Si dice spesso che la musica sia il vero linguaggio universale, a dispetto dell’arte, soprattutto quella contemporanea, che invece necessita di maggiori chiavi d’accesso per essere compresa. Forse è vero o forse no, ma effettivamente la mostra del Victoria & Albert Museum (You say you want a revolution? Rebels and Records 1966 – 1970) innesta immediatamente un rapporto empatico con il pubblico che viene accompagnato per tutto il percorso da una colonna sonora fatta dai brani di tutte quelle band e quei musicisti che rivoluzionarono il fare musica degli anni Sessanta e Settanta. Camminerete tra gli abiti di Twiggy, tra i poster di gruppi musicali, manifesti politici e artistici (erano gli anni dell’happening e di Fluxus), video, vinili e film. Appena arrivati riceverete delle cuffie con cui ascolterete diversi brani in base ai vostri spostamenti all’interno della mostra, partendo dai Beatles, arrivando ai Rolling Stones fino a Bob Dylan e Jimi Hendrix. Per tutti gli amanti di quell’epoca musicale, alla fine la lunga coda d’attesa e i lenti spostamenti tra le varie sezioni della mostra risulteranno perfino piacevoli!
You say you want a revolution? racconta con vitalità quattro anni travolgenti (1966 – 1970) di rivoluzione, o meglio di rivoluzioni, e trasformazione. Evito di dilungarmi in spiegazioni tediose e soporifere sugli avvenimenti di quegli anni (tanto li conosciamo tutti no?). Si tratta di un violento cambiamento di visione che parte dai giovani (la generazione dei baby-boomers), con società e musica che procedono di pari passo, lo sviluppo di un’identità nuova, la proliferazione di idee e di stili di vita innovativi. Non si tratta dell’adesione a un movimento o a un’ideologia, è qualcosa di più, di capillare e incontenibile, si potrebbe quasi dire un’attitudine, è praticamente impossibile rimanerne fuori. C’è una forte carica creativa e positiva che pervade i dibattiti, le conferenze, le canzoni e l’arte. Ma soprattutto il desiderio di una società libera, comunitaria e permissiva in contrapposizione alla rigidità di un potere e di una visione imposti dall’alto.
Sono andata a visitare la mostra con uno spirito che potrebbe quasi definirsi “nostalgico”. Si parla di anni che non ho vissuto eppure spesso la mia generazione guarda a quel periodo come a un’epoca d’oro che rivorrebbe indietro. Certamente dobbiamo al Sessantotto la nostra libertà sessuale, le libertà dell’individuo, i diritti civili, l’emancipazione delle donne e degli omosessuali, tutta una serie di libertà che oggi diamo per scontate. Eppure persiste questa sensazione nostalgica, dove per nostalgia intendiamo un sentimento di tristezza e di rimpianto per qualcosa di perduto. Ma cos’è che abbiamo perso quindi? Proprio come allora, i giovani non credono più che le autorità ne sappiano più di loro e che per questo siano meritorie di fiducia, ci fidiamo in maggior misura del nostro giudizio. Quello che è diverso nel nostro contesto è una perdita di fiducia nel cambiamento, nel nostro potere di dare forma al mondo e di orientare la sua direzione, rimanendo in uno stato di stasi paralizzante. Oggi però è passato il tempo della rivoluzione e sono altre le strade da percorrere per perseguire dei cambiamenti, strade più mansuete e solitarie, più facilmente ostacolabili.
Nella poesia Ah Sun-flower di William Blake, una suggestione riguardante il sentimento di saudade ci sussurra all’orecchio, ricordandoci oggi come allora, quella ricerca di un significato più alto delle cose. Il girasole rappresenta l’aspirazione umana, che volge il suo volto sempre verso il sole, stufo di coloro che non sanno liberarsi dalle convenzioni sociali e incapaci di pretendere le loro libertà. Come il girasole però, continuiamo a desiderare che questo accada, ma senza mai realmente raggiungere la destinazione desiderata.
Ah Sun-flower! weary of time,
Who countest the steps of the Sun:
Seeking after that sweet golden clime
Where the travellers journey is done.
Where the Youth pined away with desire,
And the pale Virgin shrouded in snow:
Arise from their graves and aspire,
Where my Sun-flower wishes to go.
You Say You Want a Revolution? Records and Rebels 1966 – 1970
In partnership with the Levi’s® brand; Sound experience by Sennheiser
With additional thanks to the Grow Annenberg Foundation, Fenwick and Sassoon
10 September 2016 – 26 February 2017
vam.ac.uk/revolution | #RecordsandRebels
Exhibition curated by Geoffrey Marsh, Director of the V&A’s Department of Theatre and Performance and Victoria Broackes, a curator in the Department of Theatre and Performance and Head of Performance Exhibitions
Tickets £16 (concessions available). V&A Members go free. Advance booking advised; visit the V&A in person; online at vam.ac.uk/revolution; or by calling 0800 912 6961 (booking fee applies)
The V&A is open daily from 10.00 – 17.45 and until 22.00 every Friday
To coincide with the exhibition the V&A has published You Say You Want a Revolution?
Records and Rebels, 1966 – 1970, edited by Victoria Broackes and Geoffrey Marsh, in paperback at £25 and hardback at £40
A range of products inspired by the exhibition are available from the V&A Shop in store and online at vandashop.com
2D graphic design and 3D exhibition design by Nissen Richards Studio Ltd
AV software design and production by FRAY Studio
Sound design by Carolyn Downing
Lighting design by Studio ZNA
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