POST-COMMUNIST NIGHTMARES – Stefano Mazzoni intervista Jacek Piotrowicz

2 Posted by - September 5, 2012 - Interviste

Nessuna ostalgia, nessun malinconica concessione al grigiore del comunismo. Le marionette di Jacek Piotrowicz sono i prigionieri stravolti di un passato privo di redenzione. Ne portano i segni sui volti e sui vestiti, persino nei loro gesti. Non offrono sconti al degrado di una vita agli sgoccioli, intestarditasi a non voler finire.

Ho incontrato le tue installazioni nella mostra No Budget Show 4 al MOCAK di Cracovia. Le tue marionette e le loro ambientazioni mettono in scena un incubo post-comunista, in cui ogni cosa, dai corpi alle stanze, dal cibo ai vestiti, manifesta un disperato stato di decadimento. Solo il ritratto del vecchio presidente Bolesław Bierut alla parete sembra restarne immune… Che importanza ha la PRL nel tuo lavoro? Perché il tuo immaginario si concentra sul passato comunista della Polonia?

I tempi della PRL hanno influenzato molto il mio stile. Sono nato nel 1973 e gli anni vissuti nella Polonia comunista hanno lasciato un segno, nonostante i tempi siano cambiati e ora io viva in una realtà completamente diversa. Oggi è tutto più bello e colorato, mentre queste immagini sono squallide, sporche, dagli edifici scalcinati, con grigie figure che si alzano la mattina per andare a lavorare in fabbrica. Hanno una tristezza terribile nei loro sguardi, e si trovano circondate da prodotti scadenti, avvolti in carta marrone. Tutto ciò si trova ancora da qualche parte in me, penso che si tratti di un segno indelebile, rimasto impresso nella sensibilità di un giovane cresciuto in quegli anni. E davvero è per me completamente incomprensibile la nostaglia di oggi per i tempi della PRL, per quello che allora era semplicemente brutto e di cattivo gusto e che ora sembra raggiungere lo status di “oggetto di culto”. Hai usato due parole nella tua domanda: decadimento e incubo. Penso che descrivano molto accuratamente questi tempi e riflettano l’atmosfera in cui sono immersi i miei lavori.
Talvolta mi capita ancora di incontrare dei luoghi in Polonia che sono rimasti esattamente così, come se nulla fosse cambiato…

Quando hai iniziato a realizzare i tuoi pupazzi? Quado hai deciso di dare in questo modo una nuova forma a questo mondo perduto?

Da quel che mi ricordo, mi è sempre piaciuto costruire figure, di creta o di argilla, ma non ho avuto una formazione artistica. All’inizio si trattava di angeli o altre figure, poi ho iniziato a sviluppare questi lavori… Quando mi è venuto in mente di mostrare il mondo in questo modo? Difficile dirlo… ma ripensandoci non riesco ad immaginare che avrei potuto fare altrimenti…

Come realizzi le tue marionette e i loro ambienti? E dove li conservi? Immagino che richiedano parecchio spazio, e che magari siano ospitati in una terribile stanza delle bambole…

Sviluppo il mio lavoro nella casa in cui vivo, nella stanza in cui dormo. Il mio letto è circondato da modellini, bambole e strumenti, quindi, volente o nolente, vivo nel mondo di queste marionette. Le posso vedere prima di addormentarmi la sera e al mattino quando mi alzo. La buona notizia è che ancora non le sogno durante la notte…

I miei pupazzi sono fatti di argilla, plastilina e filo, i loro vestiti sono cuciti da mia moglie Sylwia e da mia cugina Daria. La scenografia è realizzata con legno, plastica e cartone. Si tratta per lo più materiali di recupero, trovati da qualche parte – in cantina, nella spazzatura, in baracche abbandonate. Ad esempio, è molto importante per me il legno di vecchi mobili. In generale, cerco di scovare i materiali, piuttosto che reperirli sul mercato. Del resto, il titolo della mostra in cui espongo è proprio No Budget.
Al momento, ho molto spazio in casa, perché le marionette insieme ai loro ambienti sono a Cracovia e probabilmente non torneranno prima di ottobre, ma non è ancora detto, perché sono già stato invitato ad esporre all’estero…

Nell’introduzione alla mostra NO BUDGET, Robert Kusmirowski sottolinea che alcuni dei lavori presentati non sono stati pensati per essere esposti. Immagino che sia questo il caso delle tue opere, che non mi sembrano pensate per essere soltanto “oggetti da esposizione”. Quale rapporto hai con le tue creazioni?

Ad essere sinceri, non pensavo che avrei esposto ora il mio lavoro. Mi sembra che ci sia ancora molto da fare, prima che tutto rispecchiasse i miei desideri. Ma alcune persone mi hanno spinto ad organizzare una mostra fotografica in collaborazione con Pracownią SOS Sztuki e la Galeria Pomost di Lublino. Ogni successiva mostra fotografica è stata diversa dalla precedente, nel frattempo sono stati creati nuovi oggetti e l’intero progetto “Marionette” ha preso slancio. Ho sempre sognato di fare un film d’animazione in stop motion, e soltanto ora questo sogno sta diventando realtà, tra l’altro proprio grazie al fatto che il mio lavoro è stato esposto, ho incontrato su internet persone fantastiche con passione e conoscenza di questo strumento, e spero che riusciremo presto a sviluppare le nostre idee.

