Max mi disse che l’avrei letto in cinque minuti stando al cesso. Invece l’ho letto in due, forse tre giorni, comodamente sdraiato sul divano dello Spaziotempo.
Il libro di Max Papeschi è una godibilissima opera di divulgazione che spiega come funziona il mondo dell’arte.
Lo so, questa dichiarazione pare di una gravità inaudita, fa strabuzzare gli occhi, fa storcere la boccuccia a culo di gallina dei puristi in un’espressione di gelido sdegno, li irrita come prèsidi di scuola media in un moto di autorevole perplessità.
Per loro, il Max Papescu (lo chiamo sempre così quando lo incontro, non so perchè, suona bene, ecco) rimarrà sempre un outsider, uno che c’entra nulla con l’arte (anzi, l’Arte), un laureato d’immeritato successo, un sobillatore di provocazioni non richieste, un agit prop alla vucciria.
Rispetto al pittore ebbro d’ispirazione e chino sulla propria tela, le immagini photoshoppate di Papeschi rappresentano uno sberleffo alla tecnica (anzi, la Tecnica), allo Studio, all’Applicazione, all’Impegno, alla Serietà e alla Bravura.
Può essere. Ma allora anche Jeff Koons è uno stronzo. E con lui Gabriel Orozco, che alla Biennale veneziana del 1993 espose una scatola da scarpe vuota. In verità la lista degli artisti indegni ma di chiara fama sarebbe vertiginosa.
Con questo non sto pronosticaando a Max Papeschi un futuro radioso nell’Olimpo degli déi: essendo nella provincia italiana, probabilmente dovrà accontentarsi di un più che soddisfacente riconoscimento.
Intanto lui, la trovata geniale l’ha avuta per primo e si è dato -si dà- un gran daffare.
Per applicarsi degnamente al proprio lavoro non occorre ingiallire nello studio ingobbendosi come un Leopardi: ci si può applicare, seriamente, con gaia levità.
La Pop Art era tremendamente drammatica e il grandissimo Andy Warhol curava il proprio lavoro con la stessa determinazione di un imprenditore bergamasco.
Perchè, vedete, anche i quadrucci di un Luciano Ventrone te li puoi appendere in cucina (anzi, fai prima ad attaccarci un poster dell’Ikea).
Ma quelli di Papeschi sono incommensurabilmente meglio, perché dicono molto, molto di più, foss’anche un indicibile moto di stizza o un risolino da simpatica canaglia.
Chi vi sta prendendo per il culo veramente? Cosa è volgare per davvero? La pittura inutile e finta come una Barbie umana o l’aberrazione ironica del nostro (vero) immaginario collettivo?
Leggetevi il libro del Max Papeschi: è un consiglio del sottoscritto. Uno che, coi libri, ci ha vissuto e anche lavorato.
Ma, prima, leggetevi l’intercettazione telefonica del dialogo intercorso fra il Papeschi e il Nostro Pestifero Ivano Sossella
In entrambi i casi, buona lettura.
(Emanuele Beluffi)
Ivano Sossella usw:
Quale articolo per “svastica”: la o lo? Quale usi, tu?
Max Papeschi:
Io produco multipli, quindi uso il plurale.
Ivano Sossella usw:
Boh…Ma ok. Multiplo di cosa, Massimo?
Max Papeschi:
Multipli del mio immaginario.
Ivano Sossella usw:
Immagino. In altre parole, l’immaginario è tuo, i suoi multipli sono per tutti? Mi invii una foto di un multiplo?
Max Papeschi:
Nel momento in cui alcune porzioni del mio immaginario vengono stampate, esposte e/o pubblicate non sono più mie, non del tutto.
Ivano Sossella usw:
A fil di parola, fare multipli non ha niente di “originale”. Questo (ti) consola o muove il lavoro?
Max Papeschi:
Io ho cominciato con il video, dove il prodotto è totalmente incorporeo. Quindi non mi crea nessun problema, ho sempre pensato alle mie creazioni come a qualcosa di immateriale.
Ivano Sossella usw:
Premesso che qui si possa dire quel che si vuole, lascio passare a fatica che un video sia incorporeo. Son modi di dire che dicono davvero nulla, credo. Ma, a parte questo, è possibile vedere uno di questi lavori immateriali (se qualche atomo ancora v’è)?
