Le possibilità della luce. Questo il tema della collettiva Lumen Ray, con il contributo di Alessandro Turci, alla galleria milanese Jerome Zodo. Qui James Clar, Matteo Fato, Raul Gabriel, Lori Hersberger, Guillaume Leingre, Alistair McClymont, Yari Miele, Tony Oursler, Ivano Sossella, Morgane Tschiember, United Visual Artists, autori diversi per età, formazione, tecniche e linguaggi che hanno declinato la luce come sinonimo di energia creativa, proponendo soluzioni aperte a costanti revisioni soggette al luogo e al pubblico con cui si relazionano. Vedrete stipate insieme al piano terra della galleria opere diversissime tra loro, nelle quali il tubo fluorescente non è l’unico protagonista, altrimenti sai che noia!
E’ curioso questo “presepio” di soluzioni scultoree, alcune materializzate con assemblaggi di oggetti diversi, altre dipinte per lo più a tecnica mista, messe a confronto con quelle che utilizzano il tubo al neon, qui desacralizzato e reinterpretato. Sono tutte opere all’insegna del relativismo spaziotemporale, autoreferenziali, come una materializzazione del tentativo di misurazione della luce: Lumen rappresenta la fascinazione delle cose lucenti ed è una metafora del pensiero, mentre Ray indica l’aspetto tecnologico che modifica la luce naturale e produce quella artificiale.
L’esposizione nasce da una riflessione sul libro La luce nelle sue manifestazioni artistiche (1960) di Hans Sedlmayr, in cui la luce diventa medium dell’arte per eccellenza. Sappiamo che dal Medioevo al ventunesimo secolo la luce è materia dell’immateriale, icona della ragione e del risveglio delle coscienze: un binomio alchemico tra scienza e coscienza evergreen che genera riflessioni sui rapporti dialettici tra luce e spazio, luce e oggetto, luce e materia, questi e altri dinamismi complessi che producono multiformi opere d’arte. La luce qui diventa un presupposto formale per inscenare racconti, relazioni o tensioni a corrente alternata attraverso fonti luminose e materiali vari, anche se non tutte le opere esposte “brillano” di luce propria ma si avvalgono di quella del vicino. Sono fluorescenti e splendenti perché incentrano la ricerca artistica sul medium luminoso: Ghost No.21 e Konstellation No.2 di Lori Hersberger (1964, Basilea), entrambe sculture a muro che definiscono “cornici” vuote sovrapposte di tubi al neon, dalle forme geometriche non innovative ispirate a Malevic e Dan Flavin, banalizzate dal design contemporaneo, già viste in diverse soluzioni di illuminazione di spazi pubblici e privati; Grey Area dell’eclettico gruppo inglese United Visual Artists che dal 2003 pratica diverse metodologie mescolando architettura, design e arti visive, puntando sulla teatralizzazione degli spazi, anche The End di James Clar (1979, Wisconsin), un gruppo di sculture luminose che non spiccano per originalità, ma tengono alta la tensione verso l’infinito nella visione complessiva. Paradossalmente, illuminano di più su una vaga riflessione intorno alla luce come materia della creatività quelle opere che non usano sorgenti luminose, come Why Be Blue! di Guillame Leingre (1971, Parigi) che ha lasciato l’impronta della propria mano su una superficie in seguito a una performance avvenuta il giorno dell’inaugurazione, sostenuta da un tubo nero, in cui l’autore mescola reminescenze Fluxus con il minimalismo americano.
Centra l’obiettivo Bomb di Tony Oursler (1957, New York), un’enorme a facciona-palla deforme, collocata sul pavimento, che sorprende lo spettatore ed erutta frasi incomprensibili, rompendo l’algida atmosfera dello spazio. Sono dichiaratamente “materialiste” e organiche le opere di Matteo Fato (1979, Pescara) Untitled (un dipinto che rappresenta un volto deformato d’eco simbolista-espressionista) e la misteriosissima maschera Untitled with masck dall’energia totemica. Anche ZOO3 e Light, di Raul Gabriel (1966, Buenos Aires), irradiano un’energia possente e misteriosa, più legata alle forze ctonie della terra che dello spazio, lontane anni luce dall’evanescenza che questo materiale fluido rappresenta. Sono dichiaratamente spazialiste, tese verso un’indefinibile Space Odyssey e una rappresentazione astronomica le quattro opere di Alystar McCymont (1978, Harlow), tra cui spicca Eclipse, forse ispirata alla famosa profezia Maya della fine del mondo: un semplicissimo cerchio bianco su fondo nero qui diventa l’emblema della fine e l’inizio di un nuovo modo di immaginare il mondo.
In un’altra sala completamente oscurata troverete poi due opere che sembrano pulsare di energia, Ohne Titel di Yari Miele (1977, Cantù), si confronta con Make it possible di Ivano Sossella (1963, Genova), due sculture “a specchio” che alterano la percezione dello spazio e aprono riflessioni sull’ambiguità dell’immagine. Dispiace osservare, come spesso accade in altre occasioni, che anche in questa mostra, su dieci artisti invitati solo una è donna: si chiama Morgane Tschiember (1976, Parigi) ed è riconoscibile per una poetica di sensuale leggerezza, con fotografia Polaroid, un “paesaggio” curvilineo astratto iscritto in un bagliore di luce, forse un’alba del mondo che fende il buio con l’energia della vita.
James Clar, Matteo Fato, Raul Gabriel, Lori Hersberger, Guillaume Leingre, Alistair McClymont, Yari Miele, Tony Oursler, Ivano Sossella, Morgane Tschiember, United Visual Artists | Lumen ray
Jerome Zodo
via Lambro 7 (ang. Via Melzo), Milano
info@jerome-zodo.com
www.jerome-zodo.com
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