Non perdetevi la mostra Pollock e gli irascibili. La scuola di New York, di scena a Palazzo Reale a Milano, promossa dall’Assessorato alla Cultura, prodotta da “24 ORE cultura”, Arthemisia Group e Whitney Museum di New York, curata da Carter Foster – conservatore del Whitney – in collaborazione con Luca Beatrice.
Dal 1947 con il dripping. Picasso è superato e da questo momento l’Europa perde il suo monopolio culturale e artistico: New York diventa la capitale dell’arte con il primo movimento americano autoctono, l’Espressionismo Astratto, incentrato su un gruppo di artisti legati non da uno stile comune ma dall’interesse a dar vita a un linguaggio nuovo che si contrappone sia alle avanguardie europee che al realismo sociale di moda in America negli anni Trenta. Nasce la Scuola di New York, con Jackson Pollock, Willem de Kooning, Franz Kline, Arshile Gorky, Robert Motherwell, Ad Reinhardt, Philip Guston, Mark Rothko, Adolph Gottlieb, Clyfford Still, David Smith, Barnett Newman, David Smitht e la moglie di Pollock Lee Krasner
La celebre definizione appare per la prima volta nel 1946 in un articolo pubblicato sul New Yorker a firma del critico Robert Coates, ma diviene d’uso comune solo dopo il 1950. Il dripping introduce un gestualismo irruente, violento e icastico e alla figura sostituisce il segno, aprendo nuovi orizzonti formali ai confini dell’astrazione.
Al piano terra di Palazzo Reale sfilano quasi cinquanta opere degli “irascibili”, un gruppo di artisti così definiti dal quotidiano Herald Tribune nel 1950 in seguito a una lettera di contestazione al presidente del Metropolitan Museum Roland L.Redmond e pubblicata in prima pagina sul New York Times in occasione di una mostra sull’arte americana in cui gli esponenti del nuovo linguaggio si lamentarono della loro esclusione. Quindici di questi “ribelli” sono ritratti in un celebre scatto di Life esposto nella prima sala che apre il percorso espositivo, in cui riconoscerete Jackson Pollock (1912-56), fisico scattante, sguardo tenebroso, sigaretta appesa alle labbra, icona dell’arte immortalata dal cinema, ritratto mentre “danza” intorno a una tela disposta a terra, schizzando colori da un pennello, come si vede nel video che documenta il suo processo esecutivo del dripping con addosso un paio di jeans scuri arrotolati alla caviglia sullo stile Marlon Brando nel film Il Selvaggio. Il suo genio e sregolatezza implementano la letteratura romantica intorno agli artisti maudit dalla personalità autodistruttiva e incline all’uso di droghe e di alcool. Pollock, scomparso a soli 44 anni, rappresenta l’archetipo di una gioventù ribelle, incarnata da James Dean in Gioventù bruciata, sullo stile di On the Road di Jack Kerouac, che con lui ha condiviso una morte violenta e precoce.
In mostra, di Pollock, ci sono i disegni giovanili e l’opera di circa tre metri di lunghezza Number 27 (1950), un “saggio” di sgocciolamento realizzata sotto l’influenza delle danze rituali delle popolazioni americane precolombiane, il muralismo messicano e l’automatismo gestuale ereditato dal surrealismo che aveva introdotto la pittura ritmica come libera espressione dell’inconscio, scevra da limiti razionali. Nel dripping, grazie all’allestimento multimediale dello Studio Castagna Ravelli, entrerete virtualmente, guardando sdraiati su materassi,dal basso verso l’alto, una tecnica che per l’artista americano diventa l’unico mezzo di relazione con la superficie della tela posta a terra, in cui gesto e colore (Action Painting ) si fondono magistralmente, aprendo la strada alla performance, come approfondirono gli artisti “ribelli” giapponesi, nell’ambito del movimento Gutai, sperimentatori di un’arte legata alla pittura d’azione, alla performance, all’happening. Questo linguaggio, nervoso, impulsivo, gestuale, che rifugge ogni ridondanza decorativa del colore, esplode in una tensione elettrica che spiazza lo spettatore per contrasti violenti, paragonabili alle improvvisazioni jazz di note stridule del sax di Charlie Parker. Non perdetevi la sala di Franz Kline (1910-1962) che, dopo aver abbandonato la figura, approda a composizioni astratte, monocrome bianche solcate da larghe bande nere, ideogrammi ottenuti a colpi di spatola o di pennello: una pratica che introduce una spazialità monumentale dall’energia ipnotica. Cercate Sam Francis (1923-1994), formatosi in Europa, che contrariamente agli altri espressionisti astratti elabora un linguaggio basato sullo spruzzo, sulla macchia, evidenziando valori tattili e volumetrici del colore. Chiudono la mostra i protagonisti del colorfield paintig, che condividono una sorta di pittura astratta metafisica intellettuale, capitanata da Barnett Newmann (1905-1970), riconoscibile per campiture cromatiche dilatate a dismisura in orizzontale, con rigore geometrico, Mark Rothko (1903-1970), che nel 1947 elimina qualsiasi segno o forma a favore di campiture cromatiche pure, caratterizzate da stratificazioni di colore, l’uno sull’altro, dalla luminosità irresistibile e trasparente, come dimostra la sua opera Untitled (Blue, Yellow, Green on Red (1954) e Ad Reinhard (1913-1967), il quale s’ispira a Malevic nella pratica di eliminare le sfumature e i toni cromatici con l’obiettivo di ridurre ogni variazione all’essenziale monocromo o del nero, delineando forme geometriche, una ricerca iconoclasta che aprì la strada al minimalismo.
leggi anche la recensione di Dejanira Bada
Pollock e gli irascibili-La scuola di New YorkPalazzo Reale
Piazza del Duomo 12, Milano
elenamaria.conenna@comune.milano.it
www.comune.milano.it
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