”, o una pelle che cambia.
E la sua vita silente, la vita silente delle sue trasformazioni, come le espressioni di un volto, è come una natura morta -che in realtà è sempre stata vivissima, non a caso gli Inglesi e i Tedeschi non la chiamano così, ma appunto “vita silente”.
Walter Trecchi, di suo, rispetto ai cantori della città, ha la forza tranquilla che promana dall’amalgama di natura e cultura: nella sua mostra da Federico Rui, intitolata Naturae, la vita silente del corpo silvano si fonde in afflato armonioso con il corpo della città che sale.
Il risultato è dato da concrezioni arboree che, facendo riandare il pensiero agli avviluppi nodosi di certe sperimentazioni art nouveau, si edificano come per partenogenesi lungo le vette della città, queste torri che grattano il cielo e che soprattutto in epoca Expo sono vieppiù cresciute.
E a proposito di Expo, quanto avrebbero da imparare, dall’arte contemporanea -e da questa mostra nello specifico- gli amministratori: una città che piazza 300 pianisti a suonare per tre giorni di fila e che espone nel Padiglione Italia di Expo La Vucciria di Guttuso avrebbe fatto meglio a ripensare tutta la strategia mediatica dell’Exposition Universelle in modo da favorire quel che è veramente vivo nella metropoli: l’arte contemporanea promossa, difesa e valorizzata dalle gallerie d’arte private, che rispetto agli apparati istituzionali offrono non poco di cultura in più, col doppio della fatica e una parte incommensurabilmente inferiore di quattrini da investire.
Per dire, a Palazzo Italia e dintorni avrebbero potuto favorire la realizzazione di mostre di giovani artisti contemporanei, anziché i soliti noti e bolliti (la mela che Pistoletto ha regalato a piazza Duomo, dono non richiesto ma che un’amministrazione ignorante non poteva essere in grado si rifiutare).
Un evento inutile come l’Expo (che aveva senso solo nell’Ottocento), poteva esser reso funzionale agganciandolo alla creatività, unico asso nella manica dell’intelletto italico: i tedeschi sanno fare le automobili, gli italiani la moda e l’arte.
Ma è la città di Pisapia, Maran e compagnia brutta, ergo dall’attuale amministrazione ci si può aspettare soprattutto robaccia presentata col paravento d’eccellenza della gauche au caviar, attitudine speculare dei compagni di lotta e di governo dell’invincibile armada Prada e del suo curatore milionario inventore dell’arte povera.
Eppure qualcosa di buono la giunta comunale l’ha fatto, tramite l’ostracizzato Boeri: lo splendido Bosco Verticale, vincitore dell’International Highrise Award 2014.
Una “filosofia dell’architettura” che è in parte la stessa del Palazzo Italia realizzato dallo Studio Nemesi (ma con risultati esteticamente dubbi).
Ma proprio Boeri, che “tanto” ha fatto per le Officine Creative Ansaldo, avrebbe potuto buttare un occhio sul lavoro d’arte di Walter Trecchi, pittore che ha da sempre concentrato la sua ricerca sulla città e che, con cicli pittorici come Antropico-Naturale, ha quasi “profetizzato” l’ “avvento” di un’architettura irrazionale come l’arte, anticipando la visionarietà degli autori del grattacielo più bello del mondo.
Questo, giusto per rimarcare quanto vi siano
più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante non ne sogni la tua filosofia (Amleto, (Atto I, sc. 5)
Walter Trecchi l’avevamo già visto, nella notte dei tempi, da Federico Rui quando la sua galleria si chiamava Pittura Italiana e ora, a distanza di due lustri, lo ritroviamo in tutta la sua elegante e silente maestosità con la serie Naturae.
La natura ama nascondersi, diceva l’oscuro filosofo Eraclito. Ma nelle opere di Trecchi essa si rovescia nell’opposto del nascondimento. Ovverossia ciò che, sempre i Greci, chiamavano la verità: ἀλήθεια (“alètheia”), vale a dire “svelamento”. Qui la Natura ama rivelarsi.
Non solo: in questa mostra vedrete come i due termini della diade natura/cultura, da sempre considerati in antitesi, si coordinino nell’armonia piena e totale sia di forma che di contenuto, in ogni quadro.
Nella produzione d’arte di Walter Trecchi la natura germoglia come massive concrezioni arboree sulle architetture edificate dall’ingegno umano in una sintesi di suprema perfezione, mentre altrove svetta,come un afflato universale, solitaria su un fondo, talora saturo come un cielo di nebbia, talaltra fitto come un derma solcato di concrezioni materiche.
Boeri Studio e Studio Nemesi, andate a vedere la mostra di Walter Trecchi da Federico Rui, qualcuno l’ha fatto prima di voi…
Walter Trecchi | Naturae
Federico Rui Arte Contemporanea
via Filippo Turati 38, Milano
federico@federicorui.com
www.federicorui.com
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