Enrico Lunghi, direttore del Mudam, Museo d’arte contemporanea dal 2009, ha vinto una scommessa personale: è riuscito a trasformarlo in un centro culturale , vitalissimo e a vincere l’ostilità dei lussemburghesi per l’arte del presente, puntando sull’ integrazione con il territorio, mostre site–specific di artisti internazionali e comunicazione con i cittadini e globale.
Quali sono le caratteristiche del Mudam, perchè si differenzia dagli altri musei di arte contemporanea e come si finanzia ?
Inanzitutto, il Mudam inaugurato nel 2006 è il primo museo costruito specificamente a questo scopo nel Lussemburgo. L’edificio è una bellissima opera tardiva di Ieoh Ming Pei, l’autore della Piramide davanti al Louvre a Parigi, e il sito in cui si trova, il Park Dräi Eechelen (Parco delle Tre Ghiande), è ammirevole. E’ un esempio di integrazione tra architettura e territorio. Il Mudam ospita una collezione che è stata iniziata nel 1998, dunque coprendo solamente l’arte della fine del XX secolo e dell’inizio del secolo XXI: non abbiamo arte moderna e lavoriamo per così dire “in diretta” con l’arte del presente. Il Museo è finanziato dallo stato lussemburghese, via il ministero della cultura, e ovviamente abbiamo entrate nostre (mecenati, sponsor e biglietteria) che raggiungono il 10% del budget.
Quale criterio espositivo è stato addottato ?
Presentiamo mostre monografiche e tematiche che portano, attraverso l’arte di oggi, uno sguardo distanziato, spesso critico o poetico, sul nostro mondo. Non siamo formalisti. Ci interessiamo a un’arte senza frontiere e attuale, nella quale cerchiamo pertanto valori perenni.
Come viene recepita l’arte contemporanea nel Lussemburgo ?
Con la creazione del Casino Luxembourg – Forum d’art contemporain nel 1996 la città si è dotata di un istituzione molto innovativa e attiva nel campo dell’arte contemporanea: per il pubblico è stato uno shock, ma il suo programma artistico senza concessioni e la dimensione cosmopolita della popolazione ha fatto accettare il Mudam ai lussemburghesi inizialmente poco interessati all’arte contemporanea. Oggi la situazione è molto cambiata: l’arte contemporanea si è radicata con il territorio e rappresenta una punta di eccellenza nel panorama internazionale. Penso che ci siano poche città di 100.000 abitanti nel mondo che abbiano due istituzioni d’arte contemporanea come il Mudam e il Casino, dove si espongono mostre temporanee di emergenti o artisti locali . L’arte è di casa e i lussemburghesi la vivono con una grande partecipazione, forse più che altrove.
Lei quali scelte innovative ha introdotto al Mudam?
Da una parte ho evidenziato la presenza della collezione con la mostra Brave New World nel 2010, fatta esclusivamente di opere nostre e anche riservando interamente il primo piano, per tre anni consecutivi, a mostre tematiche con le opere della nostra collezione. Dall’altra, abbiamo ripensato interamente la programmazione e comunicazione degli eventi, concentrandola sulle realtà del nostro pubblico, con molte visite guidate, workshop e corsi sulla storia dell’arte recente anche per adulti. Questo è andato di pari passo con il rinnovo dell’estetica e della funzione della comunicazione, che si è adattata alla diversità dei nostri pubblici: locale e nazionale, regionale (includendo le regioni limitrofe della Francia, del Belgio e della Germania), e internazionale. Il risultato è che, per tre anni consecutivi, la frequentazione è aumentata in modo considerevole in rispetto alla dimensione della città: da 50.000 nel 2009 siamo arrivati a poco meno di 80.000 nel 2012.
Perché espone poco gli artisti italiani?
Nel primo anno della mia programmazione ho invitato Raffaella Spagna e Andrea Caretto a fare una grande installazione nella mostra Sketches of Space: gli italiani non sono dunque per niente esclusi e prima, al Casino Luxembourg, avevo già fatto mostre di Grazia Toderi (1997) e Luca Vitone (2006). Al Mudam mostriamo artisti che ci fanno guardare il mondo un po’ diversamente, l’arte è transnazionale, è importante l’opera, non la nazionalità. Tutte le mostre sono una grande avventura e un’occasione di crescita umana e professionale.
Ci racconta chi sono gli artisti della mostra in corso e come è nata l’idea di accoppiare artisti così diversi?
