L’ILLUSIONE DELLA LUCE | PALAZZO GRASSI | VENEZIA

0 Posted by - May 4, 2014 - Recensioni

Fin dalle origini dell’uomo e della storia dell’arte, il tema della luce è stato l’argomento centrale per rendere visibile l’invisibile. Da Tintoretto eTiepolo al vedutista Guardi, tanto per citare alcuni  maestri veneti del colore, la luce diventa materia di esplorazione e icona dell’ambivalenza del rapporto realtà/illusione, corporeità/immaterialità.

La luce è di chi la immagina e la vede. La luce come medium dalle sfumature metaforiche è in sintesi l’obiettivo della mostra L’illusione della luce, a cura di Caroline Bourgeois, a Palazzo Grassi a Venezia: le opere esposte per la prima volta appartengono alla collezione di François Pinault, ad eccezione di Monument for V. Tatlin (1964) di Dan Flavin, già  nota al pubblico.

L’illusione della luce indaga sulle ambivalenti potenzialità poetico/espressive della luce, in bilico tra paradosso e consapevolezza, per liberare l’occhio dalle visioni convenzionali e guardare le opere in movimento, in espansione  nello spazio.

Questa e le opere in mostra a Palazzo Grassi tracciano un percorso fisico e immaginario al tempo stesso, che cambia di continuo con il mutare della luminosità diurna o serale. La mostra è congegnata per mettere in discussione la solidità dell’architettura degli spazi, con giochi ottici di destabilizzazione tra miraggi, immagini preesistenti, vuoto e diversi effetti percettivi. Dalle opere in mostra capirete che ci sono diverse sfumature  di luminosità: chiarori, fulgori, scintille, lampi, bagliori, barlumi, sfavillii, splendori, scintillii che possono provenire da fonti luminose o artificiali e agli artisti interessa la luce bianca o colorata industriale che produce ombre come dispositivo di spazi-soglia dell’illusione.

Nell’atrio di Palazzo Grassi il percorso espositivo “dentro” la luce incomincia con una maxi installazione ambientale, D-N SF 12 PG VI (2012) di Doug Wheeler, pioniere con Robert Irwin e James Turrell del movimento californiano Light and Space, che si sviluppa a Los Angeles a partire dagli anni Sessanta, in cui la luce diventa materia, alterando radicalmente la percezione dello spazio, che sembra fagocitare lo spettatore in un ambiente clinico, evanescente e  ipnotico, evocando una sensazione di sole freddo. Questa opera genera disturbo visivo e accresce nello spettatore il senso della precarietà. Straniamento che continua con l’abbagliante Marquee (2013) di Philippe Parreno, una pensilina luminosa simile alle insegne intermittenti dei teatri, che valorizza l’elemento scenografico  dell’arte contemporanea. Smaterializza lo spazio l’opera site specific  ispirata all’arcobaleno del Mago di Oz di Vidya Gastaldon, dal titolo Escalator (Rainbow Rain), (2007), realizzata da una cascata di sottilissimi fili di lana, stoffa e piccoli elementi in plastica con effetti percettivi che variano a  seconda dell’intensità di luce naturale e artificiale.

Salon noir (1966) di Marcel Broodthaers e Dead Boards No.11(1976) , un autoritratto intimo all’interno della casa-studio di Gilbert &George a Londra, fanno luce sulle nostre paure ancestrali  della morte, qui visualizzata dall’oscurità totale.  Si passa dalla luce abbacinante prodotta dallo scoppio della  bomba atomica, immortalata dalle immagini che ripropongono spezzoni di filmati di oltre cinquecento telecamere militari dei test atomici sull’Atollo di Bikini, effettuati dal governo degli Stati Uniti nel 1946, al nero totale di Crossroods (1976) di Bruce Conner, che mette in scena le conseguenze apocalittiche della tecnologia. Luce che dalle tenebre torna fulgida con l’opera al neon di Dan Flavin ispirata al Monument to the Third International (1920) di Vladimir Tatlin, in cui si recupera la dimensione laica e utopica della luce. E’poetica l’immagine che esplora visivamente il confronto tra una lampadina elettrica e una candela nel light box Dialogo (1980) di Antoni Mutadas, in cui sono evocati due metodi di conoscenza.

Le sala che ospita la videoinstallazione Anne, Aki And Good (1988) di Eija-Liisa Ahtila, basata su una serie di interviste a un uomo che ha vissuto un’esperienza psicotica, richiede tempo e va ascoltata.

Tra le altre opere in  mostra, indimenticabile l’installazione Continuel Lumiére Cylindre (1962-2012) di Julio Le Parc, artista argentino tra i fondatori del  G.R.A.V (Groupe de Recherche d’Art Visuel ) di Parigi, protagonista dell’arte cinetica e optical degli anni Sessanta. La sua opera fende il buio di una stanza totalmente oscurata, in cui un monumentale disco di circa cinque metri di diametro, animato da una sequenza mobile di fasci luminosi, vi travolgerà in una vertigine ottica: da vedere, più che da raccontare.

In questa carrellata di declinazioni  della luce che apre prospettive sconosciute, si imprime nella memoria visiva l’opera Untitlet (Light bulb) (1994-95), di Robert Whitman, composta da una lampadina da cui cola quella che sembrerebbe acqua e che invece è un olio minerale: la luce alterna a cicli di tre minuti una luminosità prima forte e poi fioca, creando un clima di suspence avvolgente.

Si torna al tradizionale tubo fluorescente con la monumentale scultura al neon di Bertrand Lavier, che evoca quelle del minimalista Frank Stella, e con quella di Robert Irwin, in cui lo spettatore, accendendo o spegnendo interruttori, sperimenta diversi “quadri”, composizioni luminose in cui la percezione instaura un dialogo con lo spazio circostante.

L’illusione della luce è  concepita per essere vista e l’energia esplorativa o la reverie che essa genera dipendono dalla sensibilità dello spettatore. Al piano nobile di Palazzo Grassi chiude il viaggio intorno alla luce una mostra di fotografia dal titolo Resonance, presentata per la prima  volta in Italia: 130 opere della collezione François Pinault suddivise per sezioni tematiche di Irving Penn (1917-2009), dalla fine degli anni Quaranta a metà degli anni Ottanta, con alcuni inediti dell’insuperabile maestro di still-life. Sono una rivelazione le nature morte realizzate dagli anni Settanta al decennio successivo – assemblaggi di carni, mozziconi di sigarette e altri oggetti quotidiani – che, attraverso sapienti composizioni di luce, scolpiscono forme intorno al tema della caducità della vita.
 

 
L’illusione della luce
a cura di Caroline Bourgeois

Palazzo Grassi
Campo San Samuele, 3231 Venezia
www.palazzograssi.it

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