L’eccezione culturale del porno. Oltre alle penetrazioni multiple c’è di più.
Giovanna Maina è la co-curatrice del (densissimo) volume collettaneo Il porno espanso. Dal cinema ai nuovi media, edito da Mimesis. Qui la pornografia audiovisiva esce dal ghetto ed entra in Accademia direttamente dalla porta d’ingresso. Nel suo saggio Piaceri identitari e (porno)subculture Giovanna Maina passa in rassegna quel che offre il convento, nella fattispecie quell’erotismo subculturale altro (eroticBPM.com, GothicSluts.com, SuicideGirls.com, FurryGirl.com, Toxxxy.com) rispetto al porno mainstream. Non senza prima averci offerto qualche bocconcino metatorico sui concetti di realtà (degli atti sessuali), piacere e statuto identitario del cosiddetto alt porn. Ne abbiamo parlato con lei.
Cara Giovanna, nel tuo saggio ti soffermi sulle pratiche “sub culturali” rispetto al porno “codificato”, insistendo in particolar modo sul concetto di costruzione identitaria e appartenenza comunitaria del cosiddetto alt porn. Illuminaci
La questione dei legami tra porno e pratiche subculturali è piuttosto complessa, così come lo è quella del rapporto tra media digitali e creazione “dal basso” o grassroots… Per semplificare, si potrebbe dire che con la proliferazione e moltiplicazione di pornografie seguita alla svolta digitale, la pornosfera ha esteso la propria influenza fino ad abbracciare configurazioni identitarie un tempo “escluse” dalla rappresentazione pornografica dominante: pensiamo ad esempio al porno di celluloide degli anni Settanta, prevalentemente eterosessuale e orientato “al maschile”, che proponeva film “generalisti” (cioè non settorializzati in base ai gusti sessuali o alle pratiche mostrate); e pensiamo invece a Internet, all’esplosione e all’ipersettorializzazione del porno contemporaneo, in cui ogni parafilia o identità trova diritto di cittadinanza. Questa situazione, se da una parte ha aperto uno spazio all’interno della rappresentazione pornografica anche a identità sessuali non eteronormate e/o queer, dall’altra ha anche costruito quasi ex novo precise nicchie di mercato. La nascita e lo sviluppo di pornografie alternative “subculturali”, cioè legate ad alcune subculture musicali (come punk, goths, ravers, rockabilly…), potrebbe essere vista semplicemente come l’ennesima “conquista” dell’industria del porno, che ha capito come creare un nuovo settore di mercato arrivando a raggiungere un particolare tipo di consumatori che non erano appagati (soprattutto dal punto di vista estetico) dal porno cosiddetto mainstream. D’altro canto, però, in alcuni casi le comunità subculturali a cui questo tipo di porno fa riferimento esistono realmente, quindi succede che i prodotti categorizzati come “alt” sono davvero espressione di una creatività grassroots e non il prodotto di semplici trucchetti di marketing… Altra cosa ancora è il cosiddetto queer porn, che fa riferimento a questioni identitarie ben più radicate e sfaccettate, che non si risolvono banalmente in particolari gusti musicali o in un determinato taglio di capelli… In questo caso, alla produzione pornografica si legano istanze di rivendicazione, discorsi politici, pratiche di militanza.
Dalle pruderie antipornografiche all’approccio metateorico al porno come fenomeno culturale, con approfondimenti sulle sue molteplici diramazioni e pratiche: secondo te, v’è ancora qualcosa da sdoganare in questo variegato mondo?
