Mi accingo a scrivere queste poche righe di introduzione alla terza edizione del Premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee, pensando ai reiterati segnali di debolezza che il sistema dell’arte contemporanea ha manifestato recentemente nel nostro Paese. Dalla nomina tardiva del curatore del Padiglione Italia per la prossima Biennale di Venezia, al divorzio del Mart di Rovereto dalla sua direttrice (che lamenta, in un’intervista pubblica, l’endemica mancanza di progettualità, «una sorta di indefinitezza, probabilmente dettata dalla crisi generale che investe le istituzioni culturali oggi»), alla cronica situazione di stallo che attanaglia alcuni musei che teoricamente dovrebbero rappresentare le eccellenze nazionali, primo tra tutti il Macro di Roma.
La stagione di euforia, vissuta una decina di anni fa grazie all’apertura di una serie di centri per le arti contemporanee, sembra essere stata davvero un ‘fuoco di paglia’, privo di una reale sostenibilità a lungo termine: è innegabile che la congiuntura economica ne sia un fattore determinante, ma un’onesta lettura della situazione evidenzia come quest’ultima abbia solamente allargato le crepe già presenti nel sistema italiano, che si avviava già allora a divenire sempre più marginale nelle scelte internazionali di maggior peso.
In questo scenario irto di difficoltà fortunatamente siamo in presenza di almeno due generazioni di autori emergenti, che portano avanti ricerche di grande qualità, sintonizzate sulle istanze globali; occorre garantire loro luoghi di visibilità e incontro con gli operatori in modo da dare una strutturazione ai rispettivi percorsi. Ma anche dei momenti di confronto con gli altri artisti per creare forme di dibattito e riflessione, distaccandosi da ogni tentazione di emulare il mito dell’artista isolato.
E sono proprio queste le motivazioni che il Premio Fabbri fa proprie, offrendo una panoramica aggiornata tra le più attuali istanze di ricerca, al fine di generare connessioni e sinergie.
Questa terza edizione del Premio si presenta come un quadro variegato di ricerche che riassumono le migliori tendenze contemporanee. Tra le opere finaliste anche quest’anno si registrano alcune ricorrenze significative: una forte presenza della videoarte, una vitalità delle ricerche pittoriche, e più in generale, un’attitudine a mettere in crisi i compartimenti mediali.
In quest’ultimo contesto, si inserisce Trofeo (2013), il lavoro di Barbara Prenka, vincitrice della sezione “Arte emergente”, rivolta agli under 35. Il dipinto, realizzato ad acrilico e olio, si libera infatti dei confini della tela, entrando nel territorio della pittura espansa attraverso l’amplificazione della dimensione oggettuale quasi a tradurre il tentativo di superare i vincoli materiali imposti dalle due dimensioni. La superficie dell’opera è composta da elementi che, nella loro fisicità, rimandano alla pelle: un’epidermide a brandelli che potrebbe provenire dal corpo scuoiato di un animale o essere la membrana residuale di un supplizio medievale. Pelle come elemento carico di significati: primo involucro esteriore dell’essere umano e superficie che porta i segni dello scorrere del tempo. L’artista, in questo come nei precedenti lavori, si rapporta alla tela con grande immediatezza, affidandosi ad un modus operandi seriale, che nel profondo conserva persino un aspetto ludico e personale: ogni gesto pittorico sembra la recita sussurrata di un mantra dove azione e pensiero sono inscindibilmente legati. La realizzazione del quadro diventa così un’implicita condivisione di esperienze e di memorie tra l’autore e il fruitore, tanto da esautorare ogni ulteriore narrazione, potendosi quest’ultima al contrario giocare sulla trasmissione di atmosfere.
Tra gli autori emergenti la giuria ha voluto attribuire le due menzioni a Martin- Emilian Balint e Silvia Giambrone.
Al primo per MEM-NON | The Butterfly Process (2014), video che racconta la realizzazione di una installazione interattiva. Qui, come in altri suoi lavori, l’artista rumeno vuole mettere al centro della riflessione il processo stesso che porta al compimento dell’opera d’arte, attribuendovi un valore concettuale indipendente.
La Giambrone invece è stata segnalata per il video della performance Teatro anatomico (2012), un sublime intreccio tra bellezza e violenza. L’azione vede un medico che applica a cucitura sulla pelle dell’artista un colletto di macramè: quest’oggetto, simbolo di un lavoro tipicamente femminile, è un modo per riflettere sul ruolo sociale della donna.