A chi ti ispiri nel tuo lavoro? Stavo pensando ai dipinti di Duda Gracz o ai pupazzi di Nathalie Djurberg…

Non mi ispiro alla creatività di nessun altro. Mi sembra che le mie idee siano nate molto tempo fa, ma per varie ragioni non era stato possibile realizzarle. Ho dovuto aspettare il momento giusto. Ho sempre sentito la necessità di creare. All’inizio seguivo piccoli progetti, che con il tempo si sono fatti via via più complessi. Ho dovuto vedere alcune cose, imparare ad essere paziente e più umile. Di certo, è stato molto importante aver ottenuto uno spazio adeguato allo sviluppo di queste mie idee. Ma ritornando alle mie fonti di ispirazione, la prima cosa davvero importante è ciò che incontro nella mia vita quotidiana. Infatti, lavoro come archivista, per la maggior parte del giorno sono circondato da carte, documenti, vari fascicoli con pagine che registano storie di alcune persone, i loro destini, i loro drammi. Ogni cartella contiene atti che mostrano vite confuse, spesso molto tragiche. Così migliaia di faldoni non contengono soltanto pagine ingiallite, ma anche diverse migliaia di storie differenti, stipate insieme sugli scaffalli dell’archivio, l’una accanto all’altra, e sono enormemente affascinato dai segreti che svelano.
Una seconda importante fonte di ispirazione è il volto umano, a volte una singola smorfia o una stupida espressione, uno sguardo, quello che si esprime in un singolo momento, e ciò che possiamo leggere o indovinare dietro di essi. Come terza cosa, vorrei aggiungere le ispirazioni letterare e cinematografiche. Ma non mi piacerebbe che qualcuno dicesse: “Jacek Piotrowicz ha fatto qualcosa che ricorda questa o quest’altra opera o questo e quest’altro artista”. Vorrei che la forza principale, il merito delle mie opere fosse unico.

Come facilmente intuibile dal loro titolo (Marionette), le tue opere hanno un marcato aspetto teatrale. Al Mocak, l’esposizione le mostrava attraverso una sorta di palcoscenico, da cui la “quarta parete” era rimossa, attraverso la quale ci si poteva avvicinare e osservare la scena. Quanto è importante la relazione con lo spettatore nel tuo lavoro?

Mi fa molto piacere che tu abbia notato questa teatralità. Era proprio quello che volevo ottenere, un effetto teatrale e straniante, in particolare facendo delle foto, sperimentando l’illuminazione, impostando i mobili e gli oggetti di scena, le decorazioni e i pupazzi in differenti situazioni, come se fossero su di un palco. Da qui viene il titolo della mia mostra, Marionette, i piccoli attori di argilla e filo del mio teatro, sono io a tirare le loro corde e a decidere cosa faranno. Ma cosa accade quando li guardiamo? Questo non lo so con sicurezza. A volte, mi è stato detto che si ha l’impressione che tutto sia sul punto di animarsi.
Inizialmente non volevo realizzare questa “quarta parete”, ma aggiungere uno spioncino, come quello presente sulla porta di casa, in modo che potessimo giocare a fare i voyeur, spiando con un occhio solo questo strano mondo. In secondo luogo, lo spioncino poteva aumentare l’effetto surreale di questo piccolo mondo, senza tradirne le dimensioni.
Ma in questo modo, si sarebbero persi molti dettagli ed elementi importanti per l’effetto complessivo, che sarebbero rimasti invisibili allo spettatore. Per questo, insieme a Robert Kuśmirowski, che mi ha dato modo di mostrare il mio lavoro in un posto eccezionale come il MOCAK, abbiamo deciso di mostrarlo attraverso questa semplice “quarta parete”. Ma spero di riuscire a ritornare all’idea dello spioncino in un’altra realizzazione.

Che ruolo ha la fotografia nel tuo lavoro? Alcune tue mostre precedenti esponevano soltanto fotografie delle tue installazioni…

La fotografia ha un ruolo molto importante. Le mie prime quattro mostre erano di marionette ritratte in fotografie, fatte insieme al mio amico Adam Ziomka. Mostrare il mio lavoro in questo modo, ha introdotto una serie di fattori importanti: lo spettatore non sa quali siano le dimensioni reali dei miei modelli e dei pupazzi. Talvolta si chiedevano dove si trovassero i luoghi di queste foto, o se questo piccolo mondo fosse stato creato al computer. Si trattava di una modalità di fruizione che avevo voluto appositamente ed ero curioso di come lo spettatore avrebbe reagito e alcuni non potevano credere che si trattasse semplicemente di modelli. Un elemento molto importante della mostra fotografica è stato il manifesto, che ho realizzato insieme a mia moglie Sylwia; mostrava metà del mio volto a fianco di uno dei burattini ed è stato l’unico indizio per suggerire agli spettatori le dimensioni dei miei lavori. Ma comunque, non tutti vi hanno fatto attenzione, e alcuni hanno pensato che si trattasse di immagini manipolate al computer. Ma tutte le fotografie realizzate da me e Adam dovrebbero essere sempre accompagnate dallo slogan “NO PHOTOSHOP”.

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