MOLTE COSE NON SI VEDONO!!

0 Posted by - May 24, 2012 - Interviste

Das Kabinett des dr. Cannistrà. Nero(fumo) sul confine della pittura

di Ivano Sossella

In un paese (il nostro) e in un mondo (dell’arte) nel quale il territorio e la sua individuazione ridondano sia nel lavoro degli artisti (ma questi sono carichi di giustificazioni e ragioni) che nel pensiero critico, si può trovare un bell’esempio di extraterritorialità nella mostra di Alessandro Cannistrà presso Officine dell’Immagine a Milano.

L’artista presenta lavori sia di piccolo che di grande formato unitamente a un lavoro tridimensionale col gusto dell’installazione, nei quali il gesto e il disegno (il nero), sostenuti dal materiale pittorico (nero-fumo) attraversano i quadri con un’appropriatezza di non facile riscontro altrove.

La rintracciabilità di un’identità di terra e territorio sia geografico che eidetico muove la prosa e l’azione della riflessione (critica) sull’arte contemporanea: ne consegue il forzoso riconoscimento di una territorialità, che sovrasta anche la nozione di spazio che, con maggiore appropriatezza, dovrebbe informare il lavoro degli artisti.

Cannistrà, i suoi lavori, offrono occasione di abitare uno spazio collocabile nel confine tra la casualità del gioco della fiamma e l’ispirazione che suggerisce il depositarsi del nero(fumo) sulla tela. E’ una nota di valore immediata e subito esperibile che questi lavori suggeriscano un’idea del lavoro artistico estraneo al facile ruscellare di oli e trementine che ammorba tanta pittura (italiana) e rende tanto forzoso il dibattito critico.

Credo sia condivisibile affermare che la forza della pittura è ravvisabile nella sua offerta di uno spazio del quale sia possibile fare esperienza, non limitato o concluso nell’ evocazione facile di questo o quel territorio o retroterra (culturale) che sia.

Cannistrà porta in superficie un percorso di confine e di equilibrio, ben al di là di ogni territorialità espressiva, cosciente che il lavoro di un artista, per comandare a fondo la propria vocazione e missione, non può che sconfessare e sfuggire tanto alla parola quanto al territorio.

L’ extraterritorialità che sorregge e alimenta, a mio vedere, il lavoro di Cannistrà è il punctum che sempre la pittura offre quando sa e riesce a farsi-spazio senza cedere al giochino del conforto territoriale più o meno di tendenza.

Luogo dell’arte è la torsione della parola detta, la fondazione di una extraterritorialità perpetua che nel lavoro di Cannnistrà si avverte nella evidenza materica e naturale, nella evocazione alla grazia essoterica frettolosamente imparentabile con la pittura romana, dove il nero si dà solo per il buio e non per la sua identità di colore.

La forza pittorica di questa lontana, casuale, culturale, intellettuale e onirica parentela con la pittura della natura, amica del fuoco, della terra, della luce e del nero (fumo) è invece occasione di salto diagonale e inaspettato di questo stesso territorio: i lavori esposti trasportano e mettono in gioco, in parallelo con la evocazione della luce e del calore del fuoco, un area fredda, carica dello Sturm und Drang nordico e primoromantico.

Un paradosso di territori pittorici si fanno solidali al lavoro di Cannistrà, non certo per confronto di ispirazione e idee ma nella condivisione di una esibita extraterritorialità.

Nominare confine al posto di territorio trova adeguato sorriso di assenso nel lavoro dell’ artista: l’extra percorre e attraversa sia la tecnica che la riuscita del lavoro e l’ emergere di una extraterritorialità, di un luogo di confine, dona evidenza a quello che i quadri presentano: li conforta e sostiene un pensiero e una vocazione artistica che procedono proprio nell’ offerta di un luogo altro, un altrove che porta il cuore caldo della pittura e della materia nel gelo dell’incubo nordico: si entra in Vaticano e vi si trova il Gabinetto del dottor Caligari.

Anni fa (forse venticinque) a Genova in occasione di una sua mostra ebbi occasione di parlare di territorio con Nunzio: si procedeva proprio dal nero assoluto, dalla densità al cubo del buio nato, si diceva con Nunzio, per affermare una vera vocazione alla luce.

Ci scoprimmo complici di letture, distanti nel lavoro (distanza addolcita dal vino della serata) ma quasi concordi nell’avvertire che le ombre romane, la luce che sortisce dal buio di Caravaggio, sino al nero che si fa naturale (spirituale), e che muove il lavoro di Nunzio, avesse ben poco da spartire con la fondazione di un territorio artistico: pratica questa più idonea a gratificare il pensiero della critica, che in stretta in parentela con il cuore del lavoro dell’ artista che mai e in nessun territorio si sofferma.

