MANI BUCATE

0 Posted by - January 8, 2016 - Altre scorie (Stefano Abbiati)

Immagine di copertina: Stefano Abbiati, Mani bucate, tecnica mista su carta, 30×21 cm
 
Fu verso i dodici anni che Giuliano decise di giocare a calcio nel ruolo di portiere. Forse perché poteva fermarsi a pensare più di tutti gli altri, o perché poteva guardare il gioco scorrergli davanti come alla TV. Gli piaceva anche intervenire all’improvviso come fanno i portieri; per istinto, senza poter calcolare nulla, salvando il risultato. A volte gli sembrava di leggere nella mente degli avversari, soprattutto nelle azioni molto lente o molto veloci.

Quando era da solo giocava anche a fermare il tempo per sentire ‒ cercando quasi di sorprendersi ‒ il proprio respiro, o la presenza di se stesso. Cercava proprio di spaventarsi, ma anche ricordarsi dove in quel momento si trovasse, cosa stesse facendo. Dove si trovasse sulla linea del tempo, perché gli sembrava di sprofondare in un oblio automatico che gli faceva orrore. Proprio così; perché uno si sente vivo e morto allo stesso tempo, come succede con un bel ricordo che non tornerà mai più. Questo gli capitò quando riascoltò per caso una canzone di Vasco Rossi, quella che si chiama proprio Ciao. Gli sembrava di balzare avanti e indietro nel tempo senza esserne padrone. Per questa ragione odiava anche addormentarsi.

Nonostante tutti questi elaborati calcoli astronomici della sua testa, con gli amici finiva per cadere nella più ingenua creduloneria. Certamente veniva rispettato, soprattutto grazie a questa storia di fare il portiere, che è un ruolo che per tutti è di sacrificio e nessuno ha voglia di farlo. Gli citofonavano, infatti, gli amici, e lui si faceva trovare pronto.

Per un certo periodo avvenne un fatto buffo. Per molti pomeriggi attese certe promesse dal suo amico Luigi. Gli aveva detto, infatti, che gli avrebbe portato un paio di guanti da portiere professionista della Reusch. Quando Luigi andava a chiamare Giuliano per giocare a calcio, però, ci andava sempre senza guanti. Un giorno diceva che sarebbero stati pronti l’indomani, l’altro anche, il giorno successivo che sua mamma glieli stava giusto impacchettando… e così via. La mamma di Giuliano, invece, sapeva che Luigi mentiva e una volta lo rimproverò affacciandosi dal balcone di casa. Giuliano, dal canto suo, tra mille scusanti, giustificava religiosamente Luigi e continuava a sognare dei guanti.

Ad ogni modo, al pomeriggio tardi dimenticava tutto perché si buttava nella lettura dei libri illustrati sui dinosauri e i gorilla. Gli piaceva buttarsi dentro i particolari dei paesaggi, osservare attentamente come veniva dipinta l’acqua, o le montagne. Quasi volava come una Meganeura sopra le felci.

Dato che il suo desiderio di guanti da portiere professionista non si risolveva, un giorno provò a cucirseli da sé. Per la verità assemblò pietosamente dei pezzi di lattice ritagliato che sua madre finì di cucire, anche se piuttosto male. Attaccò il palmo, che era fatto di lattice (una gomma presa da scarti industriali di una piscina) al dorso in stoffa gialla. L’odore dei guanti sembrava professionale, ma non poteva certo scriverci Reusch.

Fu soprannominato mani bucate dagli amici, che però non lo prendevano troppo in giro perché sapevano che Giuliano aveva quasi sempre nello sguardo una specie di sostanza colloidale che sembrava ti leggesse dentro agli occhi. Andava bene scherzare, ma non troppo. Questo lo aveva forse imparato giocando da portiere, anche se Luigi lo aveva preso per il naso con quella storia dei veri o presunti guanti della Reusch.

Non è cambiato molto, oggi. Solo, quando guarda se stesso di fronte a uno specchio, non giura niente. Ha studiato archeologia, ma alla fine ha fatto un po’ tutti i mestieri, sempre con le stesse mani bucate.

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