Nel cuore di Milano la galleria Ciocca Arte Contemporanea rifulge di nuova luce: una rivoluzione dello spazio espositivo, che da galleria-e-basta è ora diventato una galleria-abitazione. Dove, fino a marzo 2013, potrete ammirare le misteriose fotografie di Kensuke Koike, artista giapponese figlio degli anni Ottanta. Wish il titolo della mostra, con cui Rossana Ciocca apre la porta di casa al pubblico dei vernissage milanesi: il desiderio come luce che permea la realtà e anima le cose. La galleria ha cambiato volto e ora Ciocca Arte Contemporanea si presenta così: una parete separa lo spazio espositivo da un ampio locale domestico, mentre un breve corridoio conduce a un salotto illuminato da luci calde e morbide. Due comodi divani, un tavolino, una piantana dal design very very cool e uno specchio dalla cornice spessa e ondulata. Più in là, un mezzanino totalmente in vista, e laddove un tempo vi era una “stanza”con comunicati stampa e materiale documentale, oggi vediamo una cucina dalla scocca scarlatta dove stoviglie, tazzine e posate fanno autorevole sfoggio di sé.
Entrando in galleria, sulla parete di sinistra vedrete sei carte incorniciate e allineate, sulle quali sono riprodotti, con diversificazioni formali e tonali, sei diamanti che differiscono tra loro nel gioco di accostamenti delle varie sfaccettature. La tecnica con cui Kensuke Koike ha realizzato questi diamanti è decisamente singolare: le sfaccettature che li compongono sono state ricavate da fotografie d’epoca recuperate presso mercatini dell’usato e scelte in base al soggetto – si tratta rigorosamente di ritratti a mezzo busto – e alla resa monocromatica.
Proseguendo nel percorso espositivo troverete altri sei lavori incorniciati allo stesso modo, ma disposti in due file di tre. Ciascuno di questi è ciò che resta della foto che Kensuke ha ritagliato per andare a comporre i diamanti. La corrispondenza è progressiva: al primo diamante della prima parete corrisponde la prima fotografia della seconda parete, e così via. Ne risultano veri e propri dittici, in cui il primo elemento è il risultato di un’operazione additiva e il secondo, viceversa, di una sottrazione. Da una parte, quindi, la foto svuotata, dall’altra il diamante costruito con frammenti sottratti.
Le fotografie scelte da Kensuke sono veri e propri oggetti dimenticati. E l’atto creativo diviene alchemico, se ciò che l’artista vuole è restituire preziosità a un oggetto in disuso.
Prima di intervenire col taglio, Kensuke sperimenta infinite possibili combinazioni, scansionando e stampando numerose copie della foto prescelta. Ci lavora su per trovare la soluzione ottimale e soltanto quando ha ottenuto l’effetto voluto si arma di bisturi e recide. Taglia, con delicatezza chirurgica, l’elemento originale. Estrae i frammenti lasciando una sottile griglia come traccia dello svuotamento. E li compone minuziosamente su di un altro foglio.
L’immagine fedele di un diamante è quindi il risultato di un processo di trasformazione che restituisce luce a una vecchia e sbiadita fotografia.
Ma la scommessa va oltre. Kensuke desidera ricavare luce da ciò che appare buio. Come il carbone, ad esempio.
Spostandovi verso destra, al centro di uno spazio minimale vedrete una piccola lampada a incandescenza che scende dal soffitto e illumina un diamante nero, grande tanto da poter essere racchiuso in un pugno ed esposto come una fiore sul suo esile stelo, svettante verso la luce.
Il sostegno è infatti un sottilissimo asse verticale in ferro battuto che si chiude ad anello. E nel vuoto di quell’anello va ad incastonarsi il diamante carbonizzato. Per realizzarlo Kensuke è partito da un blocco di legno di faggio compresso, di quelli adottati per produzioni industriali, nel cuore del quale ha intagliato la forma di un diamante, per poi estrarlo e abbandonare michelangiolescamente il superfluo. A questo punto ha carbonizzato la piccola scultura lignea, proponendo così una riflessione sulla medesima origine di due minerali apparentemente antitetici. Il diamante è una forma allotropica del carbonio, ma le altre sue manifestazioni sono la grafite e il carbone, che pur avendo la stessa composizione chimica presentano caratteristiche decisamente diverse. Brillantezza e nerezza hanno quindi una sola scaturigine.
È questo l’aspetto straordinario della realtà. La carbonizzazione ferisce il diamante. Una fenditura attraversa quasi centralmente la superficie dell’oggetto. Come un sentiero. Il solco tracciato dall’insistenza di un desiderio.
Una parete dello spazio in cui è esposto il buio diamante presenta cinque lavori incorniciati, risultanti da un altro articolato esperimento di Kensuke, utilizzando grafite e carbone. Questi cinque lavori riproducono, infatti, l’effetto dei giochi di luce e di variazioni tonali che si creano sulla superficie di un diamante. Per farlo Kensuke ha utilizzato cinque diverse matrici, griglie che andavano a ricostruire la forma geometrica delle varie sfaccettature di un diamante. L’artista ha campito le zone della carta suddivise dalla griglia con cinque differenti materiali (polvere di grafite, ombretto per occhi a base di carbone, pastello ad olio, carboncino naturale, carboncino compresso), utilizzandoli con diversa pressione e ricavandone sfumature di varie gradazioni. Accostando zone di opacità (campiture con pastello ad olio) a zone di lucentezza (campiture con grafite) ha ottenuto 120 variazioni su tema e tra queste ha selezionato le cinque opere in mostra.
Inoltrandoci nel breve corridoio che converte lo spazio espositivo in abitazione vedrete infine una scultura geometrica multiriflettente. Nell’angolo in penombra tre specchi di forma triangolare disposti sui tre assi assonometrici creano un luogo in cui il gioco dei riflessi moltiplica il percepibile. Appoggiate alle tre superfici riflettenti tre lastre di vetro triangolari di dimensione inferiore e disposte secondo diverse inclinazioni si accompagnano a una grande lastra vitrea che chiude il tutto, trasformando questo prisma a base triangolare in un accecante caleidoscopio rapinatore di luci.
Leonardo diceva: “Non si debba desiderare lo impossibile”. Kensuke invece desidera sfidare questo assunto per realizzare qualcosa che per ora appare non fattibile: superare la lucentezza del diamante.
In fondo, come direbbe Spinoza, il desiderio è l’essenza dell’uomo, il conatus vitale. Se non desideri non vivi, se non aneli non vibri.
I wish, io vorrei.
Dice Kensuke Koike:
Vorrei semplicemente trovare il modo per superare, con l’arte, la luce e la brillantezza del diamante…Imitarla non ha senso, un artista deve fare di più, deve andare oltre. Vorrei riuscire a realizzare qualcosa che sia più luminoso di un diamante, questo è il mio desiderio
Kensuke Koike | Wish
a cura di Alfredo Sigolo
Ciocca Arte Contemporanea
via Lecco 15, Milano
www.rossanaciocca.it
gallery@rossanaciocca.it
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