Per Paul Klee l’arte non riproduce il visibile, ma rende visibile. E’un linguaggio che trasfigura simboli e forme, geometrie vibranti permeate di segni, una scrittura arcaica da cui trae ispirazione Arnaldo Pomodoro (Morciano di Romagna, 1926; vive e lavora a Milano) agli esordi della sua folgorante carriera, quando con il fratello Giò nel 1954 si trasferisce dalle Marche nello studio al Vicolo dei Lavandai a Milano, città allora considerata la New York d’Italia dai giovani artisti a caccia di lavoro e fortuna.
Pomodoro è l’unico scultore italiano vivente che all’estero ha mappato le piazze più rappresentative con sculture colossali, steli e dischi solari e sfere in bronzo dall’appeal scenografico.
Con sessant’anni di carriera alle spalle e un curriculum espositivo e di esperienze internazionali da far impallidire le Pagine Gialle, il Maestro riparte da se stesso, a un anno dalla chiusura della sua Fondazione in via Solari per mancanza di sostegno da parte delle istituzioni.
Malgrado la crisi, Arnaldo Pomodoro non ha rinunciato a investire in un’altra Fondazione, più piccola di quella precedente, vicino al suo studio in via Vigevano e destinata a trasformarsi in un centro culturale attivo dove si alterneranno mostre, incontri, concerti, conferenze e presentazioni di libri. La nuova Fondazione Arnaldo Pomodoro, ricavata da un ex laboratorio interrato di un fabbro – che ha spesso collaborato con lo scultore -, è già un monumento architettonico di per sé, essendo incastonata in uno splendo cortile tipico delle case dei Navigli. L’inaugurazione è coincisa con una mostra dal titolo emblematico, Una scrittura sconcertante. Opere 1954-1960, a cura di Flaminio Gualdoni, in bilico tra Klee e Fontana, arte orafa e scultura, segno e scrittura. Se qualcuno vuole liberare Arnaldo Pomodoro dalla concezione della monumentalità della sua scultura, vada a scoprire questi primi rilievi in piombo, argento, stagno e bronzo, dai titoli evocativi come Paesaggi, Orizzonte, L’incontro, Estensione vegetale, preziosi come gioielli che risentono da una parte della sua conoscenza dell’arte orafa e dall’altra della corrente Informale. Il suo segno leggero ma incisivo, brulicante e controllato al tempo stesso, si espande su fondi di velluto e juta, o lastre di rame utilizzate come pagine di un libro immaginario sulle quali modellare, alternare pieni e vuoti, rilievi che emergono dal nulla, codici simbolici ispirati agli Ittiti, ideogrammi dell’invisibile.
A Milano il Maestro elabora il suo segno, conosce i nuclearisti Enrico Baj (cui sarà dedicata la prossima mostra) e Sergio D’Angelo, oltre a Fontana che aiutò i fratelli marchigiani a trovare commissioni e a introdursi nell’elite artistica e intellettuale della Milano illuminata. Di un astrattismo poetico come Brancusi e Klee, Pomodoro con questa mostra sorprende il pubblico, mostrando opere poco note che rivelano il suo talento e l’ibridazione tra “decorazione” e “arte pura”. Hanno segnato il suo percorso le colate d’argento nell’osso di seppia scavato, una tecnica che aprirà lo scultore a una ricerca più gestuale/scritturale, nell’ambito dell’Informale , ingranaggi mentali in cui il segno visualizza automatismi inconsci, scritture private di misteriosi alfabeti dell’astrazione, che dagli anni Sessanta trasferirà anche nelle grandi sculture.
Arnaldo Pomodoro | Una scrittura sconcertante. Opere 1954-60
Fondazione Arnaldo Pomodoro
via Vigevano 9, Milano
info@fondazionearnaldopomodoro.it
www.fondazionearnaldopomodoro.it
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