Made in LA 2012 è la prima biennale d’arte contemporanea incentrata sulla produzione degli artisti Los Angeles based. Made in LA 2012, organizzata dall’Hammer Museum di Los Angeles in collaborazione con LA ART, è aperta dal 2 giugno al 2 Settembre 2012.
Made in LA 2012 è organizzata da un team curatoriale composto da Anne Ellegood (Hammer Senior Curator), Ali Subotnick (Hammer curator), Lauri Firstenberg (LA>Director e Chief Curator), Cesar Garcia (LA>Associate Director e Senior Curator) e Malik Gaines (LA>curator [poveretto, l’han fatto curatore semplice – N.D.R.]).
In sinergia con Made in LA 2012 la curatrice Ali Subotnick, già collaboratrice di Massimiliano Gioni e Maurizio Cattelan, con cui ha aperto la Wrong Gallery, fondato la rivista Charlie e realizzato la quarta edizione della Biennale di Berlino, ha organizzando la prima edizione di Venice Beach Biennial 2012 – d’ora in poi VBB – che si è svolta a bordo oceano nel weekend dal 13 al 15 luglio 2012, durante la quale oltre 50 artisti hanno allestito degli stand propri accanto a quelli dei cosiddetti “veterani”, di casa sulla promenade lungo la costa, collaborando su nuovi progetti e allestendo mostre che comprendevano merce la più varia, da installazioni sito specifiche a sculture, disegni, dipinti ma anche spettacoli teatrali e molto di più.
Incuriositi da cotanta attitudine da autogestione settantina, ma ordinata da una curatrice con due palle cubiche e in un’area culturale altra dal contesto italiano, ne abbiamo parlato con la diretta interessata.
Allora Ali, perché l’hai fatto? Qui nella provincia italiana il giudizio più benevolo su una manifestazione come Venice Beach Biennial sarebbe stato: «È un suk». “Artisti da museo” – o comunque selezionati da un comitato curatoriale rigorosissimo come quello dell’Hammer Museum di LA – che vendono le proprie opere in spiaggia fianco a fianco con tatuatori, pittori folk, performer e artisti vari di strada, spesso contaminando le rispettive produzioni. Il tutto in un contesto avulso dalle dinamiche del consueto circuito galleristico. Invece a me pare un esperimento interessantissimo – e questa è la ragione per cui ti sto intervistando. Un esperimento che tuttavia poteva esser fatto solo a Los Angeles, secondo me…
Non sono sicura di capire cosa intendi per «È un suk»… Il mio obiettivo era tirare fuori gli artisti dai loro White Cube e portarli sulle strade, nella vita reale, con tutte le distrazioni e le interferenze che si possono trovare sul marciapiede. Ogni giorno tantissimi validi artisti mostrano i propri lavori sul Venice Boardwalk. Ho voluto che anche gli artisti mainstream di musei e gallerie prendessero in considerazione la possibilità di proporre il loro lavoro in un contesto diverso, e volevo che il pubblico considerasse l’opera d’arte dei “veterani” sul lungomare con lo stesso atteggiamento che avrebbero avuto di fronte agli artisti in mostra in una galleria o in un museo.
A distanza di pochi giorni dall’inaugurazione di Venice Beach Biennial, qual è stato il riscontro del pubblico e degli addetti ai lavori (galleristi e collezionisti)? Pare non sia facile distinguere gli “artisti da museo” che espongono a Venice Beach dai cosiddetti “ veterani”….
VBB è durata soltanto un weekend, ma in questi tre giorni abbiamo ricevuto visite da molti critici, collezionisti e altri artisti e molti di loro ne sono rimasti affascinati. Si è creata una sensazione di confusione tale che molti di loro non riuscivano a distinguere dal gruppo gli artisti che ho scelto e questo per me è stato già un successo. Gli artisti in mostra hanno fatto un gran lavoro creando delle nuove opere che si sono integrate perfettamente nel contesto della strada. L’integrazione è stata perfetta: gli artisti hanno lavorato fianco a fianco per tutto il giorno, dall’alba al tramonto, creando una sorta di cameratismo. Anche gli artisti che ho selezionato per l’occasione sono rimasti nei loro stand vicino alle loro opere per tutto il giorno, un’esperienza che non avevano mai vissuto prima. Credo che ora abbiano capito cosa si prova a lavorare in una fiera d’arte.
