PEPE MORALES | VISIBILINVISIBILE

0 Posted by - July 1, 2015 - Uncategorized

La galleria AMY D Arte Spazio è lieta di presentare visibilINVISIBILE, la personale di Pepe Morales, artista spagnolo alla sua prima esposizione in Italia, a cura di Augusto de Marsanich , con testo critico di Luciano Caramel. In mostra lavori pittorici e disegni che percorrono la lunga attività artistica di Morales, nato a Palma del Rio Cordoba nel 1933.

visibilINVISIBILE è la decodifica a trama fitta di tutta la sua produzione artistica.

Arte come visibilità dell’invisibile e invisibilità come unica certezza di vita.

La distinzione immediata e dualistica dell’invisibile e del visibile viene respinta perché essi sono l’uno per l’altro il diritto e il rovescio e perché sono sempre l’uno dietro l’ALTRO.

Il sottotitolo – traccia – rimanda a ciò che resta, simbolo e cifra di un artista per cui “il visibile non è che una qualità pregnante di una trama, la superficie di una profondità” (Maurice Merleau-Ponty, Il visibile e l’invisibile, 1964)

Dedico all’artista Pepe Morales queste parole di Pablo Picasso

Ci sono pittori che trasformano il sole in una macchia gialla, ma ce ne sono altri che , con l’aiuto della loro arte e intelligenza, trasformano una macchia gialla nel sole.

Anna d’Ambrosio

Opening 09/07 h.18.30

 

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via Lovanio 6 – Milano
MM2 Moscova
+39.02.654872
info@amyd.it
www.amyd.it 

 

Titolo apparentemente – e in certo senso davvero – criptico, questo della mostra del pittore spagnolo Pepe Morales a Milano, nella Galleria Amy-d Arte Spazio. Che tuttavia, con la fusione delle due parole in un unico, seppur bivalente, termine molto efficacemente concreta il coesistere di presenza e assenza nell’oltre sessantennale attività dell’artista. Ben al di là di quello – “Tra presenza e assenza” – con cui siglai il mio primo contributo critico su Morales, nel catalogo della sua mostra, nel 2001, in Spagna, a Marbella (Málaga) , lasciando al testo la precisazione che quelle opere si offrivano come realtà interferenti, “con effetti insieme suggestivi ed inquietanti”, scrivevo, “derivanti dalla sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di celato, ma insieme di disvelato da un mascheramento che denuncia il nascondimento e quindi appunto la presenza di qualcuno, o di qualcosa. Quelli che lo spettatore si trova di fronte nei dipinti sono dei personaggi, seppur allusivi, per la disarticolazione e la sintesi delle forme, non descrittive, prive di particolari mimetici”. Salvo che, aggiungo, nel periodo particolare degli anni ’70/’80, in cui, condizionato dalla congiuntura socio-politica del suo Paese, Morales fissò sulla tela immagini di sofferenza, povertà e disagio, senza peraltro scadere in un realismo di esclusiva denuncia, e invece partecipi di un accoramento interiorizzato e partecipato nei confronti del destino dell’uomo, delle sue difficoltà e dei suoi disagi, e sofferenze, interiori, fisiche e soprattutto psicologiche. Che si accentuano dai finali anni ’80 per drammatiche vicende familiari, segrete, ma presenti, appunto proprio nell’assenza, accorata e rivelata dalla tensione dal pieno al vuoto e, nei colori, al bianco, che, possono in qualche misura, nella sostanza interiore, non nelle radicalità spirituale contemplativa dei pittori e scultori cinesi e giapponesi, far pensare all’aspirazione taoista dell’arte orientale, a Morales nota, a rendere “visibile” nel contrasto con lo “yu” il pieno, il “mu”, il vuoto, la “presenza dell’assenza”, appunto, la traccia dell’immateriale. Contesto in cui si afferma nell’immaginario figurativo dell’artista spagnolo la componente di un particolare surrealismo di “universi onirici, i cui personaggi patiscono una strana mutazione tra umani e animali”, con la ricaduta sulle scelte cromatiche e su di una sorta di particolare, fredda metafisica, solo latamente di estrazione dechirichiana, ma ancora con accenti che rimandano al pensiero e alla pittura di Paul Klee, al suo credere e praticare un’ “arte che non riproduce ciò che è visibile, ma rende visibile ciò che non sempre lo è”, col fine di “renderlo visibile”, piuttosto che “riprodurlo”.

Altro aspetto fondamentale, da non trascurare con logica paleoidealistica (nel senso filosofico), è in Morales il rilievo, mai secondario, dato al momento formativo, tecnico, manuale, e quindi alle materie, alle loro caratteristiche e possibili funzioni oltre che, pregiudizialmente, alla relativa ricerca, che scandisce e determina gli sviluppi del suo ideare e fare, su di un registro non autoreferenziale, risultando determinate per gli stessi risultati, dimensionali e fisici, prima che estetici, ma con conseguenze di rilievo pure su di essi, a partire, già nel 1957/58, nella scelta medesima di altri materiali e quindi strumenti espressivi, da sostituire, o anche solo accostare, alla pittura tradizionale, a tempera ad olio, ecc. e ai loro supporti abituali. Di qui, inizialmente, collages polimaterici, e poi, numerosissime, “tecniche miste”, coinvolgenti persino pietre per bigiotteria e oggetti di recupero, oltre che carte pressate, tessuti, legno, tele grezze, sostituite, tra il 1958 e il 1960, da lamiere di ferro ossidato.

Rilevante, inoltre, in siffatta libera e differenziata disponibilità, l’attrazione per materiali organici e, in preminenza, acquatici, nell’approdo forse istintuale, in un certo senso, alla mer, la grande madre, che emerge nell’utilizzo nella stessa nuova sperimentazione sulle nanotecnologie, che ha portato al Papel de tule, che Morales utilizza dal 1997, realizzato con piante acquatiche o radici sommerse in paludi d’acqua. Gli artigiani le cuociono fino a farle diventare pasta e successivamente le stendono su pietre di metallo e le lasciano al sole fino a quando sono secche.

Luciano Caramel

 

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