“Una, nessuna e centomila” Wunderkammer, stanze della meraviglia che rappresentano il tema dell’arte, artificiale e sorprendente per natura, in un’unica e intelligente mostra distribuita in due diverse sedi espositive, al Museo Poldi Pezzoli e presso le Gallerie d’Italia, in collaborazione con la Fondazione Antonio Mazzotta, nel centro storico di Milano. Le curatrici di questo meraviglioso grand tour, Lavinia Galli, conservatore del Poldi Pezzoli e Martina Mazzotta, curatore della Fondazione Antonio Mazzotta, hanno condiviso un approccio d’indagine multidisciplinare, entrando nel vivo del fenomeno culturale della Wunderkammer, che si è ripresentato periodicamente nella storia del collezionismo e nell’arte contemporanea. La mostra Wunderkammer. Arte, Natura, Meraviglia ieri e oggi è pensata come un set cinematografico, un ambiente decontestualizzato in cui lo spettatore è invitato a percorrere un viaggio in un mondo, in cui si annullano le barriere tra arte antica e contemporanea. Martina Mazzotta in questa intervista racconta come e perché questo gusto sia una componente essenziale dell’arte dal Rinascimento ad oggi.
Lei ha finalmente coronato il sogno di suo padre Gabriele Mazzotta, editore e agitatore culturale che ha segnato un’intera generazione: ovvero affrontare con un approccio scientifico e chiarire la complessità e attualità della Wunderkammer, fenomeno culturale che ha travolto l’Europa e che è stato declinato anche nell’ultima Biennale a Venezia, ma dove si è originato questo gusto per la meraviglia ?
Sì, ho rinnovato e proseguito le ricerche che lui e Adalgisa Lugli avevano compiuto nei primi anni Ottanta, togliendo un velo oscuro calato sull’argomento che, a parte le parentesi di Murray e Schlosser, ai primi del Novecento, era rimasto al di fuori della storia dell’arte, del collezionismo, delle scienze naturalistiche e della filosofia. Il libro Naturalia et Mirabilia. Il collezionismo enciclopedico nelle Wunderkammern d’Europa, pubblicato da Mazzotta nel 1983, rilancia così il fenomeno sul piano internazionale. Mio padre è sempre stato affetto dal morbo del collezionismo ed è bricoleur per natura. Possiede vari naturalia e artificialia. Solo lui e Umberto Eco, tra gli anni Setanta e gli Ottanta, hanno poi acquistato i preziosi volumi-cataloghi delle collezioni enciclopediche di Ferdinando Cospi, Ulisse Aldrovandi, Athanasius Kircher. La mostra Visioni del fantastico e del Meraviglioso – Prima dei Surrealisti, che aveva celebrato i dieci anni di apertura dello spazio espositivo della Fondazione (ora non c’è più, ma questa è un’altra storia), anticipa questa mostra al Poldi e a GdA (nel catalogo, allora, avevo scritto un testo storico-filosofico sulle Wunderkammern). In seguito, ho curato con Claudio Parmiggiani la nuova edizione di Naturalia et Mirabilia. Sono filosofa di formazione e dopo la laurea in Italia e Germania ho studiato storia dell’arte alla Scuola di Specializzazione della Cattolica, dove ho insegnato fino a due anni fa. Alla fine del percorso di studi, trovandomi in difficoltà di fronte alla sfida di compilare una tesi di storia dell’arte contemporanea, mi sono chiesta che cosa mi interessasse veramente nel “sistema” dell’arte contemporanea, e la risposta immediata è stata indagare “la presenza della natura (intesa come animali, vegetali, minerali) nell’arte contemporanea” (erano poi gli anni in cui le tassidermie di Hirst e Cattelan s’imponevano prepotentemente in termini di mercato e pubblico). La declinazione veneziana prende il termine molto “alla larga”, si tratta piuttosto di una accezione “enciclopedica” e generale della questione, della quale ho avuto modo di discutere con Massimiliano Gioni in un incontro dedicato. Testimonia in ogni caso la modernità e la potenza evocativa dell’universo “Wunderkammer”.
Perché la Wunderkammer ha diffuso un gusto collezionistico delle cose bizzarre, di reperti naturalistici e artificiali, esotici e altre “mirabilia”, ma in questo caso possiamo parlare di una anticipazione del museo di matrice illuminista?
