POTERE ALLA PAROLA. ANZI NO, ALL’IMMAGINE

0 Posted by - July 11, 2017 - Approfondimenti

Il pretesto per parlare del potere evocativo dell’immagine è scaturito ieri, durante una studio visit (suona più fino all’inglese) da un artista che qui conosciamo già bene, cioè Giacomo Vanetti, visita effettuata in occasione dell’intervista che la brava e attivissima Annalisa D’Amelio gli ha fatto e che leggerete sempre qui sui nostri schermi, anzi paginette kritike.

Mentre i magnifici due realizzavano l’intervista, io spulcio nella biblioteca di Giacomo Vanetti e, scartabella di qua e sfoglia di là, a un certo momento mi imbatto negli scatti fotografici da lui realizzati nel lontano luglio 2001, in occasione del tristemente noto G8 di Genova.

Quel che ho trovato stupefacente in queste immagini è la loro maturità, al punto che potremmo dire che c’è già tutto, o in buona parte, Giacomo Vanetti lì dentro: vennero realizzate quando l’autore era piuttosto giovane e, presumo, con poca “esperienza visuale”, eppure questi scatti denunciano la presenza/assenza di un “punto di vista” già speciale.

Non è un semplice reportage e, se lo è, si tratta di un reportage che non sfigurerebbe affatto sulle pagine di prestigiose riviste come Epoca o L’Europeo, pubblicazioni periodiche che hanno fatto la storia del giornalismo -e del reportage- italiano. Il G8 di Giacomo Vanetti sembra realizzato già da un professionista con non poche ascendenze con la fotografia d’arte, forte di uno sguardo che a me pare già allora, in realtà, “poco italiano”.

Qui già intravedi l’attenzione per il corpo, il corpo umano ma anche il corpo di una strada devastata e il corpo di un’Alfa Duetto abbruciatae, soprattutto, quella “fede” nella distorsione, nel “rumore di fondo” dell’immagine che la screpola come un dipinto di Rembrandt fa esplodere l’incarnato di un corpo, con la differenza che qui non abbiamo colore, anche se quello di Giacomo Vanetti non è un semplice bianco e nero. Potremmo dire, come per alcuni pittori, che il suo colore è il nero?

Il G8 di Giacomo Vanetti mi ha dato poi lo stimolo a pensose riflessioni su un altro “raduno dei grandi”, cioè il recentissimo G 20 di Amburgo e al relativo potere “semantico” dell’immagine.

Non a caso, l’immagine principale di questo articolo è una fotografia di Giacomo Vanetti che raffigura un blindato della polizia.

Bon, partiamo a bomba.

Amburgo, G20, 2017. Fonte: ilgiornale.it

Guardate questa foto: è stata scattata tre giorni fa al G 20 di Amburgo, durante i disordini dei contestatori che, puntualmente a ogni convegno di “grandi” che si rispetti, erigono barricate, spaccano vetrine, bruciano qualche automobile, insomma fanno un po’ di cinema, come al solito, come gli adolescenti che ogni anno a ottobre manifestano contro il Ministero della Scuola o come cazzo si chiama.

Nel caso dell’usuale consesso dei “grandi” della Terra i colpevoli sono sempre gli stessi, con la novità dell’anno che ricorre di volta in volta, oggi per esempio la new entry è Donald Trump, l’unico che abbia osato opporsi a Barack Obama e ai lupi travestiti da agnelli che, dalla Cop21 sul clima, hanno deciso che bisogna nientemeno che far cambiare idea al sistema solare.

Ma non è di questo che voglio parlare, bensì del potenziamento del valore comunicativo che le immagini hanno ricevuto nel corso di quest’ultimo decennio, via Facebook naturalmente, rispetto al ruolo che esse avevano quando la comunicazione avveniva solo via tubo catodico e cartellonistica stradale con annessi e connessi sociologici.

E infatti abbiamo il rischio di tornare alla sociologia spicciola, per questo vado subito alla ciccia.

La ragazza di Amburgo ( quando scoverò il suo nome tirerò una riga sulla descrizione La ragazza di Amburgo e la sostituirò col suo nome di battesimo) è un’immagine che ha lo stesso potere evocativo di questa celeberrima immagine

THE TANK MAN also known as UNKNOWN REBEL – Video: CNN / Text: Wikipedia, the free encyclopedia / Photo: Jeff Widener. Fonte: vimeo.com – Ricerca per immagini contrassegnate per il riutilizzo non commerciale

ma con differenze che ne rovesciano totalmente il significato: nel primo caso una giovane donna, con scarpe griffate e fuseaux (saran quelli?) fluo ha il diritto, in una vasta porzione di mondo cosiddetto “libero”, di manifestare, scioperare e mandare affanculo “i potenti” in nome di idee imparaticce e raccogliticce che forse risistemerà quando diventerà grande, sapendo di poter financo salire su un tank con la certezza che al massimo i poliziotti le butteranno addosso un getto d’acqua per indurla a scendere dal blindato (è vero, Giorgiana Masi e Carlo Giuliani, furono vittime non di getti d’acqua ma di proiettili veri, ma queste sono due storie diverse).

Nell’altro caso, invece, abbiamo un giovane uomo, uno studente dell’Università in una piccola porzione di mondo che non era libero e non lo è nemmeno adesso (la Cina che all’epoca dello scatto, correva l’anno 1988, era una dittatura, mentre ora è sempre una dittatura ma si fa chiamare governo cinese): lì, in piazza Tienanmen, il giovane contestatore si era posto davanti al blindato dell’esercito e si spostava di un passo in direzione analoga ad ogni movimento del mezzo militare che gli stava a due centimetri dal naso.

Mentre con ogni probabilità La ragazza di Amburgo conoscerà le magnifiche sorti e progressive del marketing giornalistico e pubblicitario, all’oppositore cinese di piazza Tienanmen il destino avrà sicuramente riservato una delle due seguenti opzioni: 1) massacrato dagli sgherri del regime cinese insieme agli altri 30 000 feriti, oppure 2) ucciso insieme agli altri 2600 morti. Di lui, resta solo questa celeberrima immagine fotografica, scattata da Jeff Widener dell’Associated Press.

Avvicinate queste due foto: non sono così belle????

La giovane e quasi famosa contestatrice 5.0 di un paese aperto ha fatto una doccia che fa molto pubblicità quasi sexy, il giovane e ignoto contestatore di ventinove anni fa invece è stato asfaltato dal regime (in senso non figurato).

Potere all’immagine, dunque.

Dalle foto del G8 di Genova scattate da un giovane Giacomo Vanetti le riflessioni sull’affabilità dell’immagine in un’epoca caratterizzata dallo scaracchio delle stesse, da un ipertiroidismo iconografico 5.0 che, secondo me (e come già è stato detto qui), dovrebbe a questo punto indurre qualcuno (la minoranza silenziosa) a confidare nell’avvento di un po’di sana iconoclastia.

O a un parlare lieve, come le immagini di Giacomo Vanetti che lovecraftianamente sussurrano nelle tenebre di un rumore di fondo che le violenta e santifica.

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