Torino, la città dell’ultimo movimento italiano celebrato nel mondo. Torino, la città di quello che per anni è stato l’unico vero museo d’arte contemporanea del paese. Ma oggi che ruolo vuole giocare il capoluogo piemontese nel composito scenario internazionale? Questa è una delle domande che inevitabilmente ci si pone andando a visitare Artissima e la galassia di fiere satelliti che sono nate al suo cospetto.
The Others, giunta alla sua terza edizione, riesce a proporre cinque o sei presenze brillanti ma in generale rimane un personaggio in cerca d’autore. Aggirandoci per le celle dell’ex carcere cittadino troviamo una manifestazione deludente perché mancante di una prospettiva chiara: da un lato è priva dell’ingenuità che porta alle vere scoperte e dall’altro non riesce a consolidare un livello qualitativo tale da farla diventare “grande”.
Discorso del tutto diverso per Artissima. In questo momento non si può certo dire che l’arte contemporanea italiana goda di buona salute: è la settimana in cui scopriamo che il Macro di Roma verrà declassato a semplice spazio espositivo ed oramai abbiamo troppi strumenti per non comprendere l’ininfluenza di quasi tutte le fiere italiane barricate dietro il loro asfittico provincialismo. Detto questo, beata Artissima! Aggirandosi tra i vari stand è come sentire una ventata di aria fresca in quello che è l’unico palcoscenico fieristico italiano capace di avere ambizioni internazionali, attirare acquisizioni museali e configurarsi come un ingranaggio (seppur molto piccolo) del sistema globale dell’arte. Questo è il frutto di una politica pluriennale fondata sul rigore nella selezione delle gallerie partecipanti che anche quest’anno presentano un mix tra big dell’arte contemporanea, emergenti internazionali e qualche giovane italiano che non possiamo definire sconosciuto, ma di certo ancora bisognoso di una tale vetrina per uscire dai confini patri. Insomma viva Artissima… tutto il resto è noia.
Photoreportage di Giacomo Vanetti
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