Dopo il silenzio, l’assenza e l’immobilità delle serie Stadi (2007) e Attese (2004), la folla torna protagonista nella personale di Pier Paolo Maggini (Pisa, 1970) in corso a Milano da Nowhere Gallery, con sei opere in cui l’atmosfera rarefatta fende l’aria dando forma a una raggelante e paradossale immobilità. Osserverete emergere dal buio una moltitudine indistinta di persone, un anomalo corteo che ricorda i Re Magi giunti a Betlemme dall’Oriente, un soggetto che nelle opere a cavallo tra la fine del Trecento e primi anni del Quattrocento era di casa in Toscana e in Umbria. Riferimento che in questa serie laica di Pier Paolo Maggini brilla per impostazione, linearismo e resa decorativa delle figure: qui il segreto compositivo sta nel contrappunto cromatico e luministico.
In queste immagini la massa in cerca di un’identità collettiva deambula in uno spazio immobile e atemporale, ove rimbomba l’eco assordante del vuoto esistenziale dell’individuo nella società globale. Dove va questa folla travolta dal flusso dell’anonimato? A Sud di Nessun Nord, come suggerisce il titolo della mostra ispirato a Charles Bukovsky, tra gli autori preferiti da Maggini.
Come nel ciclo delle Attese i tifosi affollavano gli spalti, essi stessi parti integranti dell’architettura, il tema dell’identità collettiva nel nuovo ciclo di opere di Maggini parte dalla Festa dei Ceri di Gubbio. Nelle parole dell’artista, le immagini trascrivono una ricognizione sull’identità, dove sempre di più territorio e partecipazione divengono visibili e sentiti solo nei momenti di folclore e tradizione, ma svuotati di una cifra valoriale, etica e riconoscibile, tali da diventare quasi astratte.
Questa è la chiave di lettura della mostra. Vi ipnotizzerà la visione di una folla tumultuosa ma silente, caotica e paradossalmente ordinata, fotografata dall’alto, in cui non si distinguono i volti, bensì masse di teste assurte a segni variopinti, macchie o pixel di colori che appaiono dal fondo nero, come scolpite su predelle lignee.
Il corteo festante è una metafora della ricerca di appartenenza nella condivisione di tradizioni, liturgie popolari che nel passato avevano un senso, mentre oggi sono vissute come un qualsiasi evento mediatico. L’arena del calcio è stata sostituita da una piazza metafisica, dove la folla diventa un codice visuale d’identificazione, un presupposto formale che smaschera il problema della solitudine dell’uomo globale contemporaneo senza identità e comunità d’appartenenza ideale.
Pier Paolo Maggini si riconosce per una particolare sintesi fotopittorica messa a punto nella serie Bosco (2010), in cui elabora una tecnica di sovrapposizione e sostituzione di fotografia e pittura , superando i limiti calligrafici dell’iperrealismo o della pittura tradizionale. Nella ripetizione differenziata dello stesso soggetto si plasma la sua folla, che bisognerebbe osservare dall’alto, a volo d’uccello, per evidenziare un valore scultoreo, compositivo, formale e pittorico sorprendente.
Questo mix di fotografia e pittura è una provocazione percettiva che richiede tempo, precisione, pazienza e capacità di evidenziare la solidità volumetrica delle forme e il valore tonale dei colori attraverso un processo di sottrazione del fondo nero-blu notte, procedendo a levare per rappresentare non folle, bensì codici cognitivi come studi sulla percezione e sulle variabili possibilità di composizione spaziale, che aprono riflessioni sul modo di evadere dalla nostra solitudine: un luogo comune inviolabile per molti.
Pier Paolo Maggini | A sud di nessun nord
Nowhere Gallery
via del Caravaggio 14, Milano
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