Ugo La Pietra: nel cognome il destino. Trasformare i materiali in una estensione della sua identità: anelito costruttivo nei progetti ma anche negli oggetti di fattura artigianale d’uso domestico. Architetto, artigiano, agitatore culturale, tra i fondatori del Gruppo del Cenobio nei primi anni Sessanta, protagonista dell’architettura radicale post ‘68, costruisce cose, progetta spazi e idee di abitabilità. Le sue “casette”, precorritrici del Postmoderno e del recupero dell’artigianato, sono esposte nella galleria milanese di Antonia Jannone in occasione della mostra Interno/esterno.
Ne parliamo col diretto interessato.
Quando le è venuto in mente di affrontare il tema pubblico e privato in questo modo?
Dopo l’installazione del 1979 Un pezzo di strada nella stanza e un pezzo di stanza nella strada, ma ancora prima l’uso dello slogan Abitare è essere ovunque a casa propria, mi ha spinto ad esemplificare la rottura del muro che separa lo spazio pubblico dallo spazio privato, portando all’esterno i simboli (oggetti d’arredo) di uno spazio domestico.
Qual è la soglia tra l’interno e l’esterno, tra il pubblico e il privato?
La soglia è in tutti quegli spazi intermedi (balconi, pianerottoli, atri di case, spazi tra edifici destinati ad un verde anonimo…) che attendono da sempre di essere progettati per consentire agli abitanti degli spazi privati di trovarvi momenti di coinvolgimento e di azione comune nella definizione di questi spazi.
Quanti vasi-casette e disegni e progetti (dal 1977 al 2013) ha esposto? Chi ha fatto la selezione delle opere e l’allestimento?
Ho realizzato molte mostre, alcuni dicono troppe! Ma alle mie mostre corrispondono altrettante esplorazioni negli spazi abitativi con vari strumenti: dal disegno all’oggetto, dall’installazione al film, al video. Tutto questo anche con la partecipazione di amici-critici che hanno saputo accettare il mio modo di lavorare dentro e fuori le discipline creative (architettura, design, arte, cinema, arti applicate). In mostra ci sono una decina di ceramiche (cm20x20x28), una ventina di disegni realizzati a tecnica mista e ad acquarello e 6 tele ad acrilico.
Le facciate delle case cosa raccontano?
La facciate delle case non comunicano quasi nulla, è per questo che ho proposto negli anni Settanta l’uso del Ciceronelettronico e del Videocomunicatore: strumenti urbani che parlavano e ci comunicavano ciò che avveniva nelle nostre case.

Ugo La Pietra, Interno / esterno, 1977/2013,
casetta in ceramica
realizzata da S. Da Boit. Crediti fotografici Aurelia Raffo. Courtesy Galleria Antonia Jannone, Ugo La Pietra Studio, Milano.
Perché si è concentrato su vasi in ceramica di forma cubica con facciate simili agli in cotto “old style”, presentando in questo modo diverse tipologie dell’abitare?
Le casette in ceramica, in cotto a vista, sono la sintesi di diversi problemi nelle diverse discipline.
- Progetti / oggetti che alla fine degli anni Ottanta tentavano di mettere in crisi il cosiddetto “stile internazionalista” anonimo e ripetitivo proponendo un’architettura in grado di comunicare con elementi legati alla nostra contemporaneità senza prendere in prestito elementi formali della memoria colta (postmoderno)
- recuperare la decorazione per un’architettura (cotto lavorato a mano) artigianale
- Indicare al design e alle arti applicate (scatole in ceramica) una pratica che portasse verso “l’oggetto significante”
L’architettura è l’arte sociale per eccellenza, materializza attitudini di possibilità costruttive, dagli anni Settanta spazio interno ed esterno, città e individuo sono i suoi temi di ricerca che conduce in diversi ambiti, ma oggi sono ancora complementari il pubblico e il privato?
Anche oggi e soprattutto nelle nostre città è sempre più importante riuscire a progettare “per” il sociale dando agli individui la possibilità di esprimersi e connotare lo spazio.
Nella nostra epoca digitale, qual è la tua città, casa ideale: è ancora “un pezzo di strada nella casa, un pezzo di casa nella strada”, oppure no? Perché?
Nella nostra epoca credo sempre più nella nascita e pratica di un’area disciplinare che vada verso “la città da abitare” (e non semplicemente da usare).
Questi vasi dalle facciate con bottiglie d’olio simili a torri medioevali sono post-moderne o una conferma della sua capacità di coniugare cultura progettuale e artigianato come superamento dei limiti del funzionalismo e razionalismo moderno?
Le forme domestiche sulla facciata, come ho già accennato, erano un modo per iniziare a dare all’architettura la capacità di comunicare (in questo caso comunicare i segni della nostra quotidianità privata).
Torniamo alle sue anomale casette: che ceramica ha utilizzato? E perché l’ha scelta?
Ho scelto la ceramica (come per altri oggetti) perché è la più facile da lavorare e perché esistono ancora (rari!) bravi artigiani (come Sandro Da Boit di Sesto Fiorentino).
Nelle sue casette-vasi “magrittiane” dalle facciate con le finestre che sembrano ridere, sono ricorrenti elementi decorativi come: vasi di piante, comignoli simili a tappi di sughero, bottiglie, tazzine, bicchieri di piccolo formato ideali per sorseggiare l’amaro a fine pasto, tende, portacandele, però quelli della nonna con un anello e altre trovate simili insite nella cultura materiale artigianale: così ha “addomesticato” l’architettura?
Gli elementi che ricorrono sulle facciate vogliono ricordare che l’architettura deve tornare a parlare con segni che ci appartengono.
A distanza di tempo e dall’alto della sue plurime esperienze e coerenti metamorfosi progettuali, si sente ancora un architetto idealista, come spesso è stato etichettano qua e là, oppure è cambiato qualcosa. Perché?
Mi sono sempre sentito un artista con una forte attenzione al sociale e allo spazio in cui vivere e lavorare – forse anche per la mia formazione di architetto.
Come imposterebbe un corso di interior design al Politecnico, Facoltà di Architetturaa Milano?
Parlerei di una nuova area disciplinare che comprende architettura, antropologia, sociologia, arte e arti applicate per progettare l’ambiente collettivo.
Cosa scriverebbe sulla lapide della sua tomba per comunicare i sui concetti intorno all’abitare?
Abitare è essere ovunque a casa propria.
Cosa si aspetta dal futuro?
Mi aspetto dal futuro una società che possa realizzarsi senza i vincoli del nostro sistema politico (partiti), della burocrazia e delle separazioni disciplinari (troppo bello!!)

Ugo La Pietra | Interno Esterno
a cura di Marco Meneguzzo
Antonia Jannone
corso Giuseppe Garibaldi 125, Milano
www.antoniajannone.it
info@antoniajannone.it
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