Andrea Balzola, drammaturgo, sceneggiatore, regista multimediale, direttore della Scuola di Nuove Tecnologie dell’Arte dell’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, fondata da Paolo Rosa, ci racconta perché non è tempo perso investire nelle tecnologie interattive che mappano mondi paralleli e creano nuove professioni.
Direttore, quando e perché è nata la Scuola di Nuove Tecnologie dell’Arte, dipartimento multimediale dell’Accademia meglio noto come Brera 2?
Nasce alla fine degli anni Novanta, su iniziativa del Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Brera Fernando De Filippi, che aveva chiamato Paolo Rosa a progettare ed avviare un nuovo corso sperimentale di Arte e Media nell’ambito di Brera, poi questo corso nel 2005 è stato istituzionalizzato ed è diventato l’attuale Scuola di Nuove Tecnologie dell’Arte (alla pari delle tradizionali Scuole di Pittura, Decorazione, Scenografia e Scultura). Paolo Rosa, in collaborazione con alcuni docenti come Brunone, Mazzucchelli, Notte e altri aveva avviato un nucleo originario di docenti di ruolo orientati allo studio e alla pratica delle arti tecnologiche e poi, progressivamente aveva coinvolto molti artisti e studiosi di fama che hanno iniziato a insegnare con dei contratti, poi rinnovati di anno in anno. Le Accademie di Belle Arti italiane negli anni Novanta erano diventate anacronistiche, non tenevano in alcun conto che il mondo dell’arte, ma anche quello reale, stava cambiando radicalmente con la rivoluzione elettronica e digitale. La riforma delle accademie e dei conservatori del 2000, purtroppo applicata a costo zero quindi penalizzando le retribuzione dei docenti di ruolo e bloccando le assunzioni dei precari, ha dato finalmente uno statuto e un titolo universitario alla formazione artistica e ha aperto un’istituzione ancora legata a modelli ottocenteschi all’evoluzione dei linguaggi artistici e mediali. I fatti e i dati hanno dato ragione a questa scelta, dalle poche decine di allievi dei primi anni duemila si è passati ai circa cinquecento studenti attuali nella sola Scuola di Nuove Tecnologie dell’Arte, con un triennio e 3 indirizzi di biennio (cinema e video; arti interattive e performative; net art). Il coordinatore del corso di primo livello è il fotografo Roberto Rosso, i coordinatori dei corsi di secondo livello sono l’artista Mauro Folci e lo studioso di arti digitali della Rete Domenico Quaranta
Qual è l’eredità lasciata da Paolo Rosa, suo amico, ex preside della Scuola di Nuove Tecnologie per l’Arte scomparso recentemente , nonché compagno di “avventure” artistiche e di lotte per mantenere e migliorare le proposte didattiche-educative di questo dipartimento?
Paolo Rosa, fondatore e figura guida del celebre gruppo di artisti di Studio Azzurro, aveva una capacità straordinaria di intuizione non solo dal punto di vista artistico, ma anche relazionale e umano, sapeva capire quali erano le persone giuste e il momento giusto per operare delle scelte di interesse collettivo. Noi ci siamo conosciuti alla fine degli anni Ottanta e si è sviluppata subito una reciproca stima e amicizia, che si è consolidata nel tempo e che ci ha portato a molte collaborazioni, artistiche, teoriche e didattiche. Nel 1999 io avevo creato e diretto (fino al 2003) il corso sperimentale di Arti multimediali nell’Accademia di Carrara (avevamo anche conferito a Paolo il titolo di docente onorario), e lui mi aveva chiesto di raggiungerlo a Milano per aiutarlo a consolidare e sviluppare la Scuola nascente di Brera. Da quel momento abbiamo sempre lavorato fianco a fianco e insieme ad altri docenti (tra cui Cuoghi che arrivava dall’accademia di Macerata, Paolin da Venezia e Folci da Roma), per migliorare l’offerta formativa e le condizioni di lavoro. Purtroppo incontrando scarsa sensibilità, diffidenze e anche ostracismo all’interno dell’istituzione stessa, e ancora oggi attendiamo una sede adeguata definitiva e la possibilità di assumere docenti precari che insegnano da noi da oltre un decennio. L’innovazione spaventa sempre chi vuole restare arroccato al passato e alla mummificazione dei linguaggi, ma i giovani hanno capito in che direzione si muove la ricerca e il futuro, quindi rispondono positivamente alle nostre proposte formative, e nell’arco di circa quindici anni sono usciti dalla nostra Scuola molti talenti e molti hanno anche trovato in tempi piuttosto rapidi una collocazione professionale.
Che tipo di formazione offre questa Accademia e quali sbocchi di lavoro crea per un giovane che investe sulle proprie capacità e nel futuro?