Lo studio del porno, soprattutto a livello universitario, è tutt’altro che sdoganato, almeno a livello italiano. Diverso è il caso, ad esempio, dei paesi anglosassoni, dove i Porn Studies sono una realtà affermata e molto produttiva. L’idea che sta alla base dei Porn Studies è quella di sottrarre lo studio del porno dall’alveo prettamente sociologico in cui è stato tradizionalmente relegato. Fino alla fine degli anni Ottanta, infatti, il porno veniva studiato quasi esclusivamente con l’intento di coglierne le implicazioni socio-comportamentali, spesso con un preinvestimento ideologico “negativo” e con una concezione essenzialista della pornografia (nella quale il porno, cioè, è visto come una costruzione monolitica e priva di evoluzioni o specificazioni interne). Alla fine del decennio, con il seminale Hard Core. Power, Pleasure and the “Frenzy of the Visible, Linda Williams ha per prima posto l’attenzione sulla pornografia come forma culturale complessa, tentando di scardinare questa idea del porno-monolite e di andare a indagare il porno audiovisivo nella sua complessità storico-generica. A questo suo saggio sono seguiti numerosi altri studi in USA e in Gran Bretagna, che sono andati tutti più o meno in questa direzione. Ma la strada è ancora lunga, ripeto, soprattutto in Italia.
Spiegaci in due parole quali sono le cause, secondo te, di questa “innegabile esplosione di materiali sessualmente espliciti” (dalla tua citazione di Linda Williams) nella società contemporanea: questa rilassatezza di costumi sarà mica da ricondurre solamente alle applicazioni della tecnica? (Web 2.0 et cetera)
In due parole è difficile! Diciamo che si tratta senza dubbio di un processo di erosione dei tabù sessuali che parte da molto lontano e che ha portato progressivamente alla “normalizzazione” della pornografia all’interno della mediasfera contemporanea. Certamente, in questo processo (descritto anche da Peppino Ortoleva ne Il secolo dei media) ha giocato un ruolo importantissimo il radicale mutamento dei costumi e della visione del mondo che è seguito alla cosiddetta rivoluzione sessuale della fine degli anni Sessanta. Da un certo momento in poi, è come se si fosse cominciato a “parlare” il sesso più liberamente (oltre che a praticarlo): questa diffusione di molteplici ed eterogenei discorsi sul sesso (dalla sessuologia al femminismo alla diffusione del nudo nel cinema e via dicendo), ha in qualche modo preparato il terreno prima di tutto alla liberalizzazione del porno (ricordiamoci che fino alla fine degli anni Sessanta era assolutamente illegale) e in secondo luogo a una sua graduale “banalizzazione“. La condizione contemporanea rappresenta senza dubbio la continuazione e la radicalizzazione di questo processo. E, senza voler sfociare nel determinismo tecnologico, sono certa che le trasformazioni produttive, distributive, fruitive e addirittura percettive che hanno seguito l’avvento del digitale hanno avuto un ruolo fondamentale nella pervasività che la pornografia ha raggiunto nel mondo di oggi.
L’anarchico pazzoide e filosofo della scienza Thomas Kuhn parlava di rovesci di paradigmi e di rivoluzioni nel passaggio da una teoria all’altra dell’impresa scientifica: secondo te stiamo assistendo a un cambiamento di paradigma anche nell’ambito del porno? Mi riferisco alla sua esecuzione e alla sua fruizione.
Nella sua storia, che è lunga quanto quelle delle immagini in movimento, la pornografia audiovisiva è passata attraverso tutta una serie di cambi di paradigma. Pensiamo, come dicevo prima, alla fine degli anni Sessanta. Fino a quel momento, esistevano soltanto gli stag film, cioè brevi filmati, generalmente muti e in bianco e nero, che circolavano illegalmente (solitamente a mezzo postale) ed erano visibili solo in case di collezionisti, club per soli uomini o (soprattutto) bordelli. A partire dalla prima “liberalizzazione” all’inizio degli anni Settanta (nei Paesi Scandinavi e negli USA, e successivamente in tutta Europa), il porno ha assunto la forma del lungometraggio di finzione (pensiamo a Gola Profonda e simili) e la fruizione di pornografia è passata alle sale cinematografiche, diventando così pubblica e legale (sebbene ancora fortemente