Dov’è il rombo di tuono degli anni Cinquanta? Dov’è il fermento artistico che pulsava a ogni angolo di strada a New York in quel periodo? Dov’è la melodia tagliente e trascinante del Be-bop? Dov’è il suono sincopato delle parole della Beat Generation? Siamo a Milano a Palazzo Reale, dove dal 24 Settembre al 16 Febbraio 2014 è in mostra Pollock e gli Irascibili – La scuola di New York. Ma forse proprio perché siamo in questa città l’evento in questione sembra più la location fighetta per un aperitivo nella Milano da bere.
E’ stata riservata particolare attenzione all’allestimento minimal dai colori scuri e all’illuminazione nel tentativo di infiocchettare una mostra carente. E lo si capisce da subito, non appena viene varcata la porta d’ingresso. Ad accoglierci il bookshop, che di solito troviamo alla fine. Prima di vedere un quadro dobbiamo attraversare diverse stanze, non prima di aver letto in breve e in maniera non approfondita tante storie: quella del Whitney Museum (prestatore delle opere), di Pollock e di quegli anni incredibili e quella dell’espressionismo astratto: meno di duemila battute appiccicate a un muro – per chi volesse sono anche disponibili le audio guide gratuite. Viene anche proiettato il film Jackson Pollock by Hans Namuth. Ma siamo qui per vedere i quadri. Durante tutto il percorso siamo disturbati da questi maledetti video dai volumi insopportabili, tra cui anche la pur interessante intervista fatta a Luca Beatrice, che insieme a Carter Foster è il curatore della mostra. Poi finalmente arrivano i primi schizzi di Jackson Pollock e i quadri, come Number 17, Fireworks, (1950), una piccola tela che non rende giustizia alla grande arte del maestro. Ma eccolo, è lui, Jackson Pollock, Number 27, il più “famoso” (?). Le dimensioni aumentano. I lavori di Jackson sono materia viva gettata con impeto primordiale sulla tela che giace a terra. Potrebbe schizzarti addosso da un momento all’altro. Ma come diavolo è illuminato? Qui tutto appare piatto. Di solito ci si sofferma a lungo su un dipinto di Pollock, trattenuti dai viscosi filamenti colorati che come emanazione del suo sistema nervoso si intrecciano al nostro. Invece proseguiamo delusi. Non vale la pena di farsi accecare da quella luce fredda e troppo schiacciante che rovina il dipinto. A un certo momento, di Jackson neanche l’ombra: la parte restante della mostra è dedicata ad altri artisti del gruppo, tra cui Hans Hofmann presente con Orchestral Dominance in Yellow del ’54, Adolph Gottlieb con The Crest, 1959, un bellissimo Franz Kline, Mahoning, del 1956, l’olio su tela di Barnett Newman, The Promise, 1949. Per fortuna c’è anche Willem de Kooning con Landscape Abstract, c. 1949 e Woman Accabonic del ’66. E poi lui, illuminante come sempre, Mark Rothko, con Untitled (Blue, Yellow, Green on Red) del 1954 e Untitled del ’63. E meno male che ci sono questi Colour Field Paintings che fanno perdere la cognizione del tempo. In questo caso la pittura si fa fluida, ogni confine è abbattuto. Guardandoli si perde la cognizione dello spazio. Il nostro io si fonde nei campi di colore in una sorta di emozionato timore reverenziale.
Ma la mostra è già finita. Manca qualcosa. Regna l’approssimazione, non c’è sostanza. Questa è una mostra nazionalpopolare, la blanda copia di un’esposizione già proposta nel 2002, sempre a Palazzo Reale, un esaustiva e ricchissima mostra dal titolo New York Renaissance. Masterworks from the Whitney Museum of American Art, dove si erano già viste le stesse identiche opere, compreso il Number 27 di Jackson. Qui, invece, i capolavori sono 49 e vanno dalla fine degli anni Trenta alla metà degli anni Sessanta. Certo, solo loro erano gli irascibili, gli emarginati, quelli che nel 1950 vennero esclusi dalla lista degli artisti invitati a partecipare a un’importante mostra di arte contemporanea organizzata dal Metropolitan Museum di New York. Fu allora che diventarono definitivamente i ribelli, coloro che inviarono una lettera di dissenso al New York Times indirizzata proprio al Presidente del museo, Ronald L. Redmond. Firmatari Pollock, de Kooning, Rothko, Motherwell e Newman, etichettati dall’Herald Tribune come il “gruppo degli irascibili”. Purtroppo anche questa volta per ammirare i loro capolavori più rappresentativi la visita a Palazzo Reale non è sufficiente. Con un titolo così, dove non è menzionata la provenienza unica delle opere, per un attimo ci si era illusi di poter vedere dipinti di Pollock di altri musei, come è successo a Venezia nel 2002, dove il Museo Correr ha presentato oltre cinquanta opere dell’artista provenienti dalle maggiori istituzioni europee e americane. Mostra compendiata da una selezione degli “irascibili” a Mestre al Centro Culturale Candiani, che ha illustrato il panorama artistico dell’epoca in maniera puntuale e convincente. Il Whitney Museum ha ridato in prestito il Number 27 solo per una questione di fiducia, perché era già successo? Forse tra una decina d’anni avremo il piacere di ritrovarli a Milano per la terza volta. Niente, questa mostra non convince comunque.
Meglio andare al piano di sopra a visitare la raffinata mostra Il volto del ‘900, con capolavori di Magritte, Mirò, Modigliani, Severini, Giacometti, Picasso, Bacon, De Leimpicka, Matisse, solo per citarne alcuni. Ne vale la pena. Altro che Pollock e gli Irascibili.
leggi anche la recensione di Jacqueline Ceresoli
Pollock e gli irascibili-La scuola di New York
Palazzo Reale
Piazza del Duomo 12, Milano
elenamaria.conenna@comune.milano.it
www.comune.milano.it
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