Dove io debbo dipingere scrivo uno quadrangolo di retti angoli quanto grande io voglio, el quale reputo essere una finestra aperta per donde io miri quello che quivi sarà dipinto (Leon Battista Alberti, De Pictura, Libro Secondo)
Heri dicebamus…
L’ultima volta avevamo visto un paio di declinazioni del rapporto natura/cultura nelle opere in mostra a Milan(geles) di due illustrissimi dipintori.
E senza neanche farlo apposta anche stavolta siamo alle prese con la vexata quaestio, in questo caso con la doppia personale di Keith Tyson e Hugo Wilson da ProjectB a Milano intitolata, guarda caso, De Pictura, in onore dell’omonimo e celeberrimo trattato di Leon Battista Alberti
Adunque priego gli studiosi pittori non si vergognino d’udirci. Mai fu sozzo imparare da chi si sia cosa quale giovi sapere
scriveva il Maestro.
E il riferimento illustre non è casuale, dal momento che De Pictura (non il libro, la mostra) rappresenta:
1) una de-costruzione, à la Jacques Derrida ma in salsa inglese, della summenzionata disciplina pittorica, al pari dell’operazione condotta dall’Alberti
Dico in principio dobbiamo sapere il punto essere segno quale non si possa dividere in parte […] E i punti, se in ordine costati l’uno all’altro s’agiungono, crescono una linea […] Delle linee alcuna si chiama dritta, alcuna flessa. La linea ritta sarà da uno punto ad un altro dritto tratto in lungo segno. La flessa linea sarà da uno punto ad un altro non dritto, ma come uno arco fatto segno. Più linee, quasi come nella tela più fili accostati, fanno superficie […]
e così via, ab libitum fino al Terzo Libro del trattato.
2) e una riflessione sulle modalità in cui il rapporto natura/cultura incide sulla struttura identitaria – nella fattispecie quella umana, (fin) troppo umana.
Sul primo punto torneremo alla fine e chiuderemo così il cerchio, come nella dialettica hegeliana.
Per quanto invece riguarda il secondo punto, quello della struttura identitaria umana, dobbiamo dire che sia nel caso di Keith Tyson che in quello di Hugo Wilson abbiamo a che fare con due diverse sistemazioni del modo in cui l’arte genera il significato.
Iniziamo col più venerando dei due, Keith Tyson (classe 1969).
Le opere inedite in mostra sono tutte nate dal caso (e dalla necessità, dovremmo aggiungere strizzando l’occhietto a Jacques Monod).
Esse infatti sono il risultato di un processo chimico che consiste nell’azione esercitata dagli acidi sugli originari dipinti a olio, che il pittore inglese lascia de-costruire mentre le sostanze corrosive agiscono liberamente sul film pittorico:
Dispongo i colori, ma tutto si muove in maniera così drastica, coerentemente alle leggi della fisica, che ho un controllo limitato sul risultato da cui emerge invece questa idea di una bellezza imprevedibile nata da un processo semplice. Se come spesso è il caso, i risultati sono reminiscenze di forme della natura come le nuvole, le cellule, i fiumi. Questo accade solo perché le stesse leggi che regolano la natura creano i dipinti
Da notare, di passaggio, che la casualità è addirittura duplice, dal momento che, veramente, l’occasione rende l’uomo ladro: infatti tutto nacque da un furto nello studio di Keith Tyson, quando l’azione nefanda dei…briganti comportò l’accidentale rovesciamento di sostanze acide su alcune delle opere presenti nello studio dell’artista.
Nella fattispecie, poi, i quadri in mostra da ProjectB, chiamati Unnatural Portraits, sono ispirati a immagini di vecchi album scolastici, i cui soggetti ritratti erano neolaureati sul punto di entrare nel mondo là fuori, nella prospettiva di assumere un ruolo sociale definito in un contesto da definire.
Il risultato è una serie di soggetti in via di ri-apparizione:
Voglio che lo spettatore si trovi di fronte ad un ritratto come congelato in uno stato particolare. Tutti i ritratti rappresentano un momento passato, ma questi dipinti sono come interrotti da sovrapposizioni di altri processi. Gli Unnatural Portraits congelano il processo rendendo esplicita la dinamica dei flussi che è la vera intima natura dell’essere umano
Un’eterna ghirlanda di io e molti sé egualmente esplicitata nelle opere di Hugo Wilson, classe 1982, il quale invece governa le sue pitture come il nocchiero la propria nave.
Se là abbiamo un collasso della forma, che si liquefa con slancio discensionale, qui ci troviamo di fronte a un suo rinvigorimento dovuto alla nettezza delle campiture.
Ma anche in questo caso vediamo un’opera di de-costruzione, che esplora il concetto stesso di appartenenza identitaria dal punto di vista dell’ontogenesi.
Il risultato è la raffigurazione di animali non umani che conservano tuttavia reminiscenze umane, scandali biologici al pari di certi organismi come l’Axolotl, che conserva a un tempo sia i connotati del maschio che quelli della femmina.
Praticamente la marxiana de-mistificazione delle sovrastrutture identitarie: biologiche, culturali, storiche, filosofiche.
E qui ritorniamo a bomba, come si suol dire, proprio da dove siamo partiti, cioè alle modalità attraverso le quali la cultura raffina la pietra grezza della natura per produrre significato.
Sia Hugo Wilson che Keith Tyson de-costruiscono l’ideologia, oggettivata specificatamente nell’ortopedia identitaria: ma mentre il primo lo fa governando attivamente il dipinto, l’altro lo fa lasciando che siano le leggi di natura a finirlo.
In entrambi i casi i ritratti sono in tutto e per tutto unnatural.
Keith Tyson & Hugo Wilson | De Pictura
ProjectB
via Maroncelli, 7 Milano
info@projectb.eu
www.projectb.eu
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