stigmatizzata dal punto di vista “morale”). Con gli anni Ottanta e l’introduzione del video, ancora una volta i paradigmi produttivi e fruitivi sono cambiati radicalmente: la versatilità e la relativa economicità del video ha causato innanzitutto una crescita esponenziale della produzione e una moltiplicazione di prodotti (si pensi alla nascita dell’amatoriale, delle pornografie settoriali, al relativo accantonamento della forma “film di finzione” per abbracciare anche altre forme rappresentative più brevi e pseudo-documentaristiche, et cetera…); in secondo luogo, la diffusione del VCR ha riportato la visione di porno tra le mura domestiche e ha facilitato l’accesso ai materiali hardcore anche a settori di pubblico che prima avevano qualche difficoltà, come ad esempio le donne… Con la svolta digitale, questo processo si andato sempre più consolidando e la diffusione del porno è diventata, come si diceva, sempre più pervasiva. Una delle grandi “innovazioni” del Web 2.0, per esempio, è stata quella di aprire nuove piattaforme distributive (si pensi al peer-to-peer o ai vari siti “free” modellati su youtube) che hanno permesso agli utenti di diventare pro-sumer, consumatori-produttori. Certo, questo è ovviamente un processo che riguarda tutti i contenuti audiovisivi, non solo il porno… tuttavia nel nostro caso l’idea di poter finalmente creare e distribuire “la propria pornografia” attraverso canali indipendenti e/o legati a comunità “virtuali” ha certamente un potere “rivoluzionario” (si pensi al concetto di Real Core esplorato da Sergio Messina). E anche a livello, diciamo, “commerciale”, la rete ha permesso la nascita e lo sviluppo di forme intermedie tra il singolo amatore-esibizionista e le grandi corporazioni del porno (le mega case di produzione statunitensi come Vivid e Digital Playground, per esempio): esistono, cioè, siti a pagamento condotti da una persona sola o da una coppia, con una struttura per così dire “artigianale”… E ancora, la mobilità e la portabilità degli smartphone hanno riportato paradossalmente la fruizione del porno nella sfera pubblica, almeno in potenza… L’ultimo grande cambio di paradigma a cui stiamo assistendo in questo momento è il ritorno del “live”: in un contesto in cui la pirateria, il file-sharing e la moltiplicazione dei contenuti ha in qualche misura de-valorizzato il potenziale di rendita del prodotto audiovisivo, si stanno affermando sempre di più come formati dominanti le forme “interattive” (ad esempio le web-cam o gli eventi live su internet), alle quali cominciano a partecipare anche pornostar affermate e nel cui giro d’affari stanno cominciando a entrare anche le grandi corporation… come se stessero quasi trasformando il settore dei film o delle clip porno in un mercato per così dire “ancillare”…
La filosofia è spesso scesa, dal cielo iperuranio delle speculazioni sulle idee, al pianerottolo della corporeità (Deleuze & Guattari, Bataille, Melreau-Ponty, chissà perché son tutti francesi): qual è, secondo te, l’accezione del corpo nel porno, specialmente nell’ambito dell’alt porn?
Questa è davvero una domanda difficile… io non mi sono mai posta quesiti di natura “filosofica” sul porno, visto che la mia formazione di studiosa di cinema mi impone di prendere in considerazione oggetti, testi, contesti e non “idee”. Che ti posso dire? Al grado zero della speculazione, ti potrei dire che senza il corpo la pornografia non esisterebbe… una sorta di condicio sine qua non del porno, sia da un punto di vista rappresentativo (sono i corpi a essere messi in scena) che fruitivo (è attraverso reazioni corporee che il porno acquisisce valore come genere di discorso). Se uno volesse poi andare un pochino più a fondo (sempre se ho capito la domanda!), così come non si può a mio giudizio parlare di porno in senso astratto o trascendentale, ma si devono sempre tenere presente le diverse specificità che il porno ha assunto durante la sua storia e nelle sue diverse incarnazioni discorsive e “geografiche”, non si può nemmeno parlare di UN corpo, al singolare, ma di TANTI corpi… cioè di diverse accezioni del concetto di corpo. Nel porno mainstream (prendendo con le pinze una definizione che suona un po’ troppo generica e