Max Papeschi:
E’ sicuramente meno corporeo di una scultura o di un dipinto, soprattutto adesso che il supporto (vhs, dvd o quant’altro) è sparito del tutto. Io stesso ho perso parte dei miei primi lavori perché il supporto sul quale erano registrati si è smagnetizzato. Certo, anche una scultura di marmo può andare distrutta, però è più improbabile. Su youtube ho trovato recentemente uno dei miei primi lavori, il “The Pat Bateman Show”, l’ho girato nel 95 quando ero praticamente un ragazzino.
Se vuoi/volete puoi guardare quello:
Ivano Sossella usw:
questo sarebbe un video “immateriale”? Con rispetto, vorrei capirci qualcosa. Confesso che il video l’ho visto, ma non sino alla fine, vabbè. Io ho assistito ad un montaggio da ragazzino, come dici tu, e nient’altro. Come dire: faccio un video noioso travestito da qualcos’altro. Ma mi sbaglio spesso, ci mancherebbe. Di certo lo sai benissimo e forse meglio di me: non basta un contesto, un marchio e forse neppure una firma o un assegno, per dire di un video, una foto (come di altro neh) che trattasi di arte. Ma i multipli? Ne vediamo uno?
Max Papeschi:
Se non lo hai visto fino alla fine di cosa stiamo parlando? Io, a distanza di 20 anni dalla sua realizzazione lo trovo un lavoro sicuramente datato e parecchio immaturo, ma non noioso. Chiaro che è una questione di punti di vista, come il fatto che qualcosa si possa considerare arte o meno. Che poi alla fine dei conti non è neanche così importante.
Ivano Sossella usw:
Su noia, età giovanili, gusto datato, veder tutto o veder un po etc ti do mille volte ragione: è come dici tu, dipende dai punti di vista. Riguardo poi se qualcosa sia o no arte, beh, i punti di vista divengon meno di punti e si distanziano di nulla dal nulla. L’arte, mai è un punto di vista. Ma questo è un punto di vista
Max Papeschi:
Personalmente non so neanche se quello che faccio sia arte o meno e francamente mi interessa pochissimo. Tutti i miei lavori come ti dicevo all’inizio della conversazione sono dei multipli, scegline pure uno a caso, lo trovi con google immagini.
Ivano Sossella usw:
Questo è un multiplo? Allora il multiplo è un montaggio di uno in divisa con lo pseudo simbolo degli Ari, la maschera di Mikey e lo sfondo sky stile Windows. E’ questo? E poi, ma detto tra noi, perchè ovunque io mi giri c’è sempre qualcuno che mette Mikey nelle sue opere o quel che sono? Magari tu hai un’idea…
Max Papeschi:
Si, è un multiplo, come lo sono anche tutti gli altri miei lavori del resto e il fatto che anche tu, tra centinaia di immagini che ho creato in questi anni, abbia scelto proprio questa credo risponda alla tua seconda domanda.
Ivano Sossella usw:
ahahah la mia scelta vale una risposta? Ok, la prendo per buona, anche se a dire il vero è la prima che ho trovato: un caso. Ma va bene anche che il caso sia la risposta. Ma sopra e sotto le righe vuoi forse dire che tu sai cosa piace o attrae o interessa? Sai quel che sarà “scelto” e così vai lavorando?
Max Papeschi:
Il caso c’entra solo in parte. Ammettendo anche che tu l’abbia scelta a caso (cosa che dubito), è probabilmente dovuto al fatto che mettendo il mio nome in una ricerca immagini è una delle prime e più frequenti che saltano fuori. E questo appunto risponde alla tua domanda. So quali immagini piacciono tra quelle che ho già creato dopo un più o meno lungo lasso di tempo, non prima di averle create ed esposte.
Ivano Sossella usw:
A parte lo psicologismo, a mio vedere, un po’ salottiero del niente-è-a-caso e così via, che però accetto e va benissimo per carità, condivido (e chi no?) che prima di aver creato qualcosa sia una puntina difficile sapere se il lavoro (ci) piace. Vorrei chiederti, Max: che accade in quel lasso di tempo? O più al nocciolo significa che se piacciono agli altri dunque piacciono anche a te?