Cannistrà ha in mano la questione: trasporta l’incandescente carbonio che sfuma all’infinito sulla tela e nel disegno fatto di spazio e luce, nel gelo delle foreste baltiche, nello zero assoluto che il romanticismo, non delle rose ma del fondo-profondo abissale, ha costruito a proprio luogo.

Siamo in un territorio, se lo si vuole trovare ad ogni costo, ma che non ha pace, non detiene e non abita il territorio che proclama e esibisce: siamo in una offerta di attraversamento e stordimento delle certezze.

Così procede l’arte su questo pianeta: senza illusioni di fondazioni, paradigmi e territori, intenta ad annichilire ogni certezza per tendere la propria voce sul filo sottilissimo del confine e del sospetto. Così è l’ arte ma anche, è bene dirlo, la pittura.

Ivano Sossella è artista, pubblicista e docente

 

Emanuele Beluffi intervista Alessandro Cammistrà

 

Caro Alessandro, perché lo fai?

È bello e interessante vedere con occhi stupiti l’umanità e la natura, in questo senso la sorpresa continua della ricerca.

“Al di là di tutto quello che non si vede c’è la realtà”. Questo è il rovesciamento un po’ scanzonato del classico dei classici: Eraclito, “La natura ama nascondersi”. Dunque: davanti ai nostri occhi c’è qualcosa-che-non-si-vede. E al di là di questo qualcosa-che-non-si-vede c’è la realtà.

Mi piace immaginare la nebbia come un elemento che mostra. Quando è molto fitta e non si vede a dieci centimetri da noi, andiamo per intuito, a tastoni e in quel momento sfruttiamo gran parte della nostra immaginazione. Un approccio meccanico alla vita ci fa sembrare ciò che è davanti a noi come realtà. Siamo ancora lontani dal vedere e vivere, nel senso che la realtà che percepiamo non è quella vera.

Com’è possibile dire che c’è qualcosa al di là di ciò che non si vede, se non lo si vede?

Molte cose non si vedono!!

Ciò che si vede non è realtà ma apparenza. Ok: la vera natura delle cose sta infatti nel loro essere in sé e non per noi. Ma tu dici che la realtà sta al di là di ciò che NON si vede. Quindi?

C’è un mondo e appartiene a ognuno di noi ed è personalissimo, intimo. Questo “alter” mondo è per me un modo di indagare la vita, per esserci.

La tua produzione è il risultato di interventi certamente governati, ma che non concedono nulla alla ricercatezza virtuosistica del segno. Se sei d’accordso, possiamo dire che è una pittura di paesaggio senza tempo e senza luogo riattualizzata attraverso un codice espressivo inedito quanto antico – la fuligine: quali gli addentellati con i precedenti illustri inquadrabili nella grafica di matrice orientale, da te citata?

Il modo cosi affascinante di percepire e pro-porre, la natura e le riflessioni a volte inesistenti, di una pittura libera dalla meditazione e viva in pochi gesti e nella loro stessa natura.

Fra i tuoi mèntori annoveri Gino de Dominicis. In che misura ti ha influenzato?

Il mistero, la creazione, la bellezza, l’ironia, i svariati punti di vista, l’esistenza.

Parlaci dell’evoluzione della tua produzione, dai primi esperimenti col codice espressivo del fumo a oggi.

Il mezzo è sempre stato importante, lo è ancor di più oggi, nel contesto in cui viviamo. Trovo che il fumo sia iornico. Amo la pittura e mi considero un pittore e la tecnica in pittura è importante. Posso dire che le prime opere erano legate a dei concetti fermi, immobili, un continuo stratificarsi di immagini fantastiche e colorate, con un segno e un disegno ben preciso. Ad un tratto queste stratificazioni si sono perse, per dare spazio al vuoto e all’intuito. Un abbandono del segno, del disegno, del colore, e sempre di piu dell’immagine. Pensando al soggetto mi concentro ora a vedere dove mi porterà il prossimo errore, che sia della fiamma o dell’acqua.

In occasione della mostra presso Officine dell’Immagine hai realizzato un’installazione in cui alla dimensione puramente retinica si accompagna un elemento sonoro, che assume in questo contesto specifico un ruolo fondamentale. Qui l’osservatore interagisce con una sorta di messa in scena. Vuoi parlarci delle ragioni di questa sinestesia di esperienze retiniche e uditive?

Non è la prima volta che l’audio gioca un ruolo molto importante, se non fondamentale nelle mie opere video o in una mostra o in un istallazione. Nel caso specifico questa musica ha accompagnato tutta l’esperienza, le ore passate a contatto con la nature e quelle passate in studio e poi in galleria a realizzare l’istallazione. E’ diventata parte del processo, in sintonia con lo stato d’ animo, perchè non ascoltarlo?

Progetti futuri?

Oltre il lavoro con Officine dell’Immagine, una serie di progetti da realizzare in Sudamerica mi mermetterà di vedere l’immensa e potente natura di quei luoghi.

www.alessandrocannistra.com

www.officinedellimmagine.it

 

 

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