Si tratta di una formazione che integra le nuove teorie estetiche, la storia dell’arte contemporanea, con la pratica creativa, dalle metodologie della progettazione e della sceneggiatura fino alla conoscenza dei software per l’animazione e la modellazione 3D, il montaggio video, la postproduzione, l’interattività, alle riprese video e fotografiche, ai progetti performativi. In sostanza, tutti quegli ambiti in cui si può realizzare una relazione creativa fra arte e nuove tecnologie digitali. La qualità dell’offerta formativa dipende anche dal fatto che la maggioranza dei docenti sono dei professionisti che portano la loro esperienza nell’insegnamento. Gli sbocchi professionali, a differenza di altri corsi dell’accademia, sono molto concreti e vasti, perché, oltre alla sempre difficile collocazione in un’area prettamente artistica, ci sono valide possibilità nei differenti campi della progettazione di eventi multimediali, siti web, produzione video, comunicazione e didattica dei nuovi linguaggi.
Perché l’Accademia è diversa da una scuola d’indirizzo più tecnico?
Perché tutti i docenti lavorano concordemente sulle motivazioni personali, sulla sensibilità creativa e sulle esigenze espressive dei singoli allievi, non limitandosi a una formazione tecnica. La trasmissione di metodologie e conoscenze tecniche si integra con un approfondimento storico e teorico dei linguaggi artistici e delle sperimentazioni multimediali. Inoltre, si da molto spazio alla ricerca, e allo sviluppo di una consapevolezza critica dei media, in modo tale da sostenere dei percorsi originali e non stereotipati. Occorre che questo tipo di formazione sappia relazionarsi con il mercato del lavoro, senza diventare succube di modelli culturali standardizzati e stereotipati.
Frequentando questa Accademia si diventa artisti o progettisti multimediali?
“Artista” è una parola grossa e forse anche da rivedere e da rigenerare. Innanzitutto l’essere artisti è un’attitudine che non può essere indotta artificialmente dall’esterno, quello che un docente e una scuola possono fare è riconoscere quest’attitudine negli individui che ce l’hanno e favorire la sua piena emersione ed affinamento mediante la trasmissione di aperture mentali ed emotive, stimoli culturali, strumenti e metodi di lavoro. L’obbiettivo non può essere dunque quello di generare artisti, a questo ci pensa la natura e la storia personale, ma di sviluppare in tutti i soggetti che dimostrano autentiche motivazioni e determinazioni, la sensibilità creativa e la consapevolezza culturale di quanto l’arte possa cambiare il mondo e il modo d’essere. Si può imparare a diventare dei progettisti multimediali, seguendo appunto indicazioni metodologiche, sperimentando direttamente gli strumenti tecnici e i software, e facendo esperienze concrete nel processo creativo. Per questo, è anche molto importante acquisire la capacità di relazionarsi con gli altri e con le differenti competenze, perché nelle arti multimediali l’artista è plurale (vedi il libro che abbiamo scritto, Paolo Rosa ed io, “L’arte fuori di sé”, Feltrinelli 2011), cioè è sempre più una dimensione collettiva, dove interagiscono differenti competenze e capacità (videomaker, sound designer, light designer, fotografo, graphic designer, softwarista, coreografo, etc.) per realizzare opere aperte che a loro volta richiedono un’interazione partecipata del pubblico e non un loro consumo passivo.
Perché le nuove tecnologie creano rete e l’Accademia punta sulla vocazione relazionale nel mondo internettiano che abolisce distanze spazio- temporali, mettendo in contatto realtà distanti e mescolando tecniche e linguaggi?
La Rete ha prodotto una svolta epocale nella nostra società, moltiplicando all’infinito le possibilità di comunicare a livello universale e di accedere ai dati, spaziando appunto fra i diversi linguaggi. Questo aumenta le possibilità di relazioni personali, professionali e creative, ma bisogna stare attenti a non sostituire la relazione reale con la connessione virtuale, si tratta di due aspetti complementari ma se le nuove generazioni si rinchiudono in una dimensione puramente virtuale, si rischia una perdita del principio di realtà e una crisi di socializzazione. La formazione artistica che utilizza la Rete e altri media tende invece nella direzione opposta, unire le distanze e i linguaggi in progetti creativi interdisciplinari, nella valorizzazione della Rete come strumento di sensibilizzazione etica e di innovazione anche sociale.
Paolo Rosa, tra i fondatori di Studio Azzurro, che innovazioni ha introdotto nell’ambito dell’interattività?