L’attenzione verso i reperti naturali e verso l’intervento dell’artificio, da parte dell’artista-Prometeo, del collezionista-Demiurgo, riflette l’anelito tutto rinascimentale di possedere entro un contenitore l’”Anima Mundi”. L’approccio richiede una visione intuitiva che deve rendere conto del repertorio il più possibile esaustivo di tutto lo scibile. Le prime collezioni enciclopediche di naturalisti italiani come l’Aldrovandi e il Cospi, organizzate in stanze in cui i reperti occupano pareti e soffitto, in maniera circolare, erano visitabili per appuntamento e erano meta di personaggi illustri provenienti da tutta Europa (anche da parte della Royal Society di Londra). In questo senso, le WK possono essere poste alle origini del museo moderno. Il frontespizio del Cospi, presente in mostra, sul quale Emilio Isgrò è intervenuto con le sue cancellature, mostra un nano (bizzarria della natura di per sé) che illustra i pezzi come a dire: “Madamina (o Signori), il catalogo è questo!”. Le incisioni nei frontespizi dei cataloghi sono infatti le uniche immagini rimaste delle Wunderkammern di questo tipo. La volontà di comunicare e diffondere il sapere si ritrova per esempio nell’Aldrovandi, che nel ‘500 realizzava matrici incise di ogni oggetto della sua collezione e poi le pubblicava nei suoi cataloghi. L’illuminismo, l’avvento di una scienza e di una metodologia di tipo “moderno”, considera queste raccolte come parti degeneri di folli, come bizzarrie prescientifiche utopiche e ludiche. Da qui la dispersione e la “svendita” delle WK, che anche la mostra illustra.
Come è suddivisa la mostra e perché?
Non è vero che l’arte antica è da una parte e l’arte contemporanea è dall’altra. Questo implicherebbe un criterio cronologico che verrebbe a contraddire il significato stesso delle WK. La mostra alterna antico e contemporaneo in un gioco di analogie, rimandi e corrispondenze che il visitatore può cogliere in maniera intuitiva e per associazioni visive. Così, alle sezioni dedicate ai tre collezionisti, segue una presentazione di opere e oggetti suddivisi come naturalia, artificialia, exotica e scientifica, così come era d’uso nelle Wunderkammern storiche. Il Sette e Ottocento, affrontando la dispersione e la dissoluzione delle WK, dimostrano anche come il fenomeno si sia riproposto, certo in termini molto diversi, attraverso collezionisti poliedrici come Gian Giacomo Poldi Pezzoli. E poi si prosegue con la “meraviglia programmata” del XX secolo, con i surrealisti, l’arte povera, la land art e art in nature, nonché con molti protagonisti degli ultimi 40 anni che hanno intrecciato arte, natura e meraviglia in maniera attuale. La mostra fa riferimento all’intreccio tra arte e natura in singoli oggetti, così come in raccolte e collezioni. Da qui l’ultima parte, dedicata a stipi, scatole, armadi nella contemporaneità, dalla Boite di Duchamp alle nuove tecnologie: Wunderkammern d’artista. L’arte antica prevale nella sede del Poldi (museo del quale viene così rispettata la natura), quella contemporanea alle Gallerie d’Italia, per le stesse ragioni. Ma è una mostra unica che le alterna continuamente (in pochi hanno notato il bellissimo Joseph Cornell al Poldi, per es.).
Quando nasce l’idea della mostra e di chi è stata l’idea di suddividerla in due sedi e di affidare le sezioni a due diversi curatori?
Nasce dal fatto che Annalisa Zanni fosse nella commissione di discussione della mia tesi e che ne avesse intuito le potenzialità, anche in relazione alla storia e all’identità del suo museo. La mia tesi diventerà presto un libro, di cui questa mostra è solo un aspetto.
Lei ha curato la sezione dedicata al Novecento: con quale criterio ha selezionato gli artisti in mostra alla Gallerie d’ Italia?
In realtà ho curato insieme con Lavinia Galli del Poldi anche l’impostazione e molte scelte della parte antica che studio da anni (sennò non sarebbe stato possibile compiere l’azzardo di farla dialogare con l’oggi), poi lei e Annalisa Zanni si sono occupate, da esperte, degli oggetti più preziosi. Anche sul fronte dell’arte contemporanea, viceversa, ci sono stati interventi e suggerimenti da parte loro. Chiaramente, gran parte del lavoro e delle relazioni coi prestatori è stato suddiviso in due, ma l’approccio è stato anche “circolare”, come il tema richiede.
Dove si ritrova lo spirito della Wunderkammer nell’arte del presente, compresa quella interattiva e multimediale?
Nella presenza della natura (minerali, vegetali, animali) e nell’anelito al possesso, nella rappresentazione il più possibile esaustiva di un mondo (che sia quello personale dell’artista, oppure quello di un patrimonio collettivo), ma la grande modernità delle WK sta nell’aver offerto un approccio intuitivo e per associazioni visive che richiama la dimensione pre-linguistica della matematica, delle scienze (neurobiologia per es.), del mondo multimediale. Così, le WK di oggi sono anamorfosi concettuali che ci permettono di diventare ri-creativi (associando opere attraverso l’occhio) e di riscoprire la meraviglia per la natura, e per l’uomo che ne è parte, proprio attraverso l’arte (molta arte contemporanea viene così “curata” dai morbi che l’affliggono e, legandosi ad altre discipline, resa più godibile e accessibile).
L’universo della Wunderkammer è vastissimo, sconfina anche nel kitsch , ma c’è un inizio e una fine di questo modo di guardare il mondo?