Cara Ali, siamo in California e stiamo parlando di arte contemporanea, quindi è inutile girare attorno alla questione: anche qui si fa mercato, semplicemente perché l’arte senza il mercato non esiste. Gli artisti di Venice Beach Biennial sono tutti artisti sottostimati, nel senso che si tratta di artisti la cui produzione aspetta solo di essere valorizzata da gallerie, collezionisti, curatori e operatori del settore. Vorresti dirci come funziona in questo caso la transazione commerciale con gli eventuali acquirenti delle opere esposte? So che, per quanto riguarda Made in LA 2012 nel suo complesso (e di cui Venice Beach Biennial è il progetto che porta la tua firma), una specificità che differenzia questa biennale dalle altri biennali consiste nel fatto che ogni artista ha ricevuto un onorario per il lavoro svolto…
Non ho trattato personalomente le vendite, se un artista voleva vendere il proprio lavoro, dipendeva esclusivamente da lui. L’unica richiesta che ho fatto era seguire l’ordinanza cittadina sulla vendita di prodotti in strada. Tutti gli artisti si sono tenuti l’intero ammontare delle loro vendite – non abbiamo chiesta alcuna percentuale. So che molti artisti – sia quelli selezionati da me sia i veterani che mostrano le proprie opere sul Venice Boardwalk da decenni – hanno fatto grandi affari durante il weekend, ma non mi sono interessata più di tanto perché non era questo il mio obiettivo. Diciamo che è stato un gradevole effetto collaterale.
Il fatto che tu abbia chiamato il tuo progetto Venice Beach Biennial, al di là della strizzatina d’occhio sagace, sottintende comunque il riconoscimento del prestigio della Biennale di Venezia o è una simpatica presa per il culo? Ti confesso che io vorrei tanto propendere per la seconda ipotesi…
Non volevo prendere in giro nessuno. Era solo un gioco di parole, una cosa fatta per scherzo. Mi sono trasferita a Venice Beach dopo aver lavorato per la Biennale di Berlino e per scherzare un’amica mi ha detto avrei dovuto fare una Venice Beach Biennale e mi chiedevo se non potessi trasformarla in realtà… Quel lungomare per me era come l’Arsenale, la location perfetta per una fantastica mostra collettiva.
Qual è secondo te lo stato attuale dell’arte oltreoceano? Quali sono gli scenari futuri? C’è qualcuno che domina il campo? E, dal momento cha hai collaborato con Massimiliano Gioni e Maurizio Cattelan, che idea ti sei fatta del settore italiano?
È impossibile descrivere lo stato dell’arte negli Stati Uniti, è davvero troppo vario. Credo che le scuole d’arte stiano crescendo, che ci siano molti artisti emergenti e che musei e gallerie stiano diventando sempre più grandi e influenti. Tuttavia, conosciamo tutti la situazione economica ed è indubbio che ci siano ricadute anche nell’arte: un esempio è il MOCA di Los Angeles, che ultimamente sta facendo molta fatica a ottenere fondi. In generale sta diventando difficile mantenere in attività un’associazione senza fini di lucro. Credo che comunque ci siano i margini per realizzare ottime cose qui a Los Angeles. Per quanto riguarda l’arte italiana, ho collaborato con molti artisti, tra cui Roberto Cuoghi, con il quale ho lavorato all’Hammer Project nel 2010. Ho sempre ammirato il lavoro degli artisti italiani e mi piacerebbe tenermi aggiornata.
Progetti per l’Italia (gallerie, spazi pubblici)?
Nessuno per il momento
Cara Ali, un’ultima domanda: dacci una ragione per cui, fra tutte le biennali sparse per il globo terracqueo, vale la pena di visitare Venice Beach Biennial – e in generale di Made in LA 2012
VBB è durata appunto soltanto un fine settimana e quindi non c’è più la possibilita’ di venire a vederla, ma Made in LA rimarrà aperto fino al 2 Settembre e in mostra ci saranno i lavori di 60 artisti che lavorano a Los Angeles. Alcuni sono giovani e sconosciuti, altri più esperti, altri ancora fuori dalle scene da decenni. È un’arte emozionante, nuova, stimolante, eccitante… insomma, è bella arte!
(Traduzione dall’inglese di Simone Urru)
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