Non si tratta di citazioni. In FW JG la ripetizione ha i tratti del rito: esercizio in cui riconoscersi profondamente, cerimonia di reincarnazione di un immaginario,proseguimento di una ricerca tesa a rappresentare l’evanescenza del corpo dell’uomo. Justyna Górowska descrive le proprie opere come guidate alla ridefinizione della coscienza dello spettatore, in cui i limiti del corpo e della sua connessione con l’esterno sono oltrepassati. È qui che si origina il rapporto con l’immaginario di Francesca Woodman. Justyna lo reinterpreta con estrema fedeltà in brevi video che fanno da proseguimento temporale degli scatti della fotografa americana, immaginandone gli istanti precedenti o successivi. Ne rendono con efficacia le atmosfere, mantenendone la stessa relazione sospesa tra l’io e lo spazio. Lì dove la fotografa americana rappresentava l’impronta sfuggente del suo corpo che scompariva, Justyna pratica movimenti lenti e ripetuti. Le scene sono prese in medias res, mantenendo il fascino enigmatico di un racconto senza inizio né fine. La suggestione determinante è quella di un corpo che perde i contorni, che si lascia assorbire dall’ambiente in cui è inserito, rinunciando alla propria differenza. Rimane una semplice presenza, la cui coscienza è soltanto un accidente, momentaneo, fragile, destinato a scomparire.
Iniziamo dal tuo lavoro piu’ conosciuta e premiato FW JG. Com’è nato questo progetto? Come hai conosciuto l’opera di Francesca Woodman e quando hai deciso di reinterpretarla?
Mi sono imbattuta per la prima volta nell’immaginario di Francesca Woodman nel 2007 alla Pinakothek der Moderne di Monaco di Baviera. È stato per me un incontro unico, per la prima volta mi trovavo faccia a faccia con gli originali dei suoi lavori, impreparata, senza saperne nulla. Il contatto con queste fotografie di piccolo formato mi ha impressionato molto. Tanto da dover tornare alla pinacoteca un paio di giorni dopo, per avere la possibilità di vederle ancora una volta. Può sembrare assurdo, ma ho avuto l’impressione di incontrare qualcuno di molto vicino, che utilizzava una lingua per me perfettamente comprensibile. Lo stesso linguaggio con cui anch’io comunico. Ho iniziato ad approfondire questa figura, cercando altre informazioni sulla sua vita e sulla sua opera. E ho scoperto che questa empatia si nutriva e diventava sempre più forte. Spingendosi verso un senso di intimità ben più profondo, che andava oltre la vita quotidiana.
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