Pietro Geranzani, “L’Europa durante la pioggia”

0 Posted by - April 2, 2018 - Kritika segnala, Recensioni

Pietro Geranzani (Londra, 1965,vive e lavora a Milano) è alla sua seconda personale da Area35 a Milano con una produzione “totale”, fra opere inedite e opere storiche, commentate da un sontuoso catalogo che in realtà è un vero e proprio libro.

2018-1988, tre decadi di una pittura “ruvida, inclemente, maleducata”, così definita da Michele Dolz in occasione di una recente mostra (2017) dell’artista milanese, L’esplosione dell’uovo cosmico, nella chiesa di San Raffaele a Milano.

Una pittura che non ha mai derogato da sé, religiosa in senso non confessionale e che non ha timore di esplicitare le carcasse e le “ombre ammonitrici” (per citare una sua mostra del 2009 a Palazzo Ducale di Genova) del “deserto che avanza” (Nietzsche, tanto per restare in tema di citazioni): L’Europa durante la pioggia è il titolo della mostra a Milano, riferimento al quadro che Max Ernst dipinse nel 1942 (L’Europa dopo la pioggia) come presagio di una distruzione imminente sul mondo che Hitler stava incendiando. Anni che, come ricorda Geranzani, furono anche «gli anni dell’arte degenerata e, di poco più tardi, delle crocifissioni di Sutherland e di Bacon».

Degenerata”, l’arte, anzi la pittura di Geranzani, lo è, ma non in riferimento al gusto corrente (“mi piacciono i quadri pop, mi piacciono i quadri più veri del vero, mi piacciono i paesaggi”), quanto piuttosto al “belcanto” che va per la maggiore. Eppure, è straordinariamente contemporanea.

Il martire, il martirologio e il martirio raffigurato: in un’epoca caratterizzata dal sopravanzare dei mozzorecchi non solo assassini ma anche iconoclasti (vedi la distruzione di Palmira, vedi la “strage” dei Buddha di Bamiyan), può sembrare una provocazione intellettuale chiedersi se, nelle arti visive, ci sia ancora spazio per la figura del martire-purchè-non-sbeffeggiato (vedi il ranocchio crocifisso di Martin Kippenberger).

Geranzani riempie questo vuoto artistico e lo fa esponendo un quadro di grandi dimensioni che negli spazi di Area35 ci accoglie immantinente: l’opera si intitola L’Europa durante la pioggia II e ovviamente non ha l’intenzione di strizzare l’occhiolino a-chi-sa (L’Europa dopo la pioggia di Max Ernst, appunto), né vuole riaccompagnarsi al riconoscimento dell’aura preveggente dell’illustre predecessore. Tu chiamalo “slittamento nello spaziotempo semantico” se vuoi (L’Europa dopo la pioggia/L’Europa durante la pioggia).

L’Europa durante la pioggia

Pietro Geranzani, L’Europa durante la pioggia II, Farfalla, 2017, olio su tela, cm. 170×170

A Geranzani non interessa “dire” se la pioggia iconoclasta e assassina laverà o spazzerà via la nostra Europa, quella del 2018. Ma il fatto è questo: viviamo negli anni di un terrosimo la cui “ragione sociale” è ben precisa: politica E religiosa. Distruzione dell’arte (sacra, cristiana; ma anche delle altre forme della creatività, vedi la messa sotto accusa islamista della musica) e, ça va sans dire, distruzione fisica dell’infedele.

E allora il Cristo in croce, anziché essere crocefisso alle ali di un caccia militare come nella bellissima opera di Leon Ferrari che vedemmo alla Biennale di Venezia del 2007, è il soggetto di questo quadro con indosso un giubbotto esplosivo e la camicia aperta come le ali di una farfalla o le braccia inchiodate alla croce: blasfemia? Forse. Ma l’artista qui non prende posizione: «mi sono addentrato nel territorio della grande metafora e dell’angoscia storica e della violenza».

Basti pensare, a tal proposito, al quadro del 2004, Ombra ammonitrice VI (Awrah), l’uccisione di Fabrizio Quattrocchi e sulla celeberrima frase da lui pronunciata prima di essere giustiziato: “Ora vi faccio vedere come muore un italiano”: l’uccisore, avvolto in drappi tipici dell’usanza islamista, è come se venisse colto in fallo. Per usare le parole di Geranzani: come un gatto che viene illuminato in mezzo alla strada dai fari di un’automobile. E orgoglioso sembra mostrarci l’abominio che sta commettendo sul corpo della vittima decapitata.

L’Europa di Geranzani è un tributo: un tributo alla storia della pittura, ai bovi squartati di Rembrandt (eretico! Ha osato dipingere un soggetto indegnissimo!), ai piedacci di Caravaggio (eretico! Ha osato dipingere un soggetto indegnissimo!). Ma «la storia della pittura ci appartiene», afferma il pittore «e non dobbiamo più distruggere per rinnovare. Io cerco, attraverso la densità della materia, quella vibrante vitalità che si contrappone alla desolazione della terra bruciata. Cerco di ritrovare un anelito di umanità persino nel milite che si immola con gesto devotamente eroico a una causa superiore».

L’Europa durante la pioggia

Pietro Geranzani, Disegno 48, 1992, inchiostro, acquarello e pastello su carta, cm 36×50,5

L’eresia di Geranzani è proprio questo: le carcasse e i martiri sono i piedacci di Caravaggio, con la differenza che la democratizzazione della devozione via pittura qui c’entra niente, c’entra solo la pittura (e certo, il suo impianto “metateorico”, volgarmente il soggetto raffigurato).

Ecco che allora questa mostra, L’Europa durante la pioggia, è un mitologema della contemporaneità, anzi della supercontemporaneità, fottendosene del belcanto in pittura.

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