La Lisson Gallery di Milano presenta opere-omaggio al Rinascimento lombardo con la prima personale italiana di Rashid Rana (1968; vive e lavora a Lahore, Pakistan), che ibrida e remixa codici occidentali con astrazioni orientali, in bilico tra figurazione e astrazione puntando sulla distorsione e la ridefinizione di immagini “iconografiche”. Sorprendono ma non emozionano i suoi collage di immagini digitali ispirate alle opere di Cesare da Sesto e Andrea Solari, milanesissimi pittori allievi di Leonardo da Vinci, che guarda caso aveva l’atelier dove c’è ora la Lisson, dal 1967 tempio dell’arte contemporanea globale.
Al piano terra ipnotizza Notions of Narrations (2013), un grande “arazzo” di frammenti di foto digitali, simili a tessere di un mosaico rielaborate in postproduzione. Rashid Rana in quest’opera ha scomposto e re-mixato la Salomè di Cesare da Sesto e la Madonna del cuscino verde di Andrea Solari, opere “pop” dei leonardeschi ammirate alla National Gallery di Londra e al Louvre di Parigi, che appartengono all’immaginario universale e dell’autore, raffinato cultore di storia dell’arte antica e moderna occidentale studiata in Pakistan. Le opere “tecno post-impressioniste” che avrebbero entusiasmato Georges Seurat esposte nella galleria milanese sono una parte della serie di Traslitterazioni, giocate sulla frammentazione e ricomposizione di un’immagine fino a renderla quasi irriconoscibile. L’artista “ipergettonato” nelle aste internazionali, è considerato, insieme a Subodh Gupta, tra i più noti protagonisti del Sud est asiatico: il suo linguaggio contemporaneo consiste nell’avere elaborato un alfabeto visivo complesso “glocal”, ad alta definizione, in cui tradizione e innovazione s’incontrano. Commenta Rashid Rana:
Il mio lavoro è spesso una negoziazione a tre vie tra me stesso, ciò che fisicamente mi circonda da vicino e gli stimoli che ricevo, attraverso internet, libri, la storia o il sapere condiviso (Art Review, 2013)
Seduce i nativi digitali la sua tecnica di fotomontaggi che, all’inizio, erano realizzati riposizionando manualmente i minuscoli “pixel” di immagini di opere ridotte a brandelli.
Rana si avvale di una struttura a griglia che evoca i cubi di Donald Judd, rimaneggia al computer opere famose come il ratto delle Figlie di Leucippo (1968) di Peter Paul Rubens, il Giuramento degli Orazi (1786) di Jacques Louis-David, prima smembrato e ricomposto sullo schema di un’altra foto che rappresenta un’esplosione di una motocicletta.
Sono meno decorative e smaccatamente seducenti, le sue prime opere esposte al piano interrato della galleria, concentrate sull’ambiguità visiva, sulla sovrapposizione di immagini cruente o pornografiche come quelle ispirate all’apertura del burqa (Veil, 2004).
Non perdetevi Red Carpet (2007), battuto all’asta da Sotheby’s a New York per oltre 600 mila dollari, in cui un centinaio di istantanee grafiche di macelli appaiono da lontano come tappeti persiani: seducono per appeal visivo, ma da vicino inquietano per i contenuti cruenti e di scottante attualità. S’imprimono nella memoria i suoi concettuali mixaggi tra politica e impegno civile, in cui orientale e occidentale si ibridano in una sintesi mirabile in cui nulla è come sembra e trionfa l’ambiguità della visione.
Rashid Rana
Lisson Gallery
via Bernardino Zenale 3, Milano
milan@lissongallery.com
www.lissongallery.com
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