spesso comporta una sfumatura di diffidenza, come se “mainstream” fosse sinonimo di “male”), sembra esserci una tendenza all’omologazione e alla plastificazione del corpo, quasi che l’intento fosse quello di mettere in scena dei rapporti sessuali “iperuranici” performati da corpi assimilabili a un ideale di perfezione generalizzato e standardizzato. Il tentativo, non sempre riuscito, dell’alt porn, è quello di uscire da questo livellamento etico-estetico e proporre una diversa rappresentazione del corpo e del sesso, contemplando anche ideali di bellezza diversi da quello astrattamente inteso come mainstream… ma anche qui si rischia di ricadere nello stereotipo e nell’affiliazione subculturale obbligata (tatuaggi, capelli colorati, qualche chilo di più ma non troppi e così via…). Altro discorso è quello che viene condotto all’interno della pornografia ascrivibile al queer (ad esempio siti come NoFauxxx o CrashPadSeries…): qui si tenta di portare avanti una radicale messa in discussione non solo della standardizzazione dei modelli di corpo ma anche dello stesso concetto di genere, proponendo un’idea di fluidità delle identità e combattendo una concezione essenzialista e categorizzante dei generi e delle preferenze sessuali (maschi vs femmine vs trans…oppure etero vs gay vs lesbiche e così via…). Fino a un capolavoro della ridiscussione del genere e degli attributi corporei come Buck Angel, a real man with a real pussy…
All’inizio del tuo saggio ti interroghi sullo statuto di realtà degli atti sessuali mostrati nei porno audiovisivi (e a dirtela tutta non m’è tuttora chiaro come risolvi la questione): in una temperie storica in cui l’etere del web la fa da padrona, quanto conta, nel porno fatto e utilizzato, la carnalità? Mi vengono in mente Questo sesso che non è un sesso di Luce Irigaray e …E il piacere? di Nicoletta Poidimani, che pure andavano in altra direzione…
Dal momento della sua nascita come forma “istituzionalizzata” (nei primi anni Settanta), la fissazione del lungometraggio pornografico è stata quella di rappresentare (visivamente e narrativamente) il piacere. Per questo motivo, fin da subito la grammatica del porno audiovisivo aveva creato una sorta di “strumento” codificato della rappresentazione del godimento fisico, che era il cosiddetto money shot, ovvero l’inquadratura ravvicinata del pene nell’atto di eiaculare. Senza money shot non esiste hard, si diceva durante la Golden Age del porno. Tutte le scene di sesso rappresentate nei film hardcore, perciò, avevano una struttura lineare, che (con le dovute differenze “sintattiche” a seconda del film) seguiva da vicino la codificazione sessuologica del rapporto sessuale (eccitazione, preliminari, rapporto vero e proprio, climax). Oggi la situazione è un po’ diversa, nel senso che sembra proprio che la rappresentazione del piacere non sia più la priorità assoluta della pornografia audiovisiva. Soprattutto in alcune forme più “estreme” (come alcuni esempi di gonzo), la carnalità pornografica è diventata una sorta di corporeità “sportiva”, dove non è tanto il piacere a essere messo in scena, quanto la performance, la dilatazione-manipolazione dei corpi dei perfomer, la resistenza alla “fatica”, lo spostamento del limite delle capacità fisiche. Lo stesso sperma, che una volta era il sigillo del piacere, oggi appare in forme iper-feticizzate (i cosiddetti facials o il famigerato bukkake, per esempio) e non ha più quel preciso valore a livello di produzione di senso. Quindi, se ho capito la domanda, la carnalità è ancora e sempre centrale nel porno, solo che spesso assume forme inedite e meno legate alla rappresentazione “realistica” o anche solo “verosimile” degli atti sessuali.
Un’ultima domanda: ma tu, con che occhi lo guardi un porno?
Questa è l’eterna contraddizione dello studioso che si occupa di arte, letteratura, spettacolo… Come fare a mantenere l’oggettività dell’analista e ad accogliere il turbamento dello spettatore allo stesso tempo? Uno studioso di film dell’orrore può forse smettere di avere paura?
Touché…
Il porno espanso. Dal cinema ai nuovi media, Enrico Biasin, Giovanna Maina, Federico Zecca, Mimesis, Milano, 2011
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