MACRO TESTACCIO. EXTRA LARGE

0 Posted by - April 10, 2013 - Recensioni

A Roma, al MACRO, museo ricavato da un ex mattatoio e progettato da Odile Decq, quindici installazioni di grandi dimensioni provenienti da importanti collezioni italiane danno il titolo alla mostra Extra large, gestita da galleristi e collezionisti.

Sembra un deposito di cose troppo ingombranti senza capo né coda, affastellate tra loro, abbandonate al loro destino di non fruibilità e non interazione da parte del pubblico, anche perché non vi sono né didascalie né pannelli di spiegazione di opere così diverse tra loro. Questa mostra non attira, ma respinge il pubblico non specializzato. Qui un visitatore qualsiasi, curioso di vedere cosa sia esposto nel museo romano situato in un quartiere ancora in via di riqualificazione, e che si avventuri, forse per la prima volta, in una collettiva di opere d’arte contemporanea, ne esce con le idee molto confuse e non capisce, grandezza a parte, cosa esse significhino e quale percorso l’ordinamento della mostra voglia mettere in evidenza.

Insomma, Extra large sembra una mostra  fatta per accontentare gli addetti ai lavori: una fiera delle vanità che evidenzia i suoi stessi limiti e le pecche degli atteggiamenti snob che consistono nel dare tutto per scontato e non si prendono la responsabilità di mostrare, appunto, quale pensiero contengano queste opere. Attenzione, perché il monumentalismo e la spettacolarizzazione fine a se stessa, nell’arte contemporanea come nell’architettura, spesso celano retoriche vuote e calo di tensione creativa.

Extra large è un esempio di come non vanno fatte le mostre: non brilla per intuizione critica e la si dimentica facilmente. Fortuna che nel cortile del Macro Testaccio si trova parcheggiata da dicembre 2012 la maxi opera Big Bambù, realizzata per celebrare i cinquant’anni anni di Enel, da Mike e Doug Starn, artisti americani gemelli che lavorano insieme da oltre vent’anni, fatta a mano giorno dopo giorno con canne di bambù allacciate tra loro da corde, alta trentatrè metri e progettata in situ come dono alla città di Roma da parte dell’Enel. Concepita come un organismo vivente, questa scultura è in forte relazione con lo spazio e comprende una parte calpestabile dal pubblico, cui, dopo aver firmato una liberatoria, è permesso di arrivare a venti metri di altezza grazie a un apposita scala a doppia elica che forma una rampa a spirale.

Invece le installazioni di Extra Large di Giorgio Andreotta Calò, Micol Assael, Pedro Cabrita Reis, Isabelle Cornaro, Nemanja Cvijanovic, Anna Franceschini, Kendell Geers, Heike Kabisch, Avish Khebrehzadeh, Marko Lulic, Vittorio Messina, Jun Nguyen-Hatsushiba, Alfredo Pirri, Pietro Roccasalva e Pietro Ruffo, sebbene di forte impatto scenografico, sbalordiscono per incuria e approssimazione espositiva.

Peccato, perché tra le opere esposte, alcune sono davvero dignitose , come quella di Pietro Roccasalva (Jockey full of Bourbon II: installazione di un arabesco curvilineo al neon bianco che si espande nello spazio) e la cella frigorifera di Micol Assel, un impianto di refrigerazione e sedia con resistenza elettrica che apre riflessioni sulle imperiture barbarie umane: morte, tortura, stati di alterazione all’insegna della violenza. Le altre opere, concettualmente impegnative, appaiono “respingenti” perché sono da motivare, contestualizzare e non solo da mostrare come fossero quadri in una tradizionale esposizione. Era necessario guidare il pubblico non specializzato alla lettura delle opere e nello sguardo dell’artista sul mondo, che spesso lo evoca senza rappresentarlo.

Anche le videoinstallazioni non godono di un allestimento ottimale: l’acustica è pessima e non v’è neppure una sedia per godersi i video dall’inizio alla fine. In questo caravanserraglio l’artista e il pubblico sono fortemente penalizzati perché le opere non si fanno capire, non comunicano l’arte contemporanea e stordiscono il visitatore. Peccato che un museo così importante non si preoccupi di accompagnare il pubblico, neppure con una brochure o banalissime schede esplicative dei contenuti della mostra. Non v’è neppure un catalogo, e qui si naufraga nel pressapochismo tipicamente italiano, che non sa valorizzare il proprio patrimonio né tanto meno riesce, come invece succede all’estero, a trasformare l’arte contemporanea in un’impresa di cultura.

Macro Testaccio | Extra large

Piazza Giustiniani 4, Roma
www.museomacro.org

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