Kritika onpaper # 4 – kunstArt12, Bozen, 16-18 | 03 | 2012
Sembra che siamo assegnati alla retrospettiva infinita di ciò che ci ha preceduti. Ciò è vero per la politica, per la storia e per la morale, ma anche per l’arte, che in ciò non gode di alcun privilegio (Jean Baudrillard, Estetica della disillusione, 1997)
Comunque vadano le cose, è sempre colpa della crisi.
In un periodo particolare come quello che stiamo vivendo, i classici interrogativi esistenziali (chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo) diventano meno scontati e comici, assumendo una rilevanza alquanto interessante, quasi primordiale.
La ricerca del famoso “ruolo nel mondo”, del vero senso del proprio contributo allo sviluppo della società, predispone l’individuo a riflettere (quando ciò sia realmente possibile) sul cosa fare effettivamente, sul cosa e come aggiungere un apporto personale significativo alla quantità enorme di contributi che ciascuno può offrire. La riuscita nella realizzazione delle proprie aspirazioni è la traduzione concreta di questa partecipazione alla vita sociale e la soddisfazione, in coscienza, di aver fatto una buona cosa, è forse la miglior ricompensa (a volte, purtroppo, si lavora proprio e solo per la gloria, il denaro è un’altra cosa).
Possiamo parlare di passione o vocazione, necessità morale oppure di forza interiore, se animati da queste energie i risultati non possono che essere positivi e manifestare tutta la loro potenza creativa. Ma questo ragionamento può anche suscitare forti perplessità se mancano i presupposti per costruire un’analisi delle singole attività umane e delle motivazioni che le muovono.
Non si sa esattamente, per esempio, quanto il mondo dell’arte si interroghi seriamente su questa delicata questione, sulla propria funzione e necessità sociale, sembrando piuttosto rivendicare pretese a priori, solo ed esclusivamente perché espressione creativo-culturale di una comunità, di un popolo, di una nazione, dell’umanità intera.
In Italia la crisi pare stia facendo chiudere musei e teatri (alcuni dei quali vengono anche occupati), nel frattempo sono aumentate a dismisura le “fiere satelliti”, che danno la possibilità di acquistare arte a buon mercato. Per non parlare dell’esistenza di migliaia e migliaia di artisti, critici e curatori, tutti “aventi diritto”.
Alla sua “autodomanda” A che serve l’arte?, il supercollezionista Charles Saatchi si “autorisponde” così: «A impedire che i nostri occhi si liquefacciano guardando tutta la spazzatura che tutti contenti vediamo in tv e al cinema per la maggior parte del tempo». E più avanti ancora, quando spiega la funzione del sito della Saatchi Gallery, afferma:
Nella realtà la maggior parte dei galleristi trova nuovi artisti da mostrare attraverso le raccomandazioni degli artisti che già rappresentano. Gli artisti spesso insistono perché i propri galleristi guardino con un occhio di favore il lavoro dei loro amici. In più, i galleristi credono che gli artisti siano buoni giudici per il lavoro di altri artisti. Alla fine, se non sei nei giri giusti, non sei andato a una scuola d’arte alla moda o non sei inserito davvero, può essere infernale riuscire a stimolare l’interesse di galleristi e collezionisti
In dichiarazioni più recenti rilasciate al Guardian il buon Charles afferma che il mondo dell’arte è “comprehensively and indisputably vulgar”. Se lo dice lui che c’è dentro fino al collo… (ma ne è comunque consapevole).
Gli artisti dovrebbero fare un po’ più di sana selezione e rifiutare di farsi seguire da critici che scrivono per “chiunque” svendendo così il proprio lavoro al “miglior offerente” : il canto delle sirene è sempre pericolosamente seducente.
Ma a questo punto risorge spontanea la domanda che caratterizza l’attualità proposta da Kritika: a che serve, obiettivamente, l’arte? E io ribatto: ma a che servono gli scritti sull’arte? Questo mi riguarda molto da vicino ovviamente e, tradotta in parole povere, significa: qualcuno li legge effettivamente i testi critici? E chi è che li legge? Forse nemmeno quei pochi eletti del mondo dell’arte si sentono più interessati a leggere delle teorie (sempre se di teorie si tratta e non di semplici descrizioni formali), forse il livellamento speculativo (in senso filosofico) ed anche della vera ricerca e dell’indagine artistica (creativa e critica), sta demotivando persino gli addetti ai lavori (per non parlare della gente comune, che vede in Vittorio Sgarbi il critico per antonomasia e che quindi crede che per interpretare l’arte sia necessario per forza essere arroganti). Che ne è quindi della funzione primaria del critico e dello storico dell’arte, cioè di quella figura di mediatore descritta e incarnata dal grande Hans Sedlmayr?
Pare non ci sia più tempo per gli approfondimenti, per le ricerche su nuove forme d’espressione e sull’analisi di esse, rimandando a data da destinarsi qualsiasi vera presa di posizione, limitando il proprio raggio d’azione all’osservazione passiva e alla constatazione, alla descrizione e alla supposizione, ad un narcisismo verbale e linguistico legato più allo sfoggio delle proprie sensazioni e dei propri gusti personali piuttosto che alla conoscenza della ricerca degli artisti e delle reali motivazioni che le muovono.
A volte mi chiedo anche cosa facciano gli artisti per analizzare la loro epoca, quali siano gli argomenti che trattano, se compaiano, nei loro lavori, riflessioni sulle problematiche ambientali, sociali, economiche, oppure se siano arroccati nel loro limbo creativo fatto di rielaborazioni di idee del passato, di sterili provocazioni addomesticate e camuffate da gesti sovversivi.
Fortunatamente qualche spunto si vede, come nelle due immagini di artisti contemporanei che pubblichiamo in questo articolo.
Baudrilliard aggiunge anche questo spunto a seguito della frase riportata in apertura di articolo:
Citazione, simulazione, riadattamento, l’arte attuale si riappropria, in un modo più o meno ludico, o più o meno kitsch, di tutte le forme e le opere del passato, vicino o lontano o perfino già contemporaneo. Certo, questo remake e questo riciclaggio vorrebbero essere ironici, ma questa ironia è come la trama usata di un tessuto, essa non deriva che dalla disillusione delle cose, è un’ironia fossile
Pur concordando, personalmente, con queste parole, sarà opportuno impegnarsi affinché possa un giorno (magari molto vicino, chissà…) esserci la possibilità di smentirle con i fatti, oltre che con le nostre parole di analisi e ricerca approfondita sul campo.
Alessandro Trabucco è ricercatore artistico, attivo come curatore indipendente in gallerie private e spazi pubblici. Dal 2000 svolge attività di consulente tecnico e artistico presso fotolaboratori professionali seguendo personalmente fotografi ed artisti nelle fasi di produzione e stampa delle loro immagini. Vive e lavora a Milano.
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