ARTICOLO PUBBLICATO SU ilGiornale OFF
Chi ci segue sa con quanto fervore noi di OFF sosteniamo il genere figurativo nell’arte italiana, uno stile che sta tornando in auge dopo anni di boicottaggio da parte dell’art system: un ostracismo che non dipende(va) dal fatto che gli operatori di settori fossero pregiudizialmente ostili nei confronti del suddetto genere, ma che era semplicemente l’effetto del dominio esercitato sul campo da parte della “classe dirigente” (collezionisti, galleristi, curatori e al seguito la stampa specializzata) che in quel contesto storico dettava le regole nel mondo dell’arte.
Ai profani non sembra, ma è tutto connesso: l’arte visiva in quanto mestiere e business non è una testa d’angelo senza corpo, ma dipende in tutto e per tutto dalla contingenza economica e quindi politica e quindi culturale in cui essa vive o sopravvive. Soprattutto in un paese come l’Italia, dove esiste ancora un Ministero preposto alla Cultura. Ecco perché nella Biennale veneziana del 2015 il curatore Okwui Enwezor immortalato sulle pagine patinate di Vogue aveva fatto fare i reading del Capitale. Ecco perché a Torino domina la Carolyn Christov-Bakargiev che voleva invitare Toni Negri alla Biennale di Istanbul.
Ma, Vico ce l’insegna, la storia è fatta di corsi e ricorsi e insieme al barbuto di Treviri (K. Marx) aggiungiamo che quando si ripete si trasforma in farsa.
E infatti.
Basta uno sguardo alle fiere d’arte, ai concorsi, alle mostre, ai servizi delle pubblicazioni specializzate, per capire che qualcosa sta cambiando: non solo la pittura non morirà mai (e questo è pacifico, i ricorsivi vaticinii di morte della pittura li lasciamo agli intellettuali che ingialliscono nelle biblioteche senza visitare manco una mostra in una galleria normale), non solo l’antica disciplina pittorica continua e continuerà a farla da padrona nelle aste e nelle fiere e nelle mostre, ma lo fa e lo farà dal punto di vista specifico del genere figurativo: un “potere” che, se cambierà il vento a livello culturale, non potrà che accrescersi (tradotto: l’arte figurativa andrà via sempre più come il pane, perché “dominerà” un sistema di idee diverso dal precedente, quindi più popolare, sapendo che il miglior prezzo “contenuto” del miglior quadro della migliore galleria sul campo non ha niente di popolare, ma del resto l’arte non è per tutti e se vi raccontano il contrario vi stanno dicendo una bugia).
E ci dogliamo per gli aficionados della pittura monocroma e aniconica, ma con ogni probabilità si verificherà un cambio di paradigma: magari al prossimo turno saranno più fortunati.
Però c’è questo di specifico: domina il genere figurativo il cui soggetto prediletto è, diciamo, la persona. Fateci caso: è un proliferare di corpi e ritratti. Natura morta, zero o quasi.
Forse la ragione di questa preferenza sta in un generale maggior interesse da parte degli artisti per il corpo: del resto, le mostre che incentrano il proprio concept sul corpo e la corporeità sono centinaia (io stesso ne ho curata almeno…una!) e riguardano sia gli artisti affermati che (soprattutto) gli artisti in via di consolidamento. Del resto, il simile è attratto dal simile (errore grave, gravissimo) e quindi può essere che per un giovane artista una mela susciti meno ispirazione di un volto.
Forse un’altra ragione sta nella sensazione di spaesamento che viviamo a livello globale, del resto il mondo non è forse mai stato così cattivo come oggi e questa può essere una spiegazione per la ricerca dell’altro in pittura: abbiamo paura e teniamo a ciò che è più in pericolo: noi stessi e l’altro da noi –che è sempre un qualcuno, foss’anche un corpo senza identità-
Ecco, l’identità è l’altro tema che caratterizza una presenza piuttosto massiva in pittura e nelle arti visuali in generale e può darsi che la spiegazione data qui sopra valga anche per la preferenza accordata dagli artisti a questo tipo di ricerca.
Eppure, senza scomodare la storia dell’arte chè tanto la conosciamo tutti, la natura morta, almeno in Italia, è sempre stata (e lo è tuttora) tutt’altro che morta.
Purtroppo la lingua italiana ha mostrato la sua povertà creativa nel definire “[…] il soggetto pittorico che consiste di frutta e fiori sottratti al loro ambiente naturale e quindi morti […]oggetti di vario tipo, come strumenti musicali, bottiglie o animali morti” (è un copia/incolla dalla Wikipedia) rispetto alle lingue inglese e tedesca, che descrivono tale soggetto pittorico così: “still life” e “stillleben”, cioè “vita silente”. L’esatto contrario! La definizione in Italiani accusa in tutta evidenza una sua conformazione burocratica e da facchini del linguaggio…
Ma l’“italianità” pittorica non è per fortuna altrettanto miserabile. Ecco allora che, almeno qui, i grandi nomi dell’arte di oggi hanno…”detto” e dicono la loro sull’argomento (fermo restando che l’elenco di nomi a seguire non ha alcuna pretesa di esaustività, ma riflette i limitatissimi e insindacabilissimi gusti dello scrivente): l’indimenticato Claudio Bonichi e i giovani Andrea Mariconti, Martina Antonioni e Gianluca Corona, senza scordare il misconosciuto (appunto) Claudio Costa, ligure come Pietro Geranzani, altro pictor optimus. E aggiungerei sia Carlo Benvenuto, che fa fotografia anziché pittura, ma vi sfido a non restare basiti davanti alla sua produzione (e a ricordarne, per chi l’avesse vista, la personale alla Gamec di Bergamo), che il serbo Mihailo Karanovic, che italiano non è ma ha lavorato parecchi anni in Italia.
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Il comun denominatore è l’oggetto: le loro opere parlano di oggetti e rievocano lo “studio matto” di quel grande pittore, il bolognese Giorgio Morandi che dipinse lo stesso soggetto per tutta una vita, alla costante ricerca dell’intima essenza (nel suo caso potremmo dire: della “bottiglità”) di una vita silente. Appunto. Questi artisti hanno questo di eccezionale: la vita silente incarnata in un quadro (o in una foto).
E forse (stando sempre in tema di vaticinii artistici) qualcosa sta cambiando anche nel genere figurativo: basta con questo corpo! Basta col chiasso dei soggetti-soggetti, che strepitano anche quando sono morti.
Sarà vero che, in termini di vaticinii, la verità la scrisse qualche anno fa uno scrittore (che pure s’intende assai di arte)? Michel Houellebecq, La carta e il territorio (per inciso: lo stesso Houellebecq pubblicò il suo ultimo romanzo, Sottomissione, due giorni prima che avvenisse la strage nella redazione parigina del settimanale Charlie Hebdo ad opera dei mozzorecchi islamisti):
[…] Ma il problema delle arti figurative, mi sembra è l’abbondanza dei soggetti. Per esempio, potrei benissimo considerare quel radiatore come un soggetto pittorico valido (Michel Houellebecq, La carta e il territorio, Bompiani, 2010, pp. 116-17)
E, visti i tempi in cui sempre più spesso l’uomo non sembra dare il meglio di sé, sai mai che come opposizione al senso di “spaesamento” generalizzato di cui sopra un radiatore dica più di un volto.
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