Piero Manzoni è bianco. Eh sì, perché se si pensa a Piero Manzoni -prima o dopo la sua famosa Merda d’artista – quelli che vengono subito in mente sono i suoi Achromes. Eppure Manzoni non è solo bianco e non è solo merda d’artista e neanche linee. Nella prima sala della mostra a Palazzo Reale Piero Manzoni 1933-1963 ci sono anche quadri molto potenti, scuri e ruvidi, come i Senza titolo del ’56 e del ’57, dove il catrame e il metallo la fanno da padrone. Così come ne L’immagine interiore, sempre del ’57. Quadri che rappresentano incubi del suo inconscio su superfici caotiche, con un colore di lacca o di smalti nitidi, come scrisse Luciano Anceschi, che fece esporre Manzoni nella mostra Fontana Baj Manzoni nel 1958 al Circolo di Cultura di Bologna.
Poi, però, Manzoni passa al bianco, alla ricerca di “uno stupore immacolato dei sensi”. Regna un senso di pulizia, ma soprattutto di vuoto. Opere che in teoria non descrivono e non vogliono dire nulla, tutte senza titolo, composte dai più disparati materiali, ma fondamentalmente e unicamente bianche. Oggetti che semplicemente non sono altro che oggetti, anzi, che semplicemente “sono”. Manzoni si fa concettuale e ne è il precursore. Che piaccia o no, lui ha aperto la strada a molti e ha permesso all’arte contemporanea di trasformarsi in quello che sarebbe divenuta negli anni a venire -fino a oggi- e di far entrare nel vocabolario comune anche la tanto disprezzata frase: “vale un po’ tutto”. Manzoni, negli anni Sessanta, è indiscutibilmente il nuovo. E’ l’innovazione, il diverso, il genio, il folle. E nelle stanze di Palazzo Reale sembra di aggirarsi dentro un sogno di zucchero filato e caolino, di numeri e lettere, di linee e palloncini gonfiabili, d’impronte, di uova e merda. Perché qui è l’idea a essere premiata e non la “banale” bellezza. E di significati ce ne sono tanti. Basti pensare al suo progetto Linee, dove si mettono in discussione e si parla di concetti profondi come lo spazio, il tempo, l’infinito. La pittura non esiste più, non ha più importanza. E allora nei quadri, Manzoni, inizia a metterci polistirolo, cotone idrofilo, fibra artificiale, pallini di ovatta, peluche, panini, sassi, pacchi in carta da imballo, carta compressa. Vale tutto, ma tutto continua a essere rigorosamente bianco, come un’ossessione. E tutto diventa critica, provocazione e ricerca, seppur per breve tempo, perché Manzoni muore d’infarto a ventinove anni, nella sua città, Milano, che a mezzo secolo dalla sua morte ha deciso di omaggiarlo con questa grande mostra, anche se in minima parte dovremmo sul serio detestare Manzoni, allo stesso modo di Duchamp.
Erano dei geni, dei precursori, ma forse è anche colpa loro se davvero oggi “vale un po’ tutto”, se si vede tanta arte contemporanea inutile e priva di significato. Qualcosa è andato perduto, ma la differenza è che Manzoni, Fontana, Duchamp, e altri come loro, sono diventati immortali, hanno cambiato le cose, hanno lasciato un segno indelebile nel mondo dell’arte, della storia. Per molti di quelli venuti dopo, invece, spesso purtroppo sembra esserci un solo possibile concetto: “fare soldi”.
Piazza del Duomo, 2 Milano
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