Ho fatto riferimento al Kitsch di Dorfles nel mio saggio in catalogo, indicando un termine divenuto oramai d’uso comune e “di moda”. Lo stesso sta avvenendo con la parola Wunderkammer che è però molto più chimerica e complessa. Ho così parlato di Wunderkitsch e Kisch-Wunder, pensando a tanto design e arte contemporanea che potrebbero rientrare appieno in questa neo-categoria piuttosto evidente.
E’ la prima volta che il Museo Poldi Pezzoli e le Gallerie d’Italia condividono un progetto culturale orientato alla valorizzazione del patrimonio museale di entrambe le sedi, con l’obiettivo di centralizzazione la cultura intorno al Teatro della Scala, ai confini di quella che diventerà la Grande Brera: quali sono state le difficoltà di realizzazione della mostra?
Siamo approdati a questa soluzione dopo estenuanti trattative con altre istituzioni milanesi che sono durate per anni. Molte le delusioni e le porte sbattute in faccia. Alla luce di poi, si è rivelata la scelta più sensata e forse utile, per la città di Milano.
Secondo il suo gusto personale quali opere e oggetti in mostra sono le più “mirabili” e rappresentano l’essenza della meraviglia?
Sono ancora immersa nel vortice della mostra, non riesco a scegliere. Ma quelle di Claudio Costa me le porterei via tutte.
L’iguana , la conchiglia, l’uovo, il coccodrillo, il teschio, le maschere esotiche, le farfalle variopinte perché sono tra i soggetti più ricorrenti nelle opere raccolte nelle Wunderkammer di Gallerie d’Italia?
Perché richiamano i Leitmotive, gli elementi imprescindibili nelle Wunderkammern storiche.
Se potesse cambiare qualcosa, quali altre opere aggiungerebbe nella sezione dedicata al ‘900 da lei curata?
Moltissime opere! Le teche di Hirst, in particolare “The collector”, che mette insieme meraviglia, natura e collezionismo, e al contempo è una piccola “boite en valise” hirstiana, e poi Ron Mueck, i frateli Chapman, tutto il filone post-human, tutta l’arte degli “outsiders” (a Losanna al museo dell’Art Brut c’è moltissimo che potrebbe rientrare nel tema), il Merzbau di Schwitters….ma qui verrebbero fuori almeno tre mostre con tre declinazioni diverse (e budget inimmaginabili, oggi).
Perché l’allestimento della mostra è concepito come uno scrigno rosso cardinalizio: un ambiente decontestualizzato seppure in relazione con lo spazio circostante, sia nel Museo Poldi Pezzoli, sia nelle Gallerie d’Italia?
L’idea di concepire l’allestimento come una “pelle” che avvolga un organismo autonomo e pulsante di vita (la mostra) calza a pennello con la natura intrinseca del progetto. Si tratta infatti di un’esperienza all’interno di un mondo a sé, un mondo che lega arte, natura e meraviglia presentando molteplici immagini, oggetti e informazioni, tra loro collegati da rimandi di significati e simboli. Un “mondo in una stanza” (o in un allestimento) che il fruitore deve esperire in maniera ri-creativa. Pelle=allestimento=identità di un organismo pulsante di vita che è la mostra stessa. La pelle, tiene insieme gli organi e tutto quanto concorre a completare un corpo. La pelle, rappresenta l’identità, il “passaporto” di un individuo: attraverso di essa si comunicano razza, età, orientamento culturale (o sottculturale :-)), tribù, status sociale…..
Il colore rosso comunica immediatamente qualcosa di prezioso, dal velluto rosso principesco (ricordate che, oltre agli scienziati naturalisti, i principi italiani, tedeschi e boemi sono stati i più grandi collezionisti nei termini delle Wunderkammern), fino al corallo, sorta di Leitmotiv nel nostro contesto (i coralli, oggetti apotropaici per eccellenza, hanno sempre affascinato per la loro natura ibrida: animali, vegetali o minerali). Il rosso attira e avvolge più d’ogni altro colore. E ci fa gioco per il periodo natalizio.
Quali sono gli artisti che hanno realizzato opere site-specific in occasione della mostra e dove sono esposte?
Josè Molina e Chiara Lecca al Poldi, Peruz, Sighicelli, Cuneaz, Carlini, Silvermark a Gallerie d’Italia.
Perché ha esposto molte opere di Claudio Costa?
Perché è un grande genio del Novecento poco valorizzato. E’, come ho scritto, un “Wunderkuenstler” per eccellenza. Un artista-sciamano che aveva ben compreso la svolta copernicana che ha condotto all’ipertecnicizzazione della società, all’egemonia dell’immagine. Tutta l’opera di Costa è un tentativo di recuperare l’identità dell’uomo contemporaneo puntando sui processi visivi associativi. E poi alcune opere in mostra sono pressoché inedite e la loro bellezza ed eleganza (penso ai due teschi, Il re e la regina, che accompagnano il teschio con corallo di Calci) parlano anche da sé.
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