La sezione dedicata alla “Fotografia Contemporanea” è uno specchio delle ricerche metacomunicative, che introducono cioè un ragionamento sullo statuto del mezzo dell’immagine. Lungo questa linea si colloca il collettivo The Cool Couple, che ha trionfato con l’opera Cossackboots, Arta Terme #001 del 2013, parte del ciclo Approximation to the West sviluppato negli ultimi due anni. Gli autori sono partiti da un fatto storico, che è divenuto il pretesto per ragionare sulla geopolitica odierna, sulla complessità e sulla stratificazione dei paesaggi culturali, sul ruolo dell’artista. L’immagine mostra degli stivali militari, utilizzati durante l’invasione della Carnia in Friuli da parte di un’armata cosacca, assoldata durante il secondo conflitto mondiale. Lo specifico riferimento è solo il punto di partenza per innescare dei cortocircuiti di senso e attivare una dimensione critica nei confronti dell’immagine, ossia per andare oltre gli aspetti meramente realistico-descrittivi e l’apparente semplicità formale. La loro ricerca si muove in terreni ibridi, dove fotografia, video e installazione dialogano tra di loro per creare un articolato archivio di stimoli visivi. Questo ciclo è infatti composto da materiali già esistenti che si alternano a immagini che, citando abilmente differenti stili fotografici, sembrano eliminare ogni soggettivismo nella resa finale. La fotografia presentata al Premio Fabbri è stata realizzata con la tecnica, oggi del tutto desueta, dell’anaglifo: la scelta non è affatto casuale perché questa veniva utilizzata, tra le altre applicazioni, nella realizzazione delle mappe militari, creando così una sottile dialettica tra l’indagine storica e le tensioni estetiche che soggiacciono al lavoro.
Le due menzioni della giuria nella sezione dedicata alla fotografia contemporanea testimoniano l’attenzione riservata alla pluralità delle posizioni oggi emergenti. La prima è andata a IOCOSE, un collettivo che indaga, attraverso la commistione tra differenti mezzi espressivi, l’impatto delle nuove tecnologie sulla nostra società. L’immagine presentata, estrapolata dalla serie Drone Selfies (2014), ipotizza degli atti di vanità compiuti dai velivoli, che, una volta esaurita la loro funzione di videosorveglianza, si trovano a compiere alcune azioni quotidiane tipiche dell’uomo, come, ad esempio, osservarsi allo specchio.
Enrico Smerilli con Here is where we meet #15 (2013) si è aggiudicato la seconda menzione per un lavoro che ragiona invece sull’essenza stessa dell’immagine: lo spettatore deve mai fissato in una forma definita, rimanendo materia mutevole che deve essere ogni volta codificata dall’osservatore.
Per il secondo anno viene attribuito il Premio Acquisto Rotary Club di Asolo e Pedemontana del Grappa che, istituzionalizzando una forma di sostegno, crea una connessione con il collezionismo del territorio. L’opera premiata è Dreamers (2014) di Christian Fogarolli, nata dall’interesse dell’artista nei confronti dei fondi fotografici storici a carattere scientifico, come le immagini manicomiali, realizzate tra l’Ottocento e l’alba del Novecento. Da qui è nata la serie di opere intitolate Lost identities (2011-2012), dove era presente una marcata manipolazione delle immagini d’archivio con sovrapposizioni e mutamenti cromatici. I lavori più recenti, pur seguendo la medesima linea tematica, presentano tuttavia una formalizzazione minimale per cui l’intervento dell’autore si limita al recupero e all’accostamento di immagini preesistenti allo scopo di stimolare nuovi aspetti percettivi. Ciò permette all’artista di abbandonare la presunta oggettività che dominava i ritratti originari e di scavare nell’inconscio delle persone raffigurate. Nella fotografia di Fogarolli esposta vediamo una serie di persone con gli occhi chiusi, forse a causa di uno stato alterato di coscienza o più semplicemente per effetto di un battito di ciglia sopraggiunto al momento dello scatto. Quest’incertezza è un ulteriore modo per riflettere sui tanti giudizi avventati circa il ‘normotipo’, sull’omologazione e sugli scostamenti dai modelli, quando piuttosto simili presunte “anomalie”, già in epoca positivista, erano tali soltanto per (paradossale) difetto di cultura scientifica. Ma oggi quello che conta per l’artista non è tanto ricostruire con perizia la storia di quegli sfortunati pazienti o trovare una risposta a questi dubbi che si celano nelle cartelle cliniche e nell’anamnesi, ma lavorare su un piano differente, che rimetta al centro l’uomo.
La forza della manifestazione sta nella sua apertura ad una pluralità di punti di vista sull’arte contemporanea, così da dar vita ad una mappatura delle sue istanze più vitali – quelle cioè che, pur nell’ibridazione dei linguaggi, nelle differenti forme estetiche e nei contenuti tra loro distanti, mettono pur sempre al centro il processo e gli aspetti che ne hanno presieduto la realizzazione.
Carlo Sala è critico d’arte e curatore Premio Francesco Fabbri per le Arti Contemporanee
Fondazione Francesco Fabbri Onlus
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