TINO STEFANONI | CECI N’EST PAS UNE PEINTURE

0 Posted by - June 3, 2015 - Kritika segnala

L’artista di cui vi parlo oggi è Tino Stefanoni nato nel 1937 a Lecco.

In famiglia è il padre Guido, titolare della omonima casa editrice, appassionato di Dante e di clarinetto, a portare una ventata di creatività che coinvolge tutti gli otto figli.

A dieci anni il piccolo Tino raccoglie i suoi disegni e li cataloga. In realtà lui ha già deciso: farà il pittore!

Assecondato solo in parte dalla famiglia, frequenta il Liceo artistico Beato Angelico, a Milano, per poi iscriversi ad Architettura.

Nel 1962, col matrimonio, pur riuscendo a dedicare almeno in parte la giornata alla pittura, lavora in una libreria di proprietà della famiglia.

La sua conoscenza dei protagonisti dell’arte del tempo, però, lo spinge a coinvolgere il fratello Dante ad aprire, negli stessi locali, una galleria d’arte, che inaugura nel 1964 con una esposizione di opere di Lucio Fontana.

Nel frattempo matura il suo stile, inserito in una tradizione italiana fatta di rigore e di poesia, che parte dal Beato Angelico e Piero della Francesca e viene ribadita nel Novecento, ad esempio, dai protagonisti della Metafisica.

Ma in occasione della sua prima personale presso la galleria Apollinaire di Milano, nel 1968, dimostra di aver fatto proprie alcune istanze della ricerca più avanzata di quegli anni.

Coinvolto nelle teorizzazioni sulla Mec-Art di Pierre Restany, che gli firma il testo di presentazione, progetta una installazione di tondi di plastica, disposti in modo da comporre tre grandi alberi.

Compaiono cioè alcuni elementi che saranno poi ricorrenti del suo metodo. Innanzitutto la ripetizione di uno stesso elemento base con piccole variazioni, in questo caso una sorta di gioco sull’idea di paesaggio. Poi una riflessione sul senso dell’opera d’arte come puro segno.

E su questo punto vale la pena soffermarsi.

La ricerca del Novecento ha approfondito le peculiarità della comunicazione, linguistica e artistica. Per tutti l’autorità di riferimento sarebbe diventato il linguista Ferdinand De Saussure. Fu lui a definire, ad esempio, la distinzione fra significante e significato. Ogni segno, cioè, a partire dalla semplice parola, ha come due facce: una che si riferisce alla sua forma – il significante – una che si riferisce alla realtà, al contesto: il significato.

Liberato dal significato, il segno è in grado di alludere a nuovi contesti poetici.

Per capirci, il celebre quadro di René Magritte, Ceci n’est pas une pipe, ci informa che quella rappresentata non è una pipa “vera” ma un segno pittorico che, considerato in se stesso, vale quanto un’opera astratta di Mondrian.

L’opera di Tino Stefanoni si basa proprio su questo presupposto. Ad esempio la serie Segnaletica è concepita a partire da segnali stradali fatti realizzare da una azienda specializzata, con indicazioni che ci avvisano però di eventi misteriosi.

Nella serie Tavole gli immagini sono impaginate come progetti di un disegnatore meccanico, applicati però a oggetti della quotidianità; ciò che li fa diventare opere d’arte è la tela grezza di lino, il quadro – quindi il contesto – su cui sono eseguiti.

Altre serie, realizzate con una minuzia esemplare, ci ricordano le incisioni dei libri tecnici di un tempo.

Caratteristico di Tino Stefanoni è infatti un approccio razionale alla creazione artistica; con un metodo compositivo che ricorda quello di Paul Valéry, il famoso poeta francese, non si affida in nulla alla cosiddetta ispirazione, ma calcola con precisione l’effetto poetico che vuole raggiungere.

Il suo passaggio al quadro dipinto, negli anni Ottanta, è una ideale prosecuzione della strada tracciata da Giorgio de Chirico e Carlo Carrà.

Il paesaggio di Carrà però conservava ancora una traccia di realismo che nella pittura di Stefanoni scompare definitivamente.

Il bellissimo quadro che vi presento oggi evidenzia bene le caratteristiche di questa pittura.

Le pennellate si fondono una nell’altra, gli oggetti sono evidenziati da un morbido bordo nero. L’atmosfera è sospesa, irreale, quasi magica.

E se la pittura vuol dire espressione psicologica o esibito virtuosismo, la sua, come ebbe a dire il critico Emilio Villa, quella di Stefanoni non è pittura.

In fondo il senso delle sue Sinopie è proprio questo. La sinopia è la traccia preparatoria che l’artista realizza sul muro in vista dell’esecuzione di un affresco, che presenta una linea morbida, quasi vellutata.

Affascinato da questa linea, Stefanoni, in questa serie, vuole rappresentare l’essenza dell’idea, il luogo originario dell’Arte che traspare come segno assoluto.

Inoltre la sinopia – di solito nascosta – presuppone anche un dipinto da realizzare, e rappresenta quindi l’assenza di un dipinto.

Questa serie costiuisce l’ultimo raffinatissimo esito di un artista che da cinquant’anni dialoga con intelligenza, rigore e ironia con le forme più avanzate della ricerca artistica internazionale.
 
Guarda il video Pralina N° 01 – Tino Stefanoni. Ceci n’est pas une peinture
 

 
Sergio Mandelli è l’autore della rubrica Praline. Prelibatezze dal mondo dell’arte contemporanea

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