MIKE KELLEY. ETERNITY IS A LONG TIME

1 Posted by - June 11, 2013 - Recensioni

Mike Kelley, nato a Detroit nel 1954, artista “maledetto”, morto sucida lo scorso anno all’apice della fama, è di scena all’Hangar Bicocca a Milano con una personale che inizia dalla fine: un’inquietante installazione ambientale della sua tragica fine, lungamente meditata, d’impatto  teatrale e pathos beckettiano, dal titolo Extracurricular Activity Projecttive Reconstruction #1 ( A Domestic Scene), realizzata nel 2000.  Questa opera fu già esposta in occasione della prima mostra dell’artista americano nella galleria di Emi Fontana a Milano, sua compagna per sette anni, ora di proprietà di François Pinault.

All’Hangar, varcata la soglia d’entrata, sarete attratti  da un video in cui si vedono due personaggi  in cerca d’autore che scandiscono in un crescendo isterico paranoie esistenziali: il tutto avviene in un clima dark, la scena è ambientata in una squallida stanza arredata con un letto sfatto, una cucina economica e lo sportello del forno aperto e, prima di uccidersi, uno dei due attori pronuncia la frase:
 

Eternity is a Long Time

 
Questa la sintesi poetica della  mostra che raccoglie opere dal 2000 al 2006, a cura di Emi Fontana e Andrea  Lissoni.

Secondo i curatori  e alcuni addetti ai lavori, questa mostra è più interessante di quella in corso al Centre Pompidou di Parigi, con opere (che vanno dal 1974 al 2011) di un artista  poliedrico, nutrito di cultura punk, appassionato di musica e nuovi media, capace di mescolare la cultura pop con altri generi.

Nella Tate Modern milanese, per la prima volta le celeberrime Torri Celesti di Anselm Kiefer sono state completamente oscurate per lasciare il posto alle installazioni di Kelley. Qui lo spettatore  brancola nel buio, seguendo un percorso mappato da dieci opere-stazioni composte di materiali diversi, spezzoni di film, assemblaggi di immagini, vecchie foto, reperti della realtà che rispecchiano il mondo interiore di Mike Kelley: irrequieto, caotico, bulimico e sfaccettato, all’insegna di un eclettismo multimediale antiminimalista e dichiaratamente  new-pop. Sono esposte opere di grandi dimensioni prestate da collezionisti privati e prestigiosi musei, come il Reina Sofia di Madrid e la stessa Fondazione Kelley, che gestisce l’intero patrimonio di un artista tragicamente scomparso come una rock star.

Kelley, performer, attore, scrittore, con Tony Oursler fondò la band The Poetics e il risultato del loro sodalizio artistico e di vita fu esposto a Documenta X nel 1997. Alla fine degli anni Ottanta si fa conoscere con una serie di bambole e animali di pezza, utilizzati come ready/made  della società dei consumi, comprati e usati nei mercatini delle pulci ed esposti come autentiche sculture. Negli Anni Novanta Kelley lavora con l’amico Paul McCarthy contro il sistema consumistico e la disneyzzazione della società.  Dati biografici a parte, veniamo alle opere: non perdetevi Light (Time) Space Modulator (2003), la riconoscete per una scala a chiocciola prelevata dalla casa dell’artista americano e disposta in orizzontale, ispirata al Monumento della Terza Internazionale di Vladimir Tatlin e all’opera di László Moholy-Nagy. La scala diventa un elemento mobile per una proiezione rotante composta da sequenze di fotografie anni Settanta che ritraggono i precedenti inquilini in diverse situazioni familiari, ma reinterpretate da  Kelly. Noterete che le sovrapposizioni d’immagini del passato con quelle del presente creano un effetto volutamente straniante, alterando riferimenti spaziali e temporali.

Domina come un misterioso Golem un fumettistico, arlecchinesco clown rivestito di schegge di vetro colorato, metallo e ceramica John Glenn Memorial Detriot River Reclamation Project (Including the Local Culture Pictorial Guide, 1968-1972), del 2000: un’opera che fa parte della serie ispirata alla forma folkloristica dei Memory Ware, ispirata alla statua di John Glenn, (astronauta protagonista della prima missione spaziale statunitense del 1962), esposta nel liceo frequentato da Kelley.

Da quest’opera si capisce che scindere aspetti, esperienze, suggestioni iconografiche che hanno influenzato l’immaginario  dell’artista è impossibile. Armatevi delle eccellenti guide che ad ogni mostra vengono pubblicate e distribuite al pubblico, percorrete la sua via Crucis e immergetevi nel suo mondo non facile da decodificare, complesso e carico di stratificazioni di significati: non chiedetevi cosa rappresentano, ma come sono fatte, perché in questo consiste la sua indiscutibile originalità.

L’opera Profondeurs Vertes (2006), ospitata nel Cubo dell’Hangar Bicocca, conclude il percorso espositivo: è la più matura e travalica l’autobiografismo, assurgendo a problematiche iconografiche più complesse in relazione alla storia dell’arte, alla politica e alla società. Quest’opera, commissionata dal Louvre  e dedicata al legame tra la pittura  americana ed il museo francese, composta da tre video, un dipinto a olio e sette disegni da brivido estetico, rappresenta un punto d’inizio più che di fine, in cui Kelley applica un procedimento di decostruzione e ricomposizione di immagini e codici misti a reminescenze d’infanzia, che aprono riflessioni sulla grandezza delle opere del passato, sulla loro eredità nel presente, sullo spazio, il tempo e la memoria.
 

 
Mike Kelley | Eternity is a long time

Hangar Bicocca
via Chiese 2, Milano
info@hangarbicocca.org
www.hangarbicocca.org

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