Articolo pubblicato su ilGiornaleOFF
Quante volte vi sarà capitato di leggere delle magnifiche sorti e progressive di una mostra in cui le opere “dialogano con lo spazio”? E’ una delle tante declinazioni del luogocomunismo nella divulgazione dell’arte contemporanea, ma Maurizio Mochetti (Roma, 1940) fu davvero tra i primi, in Italia nei tardi anni Sessanta, a mettere in relazione viva e simbiotica le opere e lo spazio -lo dico sempre, la cultura non la trovate solo a Palazzo Reale, ma anche e soprattutto nelle mostre che le coraggiose gallerie private organizzano ogni mese -che ci volete fare? Sono un fazioso.
Da Giovanni Bonelli in via Porro Lambertenghi a Milangeles potrete assaggiare un bocconcino di storia contemporanea dell’arte e tornare a casa con un (bel) po’ di conoscenza in più. Viceversa, se già siete acculturati, avrete modo di riassaporare una produzione artistica che la storia l’ha segnata: stiamo infatti parlando di una retrospettiva che a partire dalle ricerche sullo spazio condotte da Maurizio Mochetti nei tardi Sessanta arrivano alle più recenti sperimentazioni con laser, neon, plastiche.
In galleria potrete vedere (o ri-vedere) il Cono con filo a piombo del 1967, che preconizzò l’esordio di Mochetti sulla scena artistica romana nella galleria “La Salita”, nonché la serie ispirata alla macchina da guerra nazista Bachem Natter, l’aereo a decollo verticale mai usato sugli scenari bellici, che costò la vita al suo collaudatore e che qui diventa un “feticcio” ad usum globetrotters dell’arte (Aereo-razzo Bachem Natter BA 349 B-1944 con specchio, 1977; ma vedrete anche la serie Camouflage Pinguini, 1987, ten years after Bachem Natter, “truccata” con forme geometriche nette e colorate).
Informazione di servizio: le opere in mostra, ordinata in team con Furini Arte Contemporanea, non sono prestiti di musei, quindi se siete investitori del fondo del Qatar che s’è comprato City Life ve le potete portare a casa tranquillamente (range da 200.000 a 15.000 €).
Un altro pezzo forte della mostra è Perni con laser del 1988, un “giardino” di tanti piccoli cilindri, uno dei quali dotato di un motorino che gli permette di girare lentamente su se stesso proiettando, con uno specchietto, un raggio laser sugli altri compagnucci dell’installazione:una sinfonia visuale, traduzione fatta e finita, in chiave estetica, di quella che il filosofo Immanuel Kant avrebbe chiamato “appercezione trascendentale” e che noi traduciamo con “vedere e capire”.
Risultato: Perni con laser -e tutta la mostra in sé- ci portano alla natura randomica dei nostri giorni, un vagolare rizomatico apparentemente senza senso ma in realtà piuttosto ordinato. E poi dice che l’arte contemporanea non la capisce.
KRITIKA legge ilGiornaleOFF
(qui l’articolo originale)
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