Max Papeschi:
Non credo ci sia nessuno psicologismo negli algoritmi di Google, però potrei sbagliarmi. Quello che decido di mostrare al pubblico è già una selezione molto accurata della mia produzione, sarò più o meno il 20/30% di quello che creo, quindi sono tutti lavori che mi piacciono. Tra tutti i lavori che piacciono a me poi qualcuno ottiene un certo successo tra il pubblico e qualcuno meno.
Ivano Sossella usw:..”scelgo” non a caso questa. anche perchè c’è Igor al quale voglio bene e che vedrò giovedì a venezia
Max Papeschi:
Salutami Igor, non lo vedo da qualche mese. Ecco, per esempio, quello è un pezzo che non è piaciuto a tutti, anzi.
Ivano Sossella usw:
Max ti abbraccio forte, ti saluto Igor, scelgo a caso-non-caso immagini e tutto quel che vuoi: scendo pure a prenderti le sigarette se fumi ma, per favore, una piccola prece: facciamo che ogni tanto rispondi alle domande?
Max Papeschi:
Ehehehehe…. A che domanda non ho risposto?
Ivano Sossella usw:
ahaha la suora del tuo collegio, il prete della tua chiesa, la zia severa non ti hanno detto che non si risponde ad una domanda con una domanda? Sai una cosa? Dico che hai risposto e vado avanti. Facciamo un gioco veloce. Fai una mostra, esponi del multipli (non quelli con topolino, altri nuovi), entra Sossella e dice: bah…che palle, che noia…(…ad absurdum caro amico mai e mai accadrà). Fai il caso che poi tutti, ma proprio tutti, dicono la stessa cosa. Che ne fai di quei lavori?
Max Papeschi:
Penso che a quel punto il problema non sarebbe cosa fare dei lavori ma cosa fare della mia vita. Sicuramente mi fermerei per un po’ di tempo.
Ivano Sossella usw:
Mi fai il romantico? Non credi le scelte più genuine di un artista dipendessero dall’approvazione altrui, la storia dell’arte sarebbe quasi un deserto?
Max Papeschi:
Nessun romanticismo, io arrivo dal mondo dello spettacolo, le cose le faccio per comunicare, se il messaggio non arriva o non è interessante la colpa è mia. No, non lo credo per niente, l’idea romantica dell’artista che viene scoperto postumo la trovo quantomeno anacronistica se non naïf.
Ivano Sossella usw:
A mio vedere son balle quando si parla di messaggio, anzi è una squisita bugia: necessaria e affascinante, se vuoi. Quale è il messaggio di una pala medioevale o di Raffaello o warhol? Arte, mica la gloria di Cristo o i miti d’oggi. Arte e nient altro. L’arte, del messaggio, se ne strafrega. Ma, sincerità per sincerità, è proprio questa esposizione di una bugia come lo è la promessa di un messaggio, che dà fascino e forza al tuo lavoro, a mio modesto vedere. Sei postumo anche tu, no?
Max Papeschi:
Come ti ho detto prima, io arrivo dal mondo dello spettacolo non da quello dell’arte, dove sono capitato per puro caso e non per una mia scelta. Da dove arrivo io, il messaggio conta almeno quanto la forma: se non hai un cazzo da dire non vale neanche la pena di iniziare un progetto. Anche perché al cinema o a teatro la gente non dà le spalle allo schermo con un calice di vino in mano parlando dei cazzi suoi, se si annoia esce dalla sala.
Ivano Sossella usw:
Ma ognuno arriva da qualche parte. Uno può arrivare dalla chirurgia, può usare le sue competenze, ma la chirurgia non è arte. Certo, può esserlo, ma quel può-esserlo fa differenza. O non la fa forse se dici così?
Max Papeschi:
Hai detto che l’arte del messaggio se ne strafrega, non so se sia vero, quello che mi sento di dirti è che anche a me fotte pochissimo di essere considerato artista o no.
Ivano Sossella usw:
Grazie Max per questa chiacchierata. Che, ahimè, è già postuma, ma efficace come il tuo lavoro.
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