Il termine equilibrio deriva da una semplice e suggestiva immagine del mondo romano: allorquando i due piatti della bilancia avevano due pesi uguali, essi si trovavano in equilibrio.
Nel corso del tempo il vocabolo ha ampliato il suo significato, identificando uno stato stabile non alterato da interferenze esterne o in cui forze contrarie si annullano a vicenda.
In definitiva, l’equilibrio è uno stato di quiete che persiste finché nessuna delle forze abbia il sopravvento o non intervenga un agente esterno.
La storia dell’arte si è più volte confrontata con il tema dell’equilibrio: dal concetto di sezione aurea alle teorie neoclassiciste di Winckelmann, dalle “costruzioni” di Piero della Francesca alla “dimensione spirituale” di Kandinsky, l’arte ha come scopo quello di dare ordine al caos e di imporre un equilibrio al convulso divenire delle cose.
Persino nelle opere di Turner i rapporti tra luci, tonalità e colori si rifanno ai principi della sezione aurea.
Non è sufficiente abbandonare la logica dell’arte figurativa per perdere l’equilibrio, poiché anche l’astrazione è un tentativo di dare un senso al non senso, non attraverso una mimesi del reale, ma fissando un ordine nel divenire delle cose.
Con l’avvento dell’informale, l’arte rinuncia alla sua secolare idea di dare ordine al caos, arrivando ad esprimerlo senza il filtro della forma e riportandolo direttamente nell’opera.
Ogni superamento di una logica precedente avviene grazie ad artisti che hanno osato sperimentare mettendosi in gioco e ribaltando lo status quo.

Struan Teague, Untitled, 2016, acrylic, enamel, cyanotype, oil, dirt and transparent gesso on canvas, cm 90 x 70
Così nelle opere di Struan Teague (Edimburgo, 1991) assistiamo ad una pittura che accosta materiali diversi: gesso, olio, polvere, sporco (materiali di rifiuto), stampa su tele grezze o cucite. Una ricerca che dimentica la forma delle cose ma ne restituisce l’essenza e il suo passaggio, un disordine che è in cerca del proprio equilibrio.

Jenny Brosinski, Well, i somehow slowly know you, 2016, oil, coal, olive oil, dirt on canvas, cm 95 x 80
Allo stesso modo, Jenny Brosinski (Berlino, 1984) combina diversi materiali per lasciare le tracce e i segni del tempo. Le sue opere vengono prima abbozzate, poi trattate ed “abusate”. Subiscono un forte lavaggio in lavatrice, vengono poi stirate, cucite e, infine, dipinte di nuovo con spray ed acrilici. Da un lato si lascia spazio alla casualità di ciò che risulta dopo il “lavaggio” intenso, dall’altro si pone l’attenzione sul processo artistico stesso come parte integrante dell’opera.

Martina Antonioni, Dormo poco sogno tanto tecnica mista su tela, cm 88×79
Martina Antonioni (Milano, 1986) lavora su “frammenti di idee”, una figurazione che perde la sua caratteristica descrittiva, nella quale gli elementi parlano di molteplici possibilità in una sorta di racconto senza uno schema prefissato. Immagini libere che suggeriscono allo spettatore incontri possibili, nel silenzio di un sogno come nel vuoto di un pensiero ineffabile, come fossero pezzetti di un puzzle da ricostruire.
Osare: questo è quello che contraddistingue un artista che fa ricerca. “Memento audere semper”.
Vedi anche:
BOLOGNA | SET UP FAIR 2017
Jenny Brosinski | Patric Sandri | Struan Teague
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