Rosa, con Studio Azzurro, è stato un pioniere delle arti tecnologiche a partire dagli anni Ottanta, con le videoinstallazioni e l’introduzione del video sulla scena teatrale, e poi dagli anni Novanta con le opere interattive, che non solo hanno aperto un nuovo capitolo dell’arte ma hanno anche prodotto un cambiamento radicale della concezione del rapporto tra pubblico e opera d’arte. Anche tutto il lavoro fatto per la reinvenzione multimediale e interattiva dei percorsi espositivi museali e delle grandi mostre, rappresenta un’eredità che si sta diffondendo e che incide profondamente sulla trasformazione dei modelli comunicativi e percettivi. Le opere di Studio Azzurro hanno avuto una eco internazionale e un forte impatto, i cui frutti sono ancora da raccogliere e Paolo seminava proprio per le nuove generazioni, coinvolgendo sempre i giovani nelle sue attività e credendo fortemente nel valore della formazione. L’interattività che interessava a lui non era quella un po’ meccanica e prevedibile, quasi ludica, che si riscontra spesso nelle opere tecnologiche di arte relazionale, ma un’interattività dove l’intervento del pubblico creasse un evento creativo collettivo e dove il dispositivo fosse in grado di suscitare reazioni imprevedibili nello spettatore. Lui diceva di essere un autore che diventava spettatore dei suoi spettatori, che amava essere sorpreso dalla loro risposta, perché il pubblico reagiva al dispositivo in modo sempre diverso e creativo.
Lei consiglierebbe a suo figlio di iscriversi alla Scuola di Nuove Tecnologie dell’Arte:perché?
Ovviamente per entrare in qualsiasi Scuola dell’Accademia è necessario avere capacità creative e interesse per l’arte, la differenza della nostra Scuola è il fatto di essere molto legata a quanto sta accadendo oggi nella società. Viviamo in un mondo sempre più tecnologico ed è importante sapersi muovere con disinvoltura in esso. Da questo punto di vista, la Scuola di Nuove Tecnologie dell’Arte può offrire delle possibilità in più ai giovani.
Con Paolo Rosa, nel 2011, ha scritto “L’arte fuori di sé. Un manifesto per l’età post-tecnologica”: un libro cult diventato vademecum per i “nativi digitali” e per tutti gli addetti ai lavori e gli artisti che aspirano a liberare l’arte ingabbiata dal mercato dell’arte, ma cosa avete proposto?
E’ difficile sintetizzare in poche righe un libro molto denso, sul quale abbiamo lavorato per anni e che è il risultato dell’intreccio tra i percorsi artistici e teorici di Paolo e miei. Dell’”artista plurale”, dell’interattività, e dei nuovi modi di concepire la trasmissione della memoria storica (i musei multimediali di narrazione) ho già accennato, altri punti chiave sono sicuramente questi: l’arte deve uscire dall’angolo chiuso, riservato agli addetti ai lavori e lontano dalle esigenze collettive, in cui l’ha cacciata un mercato più modulato sulla speculazione finanziaria che non sulla passione per l’arte. I mass media hanno sostituito la funzione simbolica dell’arte nell’immaginario collettivo, e i risultati sono un grande impoverimento non solo del gusto estetico ma anche dello spirito critico e della creatività diffusa, insita nell’uomo ed evidente nei bambini (prima che una scuola ancora ottocentesca la inibisca). Oggi l’arte e l’artista hanno una responsabilità etica, di fronte alle grandi emergenze economiche, ecologiche e sociali, ed hanno la possibilità di interpretare il senso e orientare la prospettiva della tecnologia, evitando che questa diventi sia uno strumento di oppressione e controllo, sia un mero oggetto d’interesse economico.
Quali sono i progetti e gli obiettivi del nuovo anno accademico?
Oltre ad aggiornare e proseguire il nostro consueto impegno didattico, vorremmo senz’altro dedicare un seminario di studi a Paolo Rosa e alla sua opera (voglio però ricordare anche un altro intellettuale di grande rilievo che ha insegnato molti anni nella nostra Scuola e anche lui purtroppo prematuramente scomparso quest’anno: Antonio Caronia), ed inoltre abbiamo alcuni progetti di integrazione della didattica, dedicati alla riflessione sull’idea contemporanea di Futuro e che vogliono mettersi in relazione dialettica con l’EXPO del 2015 a Milano, per sviluppare nuovi percorsi artistici e teorici che mirano a scambi internazionali e alla promozione di una “crescita dei diritti” più indispensabile di una “crescita economica” non più sostenibile.
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sono ormai laureanda e vorrei esprimere il mio parere positivo su questa facoltà, una delle più belle e interessanti di Brera, tre anni vissuti con il cuore e la mente, in un ambiente di persone simpatiche e molto “in là” con il pensiero, Nuove Tecnologie apre davvero la mente ed è un percorso di studi orientato verso il futuro, forma bene dal punto di vista artistico e culturale, sviluppa il senso critico, s’impara ad essere artisti con la mente prima ancora che con lo strumento in sè