Abbiamo Thea Djordjadze – che ha fatto un bel lavoro all’ultima Documenta e alla Biennale di Venezia, dove ha contribuito all’effimero padiglione della Georgia – e Lutz & Guggisberg, una coppia di giovani artisti svizzeri che perpetuano, in qualche modo, lo spirito di Fischli & Weiss. Queste due mostre sono assai rappresentative della programmazione del Mudam: non difendiamo un’estetica particolare, piuttosto un’idea aperta dell’arte, che può utilizzare qualunque materiale ed espressione, ma sempre con un contenuto che parla dell’essere in vita, sulla terra, oggi. Tutto questo si vedrà in parallelo alla grande mostra tematica L’image Papillon, costituita da sedici stanze di artisti messi a confronto con l’opera letteraria di W.G. Sebald.
Che importanza ha per lei proporre più che le tradizionali carrellate di opere di singoli artisti, o collettive, installazioni ambientali site-specific d’impatto scenografico, che richiedono più spazio e altre complessità esecutive?
Per me è importante che ci sia un dialogo tra opere, spazio e visitatori. Non è necessario che sia formulato con un testo, ma deve apparire attraverso la scelte delle opere, dei temi, della programmazione intera. Mi pare essenziale avere una posizione e uno sguardo sul mondo. Non voglio essere il riflesso di quello che accade e neanche di essere una cassa di risonanza del mercato dell’arte – questo per me sarebbe una disfatta totale. Ogni opera, ogni artista, ogni mostra che si sceglie di programmare costituisce il nostro sguardo: sono proposte che invitano alla riflessione e alla contemplazione. Si può discutere su questo, possiamo anche sbagliare – e dunque imparare – ma non si discute quando non c’è dialettica – come accade nelle fiere d’arte, per esempio (a meno che si ammette che l’unico discorso che vale è quello fissato dal denaro). La questione della scenografia è interessante: per me, il museo “è” la scena. Noi usiamo l’edificio di Ieoh Ming Pei così com’è, senza artifici. Ovviamente oscuriamo sale per le proiezioni o costruiamo muri “cimaises” secondo le necessità, ma non occultiamo il “luogo” definito dal nostro museo. Anzi, sono sempre più convinto che il futuro dei musei risiede nell’affermarsi come “luoghi” specifici e non intercambiabili.
Quali sono le mostre che hanno riscosso maggiore successo di critica e pubblico?
La critica nazionale ha molto apprezzato mostre come Brave New World e The Venice projects 1988-2011 che ripresentava tutti i progetti del Lussemburgo alla Biennale di Venezia. La critica internazionale ha evidenziato mostre tematiche come The Space of Words o le monografie di Attila Csörgö e Sanja Ivekovic. Il pubblico ha molto amato queste mostre, ed anche Mondes Inventés, Mondes Habités che mostrava la fantasia ingegneristica e tecnologica di molti artisti contemporanei, tra cui Panamarenko, Chris Burden, Conrad Shawcross e David Altmejd.
Quante mostre pianifica all’anno e cosa prevede per la prossima stagione?
Usiamo gli spazi del Mudam in maniera molto dinamica, non è dunque il numero di mostre che conta – facciamo tra dieci e quindici progetti all’anno – ma la loro dimensione rispettiva: una mostra può occupare uno o due piani, i progetti possono essere due o tre per piano. Ogni quattro o cinque anni vorremmo fare una mostra in tutto il museo, cioè i tre piani. Per quest’autunno organizziamo una grande mostra personale di Lee Bul: penso che sarà assai eccezionale e spettacolare. Sarà accompagnata da bei progetti di Chen Chie-jen e Elmar Trenkwalder.
Chi rappresenta il Padiglione del Lussemburgo alla 55° Biennale di Venezia?
Catherine Lorent, una trentacinquenne che vive a Berlino e che usa pittura, disegno e musica . Si tratta di un’ installazione multimediale di forte impatto emotivo. Il suo mondo è quello del heavy metal, di cui riprende l’iconografia gotica, ma che mischia con elementi personali molto barocchi. L’installazione alla Cà del Duca è molto suggestiva: ogni visitatore mette in moto un percorso sonoro diverso composto anche da tre pianoforti e una ventina di chitarre Gibson.
Mudam Luxembourg
Musée d’Art Moderne Grand-Duc Jean
3 Park Dräi Eechelen, L-1499 Luxembourg
t. +352 45 37 85 1
www.mudam.lu
info@mudam.lu
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