PAOLO GRASSINO. PERCORSO IN TRE ATTI

0 Posted by - January 29, 2013 - Interviste

Paolo Grassino è nato nel 1967 a Torino, l’anno di nascita dell’Arte Povera. Espone per la prima volta al Museo Pecci di Milano il progetto Percorso in tre atti, dove scultura, installazione, video e pittura riassumono in un ‘opera ambientale site-specific la ricerca dell’artista. Il rapporto tra corpo umano e corpo animale e lo spazio diventa una metafora della condizione umana attraverso paradossi e ossimori mai scontati, mentre il suono diventa l’elemento primario che sviscera temi esistenziali.

Quali sono stati i maestri che hanno influenzato la sua ricerca artiscrica?

Nessuno in particolare.

Scultura, installazione, video e pittura sono i mezzi che utilizza in tre opere diverse nella esposizione site-specific presentata al Museo Pecci Milano. Come è nata e cosa rappresenta?

Percorso in tre atti è una mostra nata un po’ per scommessa. E’ arrivata la proposta di presentare un progetto per il Museo poco tempo fa. Con Marco Bazzini, Stefano Pezzato e Piercarlo Borgogno ci siamo trovati subito ed è nata una collaborazione spontanea e costruttiva, mossi dal desiderio di costruire qualcosa di intenso per gli spazi del museo. L’idea di far convivere tre lavori molto diversi tra loro è stata dettata dalla volontà di presentare un conciso percorso della mia attività.

Analgesia è il titolo scelto per un’installazione inquietante: cani in fusioni di alluminio color grigio cemento stipati intorno a una carcassa di automobili situata al centro del Museo. Cosa significa?

Analgesia ha come soggetto l’assenza di empatia. E’ uno stato soporifero. Forse si potrebbe dire con maggiore semplicità l’insensibilità, l’apatia, l’indifferenza della società. I cani in Analgesia, non hanno occhi né bocca né coda, hanno perso i sensi, vivono in branco e difendono con la loro postura e atteggiamento una massa di oggetti ormai inutili. Proteggono con la loro presenza un muro, un confine. Credo che sia un lavoro nato dalle immagini e dai filmati che documentano esodi di profughi minacciati da dittature o guerre, mentre dall’altra parte ci si difende dall’angoscia narcotizzandosi.

Il video Controllo del corpo (nove corpi di artisti torinesi impiccati con i collant) è inquietante per il soggetto e anche per l’effetto sonoro: questa ballata di manichini rappresenta forse l’iconografia della precarietà nella quale viviamo?

I nove personaggi presenti nel video sono artisti di Torino della generazione di mezzo, cioè nati tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio dei Settanta. Artisti che, come fiori neri, sbocciano e si richiudono con una semplice rotazione su se stessi. Sono personaggi legati tra loro da una macchina che li muove e li sorregge, ma che li priva dell’identità. Gli abiti diventano divise senza colori e il bianco di fondo pone le figure in un non luogo, un limbo. Il movimento lento e i suoni provocati dalla macchina segnano una ripetizione costante degli eventi nel tempo. La mancanza di libera espressione segna l’inizio di una subdola repressione. L’estinzione del poeta è l’inizio del declino di una società.

L’unico disegno in mostra è Resa, quattro dittici che rappresentano “radiografie” delle nervature della mano: perché ha scelto questo soggetto?

Resa è un progetto che ho iniziato nel 2008. Ciò che è esposto al Museo Pecci è solo un piccola parte del lavoro completo. Il mio intento è quello di realizzare negli anni cento dittici, partendo dal basso a destra con una coppia di mani totalmente nere e finendo con l’ultimo dittico in alto a sinistra con solo alcune tracce di capillari. L’idea è quella di voler rappresentare un’attesa infinita con le mani in alto in segno di resa. Un’attesa, affinché il sangue abbandoni completamente il corpo.

Queste tre opere diverse per tecnica, contenuto e tempo di realizzazione come dialogano tra loro e con il museo secondo lei?

Dialogano concettualmente sulle tematiche intrinseche nelle opere scelte. Rappresentano tre condizioni della nostra esistenza: l’indifferenza, la repressione e la resa. Le tre opere mettono in scena una possibile lettura della deriva della società contemporanea.

Lei, tra le tre opere esposte, quale preferisce e perché?

L’opera che preferisco è quella che devo ancora realizzare.

Come spiegherebbe il suo lavoro a un giovane interessato a capire la sua ricerca artistica?

Il mio lavoro si incentra su temi perenni, cioè su quelle tematiche che nel tempo non cambiano, restano come fondamenta delle nostre esistenze. Naturalmente cambiano i contesti e i tempi, ma l’essenza, il contenuto, sono variabili in modo quasi impercettibile. Provo timore per come alcuni fatti del quotidiano o della storia continuino a ripetersi. Sembra che nessun esempio sia sufficiente per un cambio di prospettiva. I rapporti interpersonali, la paura dell’altro, la fragilità del corpo, le politiche limitate, il rapporto tra l’uomo e il lavoro e la natura, sono argomenti che non trovano soluzioni, ci viene detto che è persino banale parlarne.Con il mio lavoro provo a presentare delle domande.

Cosa consiglierebbe a un giovane che volesse fare l’artista?

Cosa poter dire alle generazioni più giovani? Di fare corpo con i propri coetanei e colleghi mettendo da parte l’individualismo.

Quale artista contemporaneo under 35/40 le piace di più e perché?

Da poco tempo ho conosciuto Davide Balliano e credo che sia un’artista serio e preparato. Mi piace come attraverso un uso emotivo e minimale di diversi media scava in profondità gli aspetti più nascosti della mente umana, rivelando le fragili strutture e le varie contraddizioni.

 

Paolo Grassino | Percorso in tre atti
Museo Pecci Milano
Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci – Prato

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