Che cazzo è questo posto?
Questo è il Jack Rabbit Slim’s. A un Elvis-maniaco dovrebbe piacere
Naahh dai Mia, andiamo a farci una bistecca
La bistecca la puoi trovare qui paparino. Non fare il…Hmm?
Così Mia Wallace/Uma Thurman in Pulp Fiction a un Vincent Vega/John Travolta un po’ cagacazzi. E per fargli capire quanto sia noiosamente geometrico nelle sue ponderazioni gli disegna nell’aria un rettangolo:
Eppure un certo schematismo nella vita serve. E’ il disagio della civiltà bellezza e tu non puoi farci nulla.
Ne sa qualcosa Simone Mene (me-nè), che a livello artistico è un outsider, al punto che possiamo tranquillamente definirlo un artista di prima mano nonostante sia nato nel ’73. Ma prima faceva altro.
Lo avevamo visto la prima volta nello stand della milanese Costantini Art Gallery in occasione di MIA, una fiera internazionale di fotografia che al contrario degli esseri umani si fa di anno in anno più bella. E ne fummo talmente affascinati da dedicare -a lui e alla fiera- un’articolessa di spessore non comune -qui da noi la modestia va via come il pane.
Il mezzo espressivo di me-nè abbraccia la seconda e la terza dimensione, nel senso: fotografia e installazioni e sculture, anche se la parte del leone la fa la fotografia.
Guardi le sue foto e dici: Giacometti. E vabbeh. Ma, come insegna Il Bardo, “ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia” e nel suo piccolo me-né non fa eccezione.
I soggetti dei suoi scatti sono figure umane, che possono ricordare, sia nelle serie fotografiche che nelle sculture, i bronzetti sardi precristiani nuraghici. Queste figure, nelle foto, sono fissate in una sorta di aberrazione dell’immagine ex post: innaturalmente filiformi, i loro arti si prolungano come radici che tentano di debordare da quella scatola/immagine che le racchiude.
Simbolicamente, la scatola è il nostro luogo mentale. E Luoghi Mentali era il titolo della sua mostra da Costantini Art Gallery, un progetto sviluppato nell’arco di un biennio a partire da un’idea fissa, quella del quadrato. Ovvero, la razionalità. O, per meglio dire, la costrizione intrinseca razionalità umana.
Nella fattispecie, i Luoghi Mentali di me-né si sviluppano su tre diversi livelli, che corrispondono ad altrettanti “stadi di avanzamento”, diciamo, del suo progetto:
- Costrizioni
- Trasformazioni
- Equilibri
Si tratta di tre situazioni in cui, per dirla con gli Esistenzialisti, noi ci troviamo innanzitutto e per lo più. Sono condizioni quotidiane, insomma, che hanno a che fare con la nostra condizione generale e universale di esseri umani che si relazionano con gli altri e con se stessi.
Partiamo dalla prima. La costrizione è un luogo metaforico. E’ un quadrato nero, dentro al quale è bloccata, incastrata, una figura umana. Ma attenzione, questa costrizione non è necessariamente una condizione foriera di brutture e miserie, anzi. Qui la situazione si fa complessa, forse proprio perché il nostro stesso vivere non è facile –lo dice anche il Blasco. La costrizione è infatti la condizione per la libertà. Sembra un paradosso ma non lo è affatto, perché senza autodisciplina si diventa dei rammolliti, altro che liberi. Senza una costrizione, autoimposta, imposta dalla società (da qui il mio riferimento iniziale al freudiano “disagio della civiltà”) e addirittura imposta dalle leggi fisiche dell’universo, senza la regola insomma non esiste la libertà.
Nelle costrizioni visuali di me-né c’è dunque questa figura in movimento che sembra stia tastando le pareti di una stanza: si sente bene? si sente male? Sta entrando o sta uscendo? Non lo sappiamo, l’interpretazione è libera.
Le trasformazioni in cui questa figura si trova (e qui siamo al secondo livello dei Luoghi mentali) denotano il suo stare un po’ dentro o un po’ fuori dal suo quadrato: chissà se ha voglia di entrare o di uscire?
Poi arrivi a un punto di equilibrio (terzo livello): nessun quadrato. L’unico quadrato è l’opera in sé che stai guardando.
Spiegazione: di riffa o di raffa, noi viviamo sempre e comunque all’interno di una costrizione. Nostra, della società e dell’universo. E ad ogni tentativo di rivoluzione, sui nostri passi non troveremmo altro che nuove costrizioni. Il che non significa essere reazionari, Bakunin se ne faccia una ragione, c’entra niente la sociologia. Gli è che, senza metodo, non si è liberi. Diversamente, si è dei debosciati.
Osservando le costrizioni/trasformazioni/equilibri di me-né, notiamo certe presenze segniche circolari, dei “puntini”, una specie di alfabeto o di codice: questi “puntini” segnano i punti di contatto degli esseri umani tra loro, gli scambi commerciali, culturali, sentimentali -l’uomo è condannato ad essere un animale sociale, ve lo dice un antisociale.
Insomma, se lanciassero un altro Voyager nello spazio in vista di una sua intercettazione da parte di un’eventuale civiltà extraterrestre, oltre a un’immagine di un uomo e di una donna e alla canzone dei Beatles potrebbero mettere anche qualche opera di me-né.
Ma non ne sono tanto sicuro, in verità: pare che ora le figure di me-né stiano diventando sempre più lineiforme, come virus visti al microscopio. E far sapere ad eventuali extraterrestri che l’essere umano è un virus non deporrebbe a nostro favore.
Io stesso, detto inter nos, sarei fermamente contrario a paragonare la specie umana a un virus: gli ambientalisti estremisti che vogliono cambiare il sistema solare dicono più o meno la stessa cosa.
Come detto all’inizio, l’altro mezzo espressivo di me-né è la scultura. Nel suo “sistema”, le sculture rappresentano un po’ il passaggio dal quadrato al cubo, il che è lo stesso che dire: il massimo della costrizione possibile – avete presente Alien al cubo? Come nelle serie fotografiche, anche con le sculture di me-né le figure si trovano “costrette” (in questo caso nel cemento) e non sai se stiano annegando o venendone fuori. Foto e sculture hanno la stessa valenza: annegare nel massimo della razionalità umana.
Positivo? Negativo? Sono un ammiratore di Michel Houellebecq, quindi fate un po’ voi. Nel suo romanzo La carta e il territorio ci informa di come tutto il nostro umanissimo commercio sia predestinato a un annientamento generalizzato, coperto da una vegetazione che cresce, avanza e si stratifica in un processo di soffocamento senza requie, in cui tutto scompare:
Poi tutto si placa, non ci sono altro che erbe agitate dal vento. Il trionfo della vegetazione è totale
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