Questa è un’intervista siderale, che parte con le t-shirt e arriva al dasein.
I due interlocutori, il decorato al valor militante Ivano Sossella e l’illustrerrima Eleonora Manca, in questo serratissimo e dialettico conversario toccan vette, del pensiero e dell’arte, che noi tapini possiamo solo indovinar da lungi, come spettatori interessati dell’arcinoto Carmelo contro tutti.
La Manca, nel senso dell’Eleonora in dialogo polemologico-ma-non-troppo col Sossella, è una nostra vecchia conoscenza e siccome di qui passan solo i migliori non dovete stupirvi che possa sfuggir dal sen un “ah rieccola”.
Credo invece che vi stupirete quando incapperete in alcune delucidazioni da teologia negativa (cosa Dio non è; cosa l’arte di Madonna Manca non è) in queste scorribande del pensiero, questi blitzkrieg metateorici sull’arte visuale, queste tempeste intellettive ai confini dell’universo provocate da uno, il nostro Sossella, che di(M)Arte s’intende, e da una, la Manca, che a 10mila piedi senza ossigeno ci dimostra come la sua arte non sia altro che il metatesto di un alfabeto visuale che c’invita alla cecità visiva.
Qua non ci si balocca col linguaggio, siamo odiatori dei filosofi d’Oltralpe del Novecento, i derridà e i gattarì e i delòz, che anche quando parlavano d’arte ci parlavan dei cazzacci loro: qua ci sforziamo di andare un po’ più in là dell’arte presente, ecco, perchè esser contemporanei è cosa semplice ma nascer postumi è da pochi.
(Anche) per questo fare arte è un mestiere difficile.
Emanuele Beluffi
Eleonora Manca, In My Secret Mirror, 2013, 15×20 cm cad
Ivano Sossella usw:
Ciao Eleonora, ho appena visto il tuo sito e mi son fermato alle prime immagini. Se le visualizzi appaiono due bottons. Permettono di realizzare una tshirt o una cartolina con l’immagine visualizzata. Ma che roba mai è questa? Va bene cosi?
Eleonora Manca:
sì, va bene così (ossia: mi hai dato un capriccio niente male). Sono sempre stata allergica all’idea che l’arte potesse essere solo “appesa“. La cartolina può avere molti usi; può essere un segnalibro, un modo per tappezzare il buco in un muro. Volendo si può utilizzare come sotto bicchiere, la fai plastificare et voilà. L’opera su t-shirt potrebbe anche dare le giuste misure per intendere l’arte. Bella l’idea che finisca in lavatrice. Se resiste a molti lavaggi è buona arte?
Ivano Sossella usw:
Niente resiste ai lavaggi in verità ma non importa ora. Dire poi che l’ arte può stare ovunque in qualsivoglia forma o contesto è la favola bella che ieri ci illuse e che, mi pare, oggi ti illuda. Una bugia anche se deliziosa. L’ arte crea confini e condizioni da cortina sovietica. Se uno incontra una tua immagine su una maglietta la tua unica tensione e che ci si dimentichi della maglietta. Che tutto rientri nei confini del tuo lavoro. Altrimenti -se si tratta di una maglietta carina, bella anche- il lavoro è fuori scena… è osceno… altro che arte ovunque…
Eleonora Manca:
Le bugie per essere tali devono essere sempre deliziose. Quanto all’osceno…al fuori scena…mi trovi pienamente d’accordo. Tuttavia ancora mi chiedo cosa significhi arte e pertanto non saprei se collocarla fuori o dentro ogni possibile lavatrice…
Ivano Sossella usw:
Eh… Attenzione invece: c’è il coprifuoco a parlar d’arte ed è rivolto, pensa te, sopratutto a chi arte fa. Domina il MinCul-POP…e non si può. Invii un tuo lavoro ?
Eleonora Manca:
L’occhio guarda; il Bene (ossia il peggiore) inizia il romanzo Nostra signora dei Turchi con: “Amami è tanto sai, è tanto se abbiamo salvato gli occhi”. Chissà perché, però, questa frase (che è pure lei una bugia deliziosa) mi porta, da molti anni, a pensare: “averceli gli occhi da salvare”. E quindi credo che anche l’arte parli sempre per bocca dell’ignaro. Da parte mia ogni mio lavoro si sottrae all’autografia coatta, come se si sottraesse alla scena, pur subendola. Atarassia necessaria. Se ho scelto di fare foto e video è per scompensarmi nell’infortunio del corpo. Potevo anche scegliere di grattarmi un ginocchio, ma è andata così. Per molti l’arte è, ad ogni modo, una fortuna allucinatoria che fa dire loro: “meno male”. Insomma: non sporca, non pone domande, tanto meno risposte e lascia tutto invariato. Magari, dunque, ci fosse il coprifuoco di cui parli!
Ivano Sossella usw:
Io lascio passare quel che hai scritto sopra così, agli occhi (appunto…) di chi lo leggerà. Per il resto ho capito davvero poco. Ma è colpa mia: atarassia e terapia, a sentirle o leggerle… arriva il buio. E poi mi parli di te, dopo aver citato Carmelo: non si fa.. (scherzo diciamo…). Parlo dunque e chiedo dei lavori: è la foto di un ectoplasma, parente delle foto che amano i ghostbusters e quelli che di notte rinunciano a far mattanze e vanno a caccia di fantasmi. Cosa è che non vedono i miei di occhi?
Eleonora Manca:
Non esistono fatti personali, se raccontanti. Divengono subito plurali. Tuttavia permane l’esigenza di raccontare quando torniamo indietro. Quando abbiamo parlato dell’altra vita si può passare all’altra. Fingendo anche di pregare. Solo che non si capisce mai per chi sia la preghiera. E quindi… dài con le recite (quelle, lì, sì. Le solite puttanate, insomma, dello “sgomitio” generale). Lo spiffero del soggetto. Tanto più vitale quanto più intollerabile. Spreco totale. Nemmeno-per-sogno.“Un pensiero è depensamento se informato dal corpo. Inavvertibile in chi gode ottima salute”. Tocca ri-scomodare il Bene, ma lo faccio con distrazione (cospargendo il capo di cenere, ma fallo anche tu, ché stai tirando fuori il Bene che è in me!). È, ad ogni modo, altra carne da quella disponibile. E quindi di cosa discettiamo? Di vuoto applicato alla vivisezione, alla scarnificazione di un corpo in cancrena – sempre e comunque, dacché organico – che di questa sua infezione informa (e deforma) il pensiero e la memoria. Che poi la prima lettura del lavoro di cui parli rimandi agli ectoplasmi è un possibile habitat (finisce che è apparsa la mia trisavola e tanti saluti). Posso dirti non da me voluto, poiché lì ci fu un “senza intervallo” che addossò la Manca alla Manca, balbettando. Ecco dunque svanita ogni volgarità d’azione da teatrino di “figura”. Cecità “visiva” è ciò che vorrei tu vi vedessi, ma faccio già fatica a raccapezzarmi con ciò che vedo io, figuriamoci se me la sento di “imboccare” la tua visione…
Ivano Sossella usw:
…anche l’ava?…spero ora non ti metterai ora a parlare di…vibrazioni…Per dare alfabeto alla tua risposta i tuoi lavori fotografici sono l’occasione per dare possibile visione allo sguardo non costretto dallo spazio dal tempo e dai modi al di la della foto stessa, nel mondo quotidiano per intenderci? In altre parole, fotografi quel che non si vede ma tu credi esista (trisavola compresa)? Invii un altra immagine?
And my Skin Itched_XII
Eleonora Manca:
“Che cos’è una vibrazione?” (cit;). Eh, lo so è un ginepraio. Ci son talmente tanti santi che uno poi alla fine non sa mai a che santo votarsi. Insomma: l’arte è un’arte come un’altra, più si cercano parole per spiegare altre parole più ci si autolesiona in questa specie di cottolengo. Forfait. Non tutta l’arte (e uso questo termine per semplificare) è immune da rappresentazione becera, tuttavia esiste dell’arte che è sensazione. E, volenti o meno, ogni sensazione investe sempre l’astante. Nel caso di questo tipo di arte spesso la sensazione coincide con la res che si lascia guardare. Ora: ciò che si pensa di poter controllare è proprio la sensazione, cercando di spiegare cosa accidenti vuol dire il proprio lavoro (nel mio caso) o il lavoro di altri artisti (nel caso di curatori, galleristi, eccetera), quando invece basterebbe semplicemente sostenere che l’unica alternativa è tra il “gradevole” e il “non gradevole”. Ogni ricezione è solo in questo e, di fatto, praticamente inespressa. A occhio e croce, comunque, né artista, né opera d’arte dovrebbero mai aver la pretesa di esser-ci (e di non esserci). Casomai di far-ci. Ma anche la soggettività non è mai nostra. E l’irrappresentabile-immagine-corpo è sfidata da pochi. Ché (quasi) tutti voglion sempre “vedersi”.
Anamorhposis_XXVI
Ivano Sossella usw:
Manca, ho buttato lì la frase sulle vibrazioni tanto per suggerire dove siamo ma ora mi metti qui un esser-ci e un far-ci…e si crolla. Il dasein e Martin il baffetto farcito di Carmelo al Costanzo show ci portano lontano. E poi dato che voli oltre i 10mila piedi da mediocre pilota quale sono mi permetto di consigliare atterraggio e ti chiedo: mi puoi dire a grado zero come realizzi un tuo lavoro?
Eleonora Manca:
Ogni mia opera, sia video sia fotografica, risponde a un unico progetto che ruota attorno i poli della metamorfosi e della memoria del corpo (parto dalla convinzione che la mente opera secondo acquisizioni e rimozioni e che, invece, il corpo mantenga nelle proprie cellule ogni avvenimento, ogni pensiero, ogni sguardo, ogni parola. E che l’idioma del corpo sia dunque l’inesplicabile linguaggio della memoria). Detto questo, nonostante vi sia questo sub-strato,
ogni mia opera “accade” e accade nel momento in cui sento che non ne posso più di vedermi e mi rendo conto che l’immagine che ho di fronte non è la mia, bensì groviglio di cellule che gridano un «non-sei-te».
Per questo potrei tranquillamente asserire che – benché la mia opera, sia video sia fotografica, abbia come fulcro il corpo, il mio corpo – ogni mio esito artistico è anti Body Art (se assumiamo che essa ponga al centro del processo artistico il corpo nella sua esibizione) e questo perché ciò che nasce dai miei lavori è una (ir)rappresentazione di me assolutamente non autoreferenziale (tanto meno atta al famigerato autoritratto del: «mi fotografo per conoscermi, per vedermi, per salvarmi… eccetera»), ma filtrata dal mezzo che ho utilizzato, dalla luce di quel momento, dalla me di quel momento, dalla post produzione. Banalmente il grado zero possono essere anche disegni, frasi scritte di getto, appunti, prove coreutiche o di semplici movimenti reiterati e frazionati, sogni, ricordi, stralci di diari, immagini che mi hanno attraversata e che – con calma – so che ho la responsabilità di far riemergere allo stato cosciente.
Ivano Sossella usw:
Manca ora mi riscrivi questa risposta in 10 parole. 9 o meno va bene. 11 e l’intervista è finita
Eleonora Manca:
metamorfosi-memoria-non autoreferenziale-immagine filtrata dal mezzo
Ivano Sossella usw:
al di la del tuo recitar-parlando, pratica che, per carità, sfiora il nocciolo delle cose spesso più di un teorema matematico, le foto che vedo, poco dopo la suggestione di evanescenza al plasma, paiono una ode alla pittura. Il mezzo fotografico che presenti ancora quasi fosse la scatola magica capace di contenere (se non di dire) l’ indicibile arriva anche come magic box che porta via dall’immagine fotografica per trasportarci nella pittura. Qui sento l’ equilibrio di una metamorfosi: tentata e ritentata