La Germania dagli inizi del Novecento, con l’Espressionismo, il Bauhaus e la Nuova Oggettività, prima dell’onta nazista è stata culla di avanguardie, polo culturale internazionale che ha iconizzato i luoghi della modernità nelle arti visive, con la rappresentazione di edifici e paesaggi industriali. Tra i più interessanti protagonisti della Nuova Oggettività, negli anni Venti e Trenta, con Otto Dix e George Groz, insuperabili nella rappresentazione di scene o personaggi della vita borghese con cruento cinismo, spicca per iperrealismo post-futurista di visionaria oggettività l’outsider Carl Grossberg (1894-1940), architetto appassionato di pittura – coltivata all’Accademia di belle Arti di Weimar -, di paesaggismo e della pittura en plein air come i pittori francesi dell’Ottocento, che si distingue per un realismo fotografico dalle atmosfere rarefatte e sospese, in bilico tra realtà e immaginazione alla Edwar Hopper, venate di romanticismo.
Architetto e pittore riscoperto negli anni Sessanta, con il trionfo della Pop Art, apprezzato in Francia, Germania e Stati Uniti, ancora sconosciuto in Italia, proposto nel 1968 da Emilio Bertonati nella sua Galleria del Levante, è ora presentato dalla Galleria Milano con trentadue opere (disegni, carboncini, dipinti ad olio e acquarelli), dedicate al tema centrale del progresso: fabbriche, edifici industriali, sale macchine, ciminiere e turbine, stabilimenti dove si produceva acciaio e ferro.
Il cuore metallico dell’economia tedesca. Questi simboli classici della modernità hanno affascinato il Novecento, dai futuristi Antonio Sant’Elia, Mario Sironi, fino alla coppia di artisti concettuali Bernd e Hilla Becher, noti per fotografie di archeologia industriale (e non può mancare Gabriele Basilico, che ha immortalato edifici della produzione e vedute urbane in rigoroso bianco e nero come metafisiche cattedrali dell’estetica contemporanea).
L’iconografia urbana non è una novità, lo sono le vedute e gli scorci urbani di Berlino del ’29 immortalati da Carl Grossberg, intellettuale cresciuto sui banchi del Bauhaus, frequentando i corsi con Lyonel Feininger. Le sue opere incantano cultori del paesaggio urbano e del disegno architettonico per una straordinaria capacità di trasfigurare cantieri, porti, hangar, ciminiere fumanti, monumentali macchine di ferro in un avveniristico mondo, dove tutto è calma e silente celebrazione del cuore ferroso dell’operosa Germania che, dalle ferrovie della Baviera agli stabilimenti della Renaina, si rappresentava come massima potenza industriale.
Il pittore della vita moderna dal rigore impressionante confessò prima della sua morte:
All’inizio le mie immagini erano fiduciose, ma se dovessi dipingere ora, alla luce di ciò che ho passato, i miei quadri sarebbero tutti neri
Grossberg prima ha sognato e poi dipinto città ideali e vedute urbane, che svelano la sua ossessione di precisione fotografica, anche in un ciclo di oltre una ventina di opere raccolte sotto il titolo di Industrieplan, dipinte tra il 1933-1934, come una documentazione visiva delle più importanti industrie della Germania. Dopo aver partecipato alla guerra del 1918, dove l’autore fu ferito, è stato richiamato alle armi durante il secondo conflitto mondiale, mentre tentava la fuga per l’America, per essere spedito con le truppe di occupazione in Polonia (1939).
Il dramma della guerra e la depressione annientarono la sua visione ottimistica della modernità e Grossberg abbandonò la sua fantasiosa e positivista interpretazione della civiltà delle macchine, in cui la solitudine fa da padrona, per dedicarsi al supporto delle popolazioni afflitte dall’invasione, ma come accade per alcuni eroi dei romanzi, morì in circostanze misteriose e drammatiche, vittima di un incidente d’auto.
La visionarietà oggettiva di Carl Grossberg
Galleria Milano
via Turati 14, Milano
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