Tempo e identità nel libro-catalogo fotografico di Rita Vitali Rosati
Rita Vitali Rosati (RVS), oltre a procedere con l’immagine e la parola, procede con un tempo, ponendo su alcune foto l’ora dello scatto.
Mi hai spiegato che si tratta di un tentativo di dare una scadenza per storicizzare il tuo lavoro. Una testimonianza e un’impronta della tua presenza e anche della presa di coscienza del limite umano. Cosa puoi aggiungere?
E’ un tempo magmatico quello che precede e procede tra il flusso delle idee e la realizzazione di un artefatto, la cui identità da singolare si coniuga a collettiva, perché destinato al pubblico. Attraverso una forma standard si individuano determinate dinamiche che regolano lo studio e lo sviluppo della struttura di qualsiasi progetto. Dando alla pagina una cadenza temporale le si assegna anche una fisicità, uno spazio quindi per suggerire creativamente anche una percezione precisa legata a questo dettaglio. Lo spazio, all’interno del campo visivo che, in questo caso è il foglio componente il volume La Passiflora, è un mezzo che consente di stabilire una presenza, una certificazione che “qualcosa è avvenuto”. Rimane aperta la domanda: “Perché è insito in noi il desiderio di investire oggetti dell’esperienza di una identità individuale?” (E. Von Glasersfel).
Il concetto di limite, come punto di partenza attesta una pluralità di significati: è una linea che divide, ma è anche un punto estremo a cui può arrivare qualcosa. Dal latino limes, il limite, indica anche una via traversa , quella che fa da frontiera. Quindi l’idea del limite a cui ho legato il significato delle immagini usate per la Passiflora possono essere interpretate come ciò che non si può raggiungere perché non è dato esserlo, ma anche ciò a cui si può approdare, creando un luogo privilegiato in cui esercitare la forza e il limite del limite stesso. Perché tra i confini del limite e uno spazio X c’è un “oltre” forse fragile forse onnipotente che attrae e respinge simultaneamente. Ma anche raggiungere il massimo grado del limite umano è una conquista e non certamente la prerogativa per una resa. E’ un dialogo tra due forze, quello della vita come quello della morte come in presenza di un muro nei confronti del quale urtiamo e naufraghiamo. Ma che possiamo scavalcare avendo la consapevolezza che il salto comporta sofferenza, come una via tracciata ed intrapresa. Per concludere ed arrivare a comprendere che solo la morte delinea i confini della vita e ne stabilisce il senso. Solo ciò che muore è vivo, ciò che non muore non vive. Nella nostra società, insofferente dei limiti, si è smarrito il senso delle proporzioni, tutto è estremizzato come la noncuranza nei confronti del fine, del confine entro il quale una riflessione maggiore e sapiente potrebbe ricondurre l’umanità nella direzione di un nuovo inizio.
Mi puoi parlare della funzione divulgativa del tuo librocatalogo, perché invece di una mostra hai scelto un catalogo ragionato come veicolo d’espressione?
La Passiflora non è proprio un catalogo ragionato, è un librocatalogo. Mancano infatti le didascalie, ed altre informazioni tecniche. Le opere sono state scelte in relazione all’impaginazione che ha utilizzato un formato non usuale, insieme allo studio del lettering e del colore per visualizzare al meglio le immagini. Che sono intervallate dall’impiego di alcuni testi di amici poeti da me invitati, e che hanno scritto rivisitando , in una sorta di corteo emozionale le suggestioni e i riverberi delle fotografie a loro consegnate. La scelta del supporto cartaceo è stato suggerito dalla mia passione per l’editoria. Questo non ha vietato la presentazione del libro-catalogo in occasione di una personale, come del resto si è verificato anche l’esatto contrario, ovvero che durante la presentazione dei relatori siano state esposte alcune opere.
Solitamente i tuoi lavori sono caratterizzati da una parte ironica e una parte drammatica, qui prevale quella drammatica. Ci puoi raccontare questo “calvario dell’arte”?
La diversità espressiva che, come viene segnalato, si riscontra nella lettura del mio lavoro aderisce all’esperienza della vita di tutti gli umani. Da me ancora di più vissuta come risposta alle vicende personali del quotidiano, con una sottolineatura maggiore, perché corredata da un temperamento ed una sensibilità che si nutrono a vicenda. Ma già riscontrabile in un DNA in origine, sul versante psicologico etichettabile con il termine di bipolarità, e che quindi ne stabilisce una riconoscibilità. E’ stato da tempo messo in evidenza che il peso del dolore fisico- esistenziale in collisione con un disturbo dell’umore mettono in moto un meccanismo che nei soggetti predisposti evidenziano fenomeni di alterità, di dualità, di eccessi. E questo è ancora di più amplificato tra gli artisti i creativi il cui pensiero divergente sa elaborare con flessibilità una grande varietà di idee che affluiscono come in una fuga da un determinato punto x di partenza. Sede e fonte di ogni informazione. Una volta attribuita agli dei o alle muse, oggi appannaggio di un “processo primario” più prosaico. In questo percorso esplicativo, in questo pellegrinaggio della psiche in cui stazionano tra tante avversità i soggetti artisti non è difficile non intravedere un legame con quel calvario della vita che è anche il “calvario dell’arte”. Che non esclude altre istanze vicine al proprio percorso curriculare. Il quale, nel gioco labirintico e seducente di una “infinita scacchiera” può determinare la promozione in serie A dell’artista-concorrente. In questo scenario da combattimento ogni “calvario” ha un suo pedigree che con l’avvallo del mercato santifica gli sforzi e le ansie da protagonista sublimandole e catapultandole negli spazi eccellenti dell’arte. E perché, infine, al di là di ogni tendenza, di ogni cutting edge che si rispetti, come sostiene Nardon riferendosi oltre che alla Passiflora “l’arte è anche dolorosa”. Mario Sironi ebbe modo di scrivere: “L’arte non è mai abitudine pacifica. E’ lotta degli spiriti dentro e fuori di sé…..operare con tenacia…tener duro e saper soffrire…”.
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