JONATHAN MONK. SENZA TITOLO. LISSON GALLERY

0 Posted by - May 26, 2013 - Recensioni

Il dialogo con l’arte classica è vitale e rigenerante  per l’arte di tutti i tempi, ma per gli artisti del  presente è un presupposto formale che riserva exploit anche dissacranti, elaborati  per superare  revisioni vacue o peggio nostalgiche e citazioniste. La dialettica con il passato si basa  sul  processo di rielaborazione soggettiva di valori universali. Jonathan Monk (1969 Leicester, Inghilterra),  prima personale Senza Titolo, allestita dall’artista stesso alla Lisson Gallery di Milano, tempio  dell’arte concettuale internazionale: andateci, e vedrete vincere  il confronto con la statuaria greco-romana in omaggio alla cultura italiana, a colpi di ironia con  una soluzione site specific pop minimalista davvero sorprendente. Jonathan Monk per questa  mostra milanese ha fuso e  modellato cinque forme della propria testa in  jesmonite, un materiale levigato simile al marmo, ognuno dei quali è leggermente più grande della dimensione naturale, con capelli che sembrano impomatati di gel e uno sguardo autorevole.

Le teste s’ispirano alla statuaria classica romana, esposta nelle gipsoteche e musei e non potevano non essere issate su basamenti, parallelepipedi di formato più alto della media, come omaggio al Minimalismo americano. Entrate nella sala bianca come il latte al piano terra della Lisson e vi sentirete osservati da imperiosi sguardi di un artista che sembra spiarvi dall’altro verso il  basso, come a dire: contemplatemi pure,  sono qui per essere  celebrato per il mio ego creativo. Attenzione, non prendetelo sul serio, perché  Monk…ci prende per il naso. Basta  osservare bene questi ritratti  e vedrete che tale atteggiamento dada è  evidente dal naso sfigurato di quattro  teste, da colpi di martello sferrati su invito dell’artista da parte di Jannis Kounellis, Pier Paolo Calzolari, Emilio Prini e Gilbrto Zorio, esponenti  del movimento di Arte  Povera  e attuali  star del sistema dell’arte. La testa con il naso rotto da Zorio si distingue per un piccolo grumo di argilla gialla, che rompe il candore unitario della scultura, introducendo  un elemento “alchemico”, vivo.

Certo tutti gli artisti rubano o rielaborano  idee e opere di altri che li hanno preceduti, ma in questo caso il passato si rivitalizza nel gesto, nell’azione dissacrante di autori  già noti che, intervenuti  sulla scultura – metafora  dell’artista ingessato nel suo egocentrismo,  invitano a riflettere sul loro ruolo e sulla serialità delle opere. Tale  concetto è  risolto  rispettando una  tensione  formale  assolutamente classica , sollevando dubbi  sull’autorialità dell’artista, anche per il fatto che le  opere non hanno un titolo.

Sbirciate nel giardino interno della galleria,  un’isola  di verde d’incantevole bellezza, dove  compare  una grande  scultura in bronzo realizzata  da Monk, dal titolo Covered Motonike (2013), una misteriosa moto simbolo della modernità e della  velocità completamente ricoperta da una tela cerata, qui monumentalizzata e glorificata come icona dell’epoca industriale e trasformata in scultura omaggio a Henry Moore e altri scultori del Novecento. Fate una riflessione semiseria  sulla permanenza del classico  nell’arte contemporanea anche guardando The Void (2013), una lastra di marmo d’impatto cimiteriale venata di grigio, collocato all’entrata della galleria,  all’altezza di un termosifone che rappresenta la parte posteriore del furgoncino a ruote Ape Piaggio,  un veicolo vintage  che qua e là compare  per le strade o parcheggiato nei vicoli popolari di Milano.

Dicono che un giorno Monk, mentre si trovava alla Lisson, abbia origliato i discorsi di due tecnici mentre discutevano tra loro sulla possibilità di sistemare The Void sul retro di un furgoncino . All’artista è venuto in mente l’Ape, un oggetto piccolo e grande allo stesso tempo, che insieme alla mitica Lambretta, è diventato un classico della creatività industriale del design italiano: sembra paradossale, ma anche questo è un altro modo per rendere omaggio all’Italia con stile.

Grazie Jonathan Monk!

 
Lisson  Gallery
via  Zenale 3, Milano
www.lissongallery.com
milan@lissongallery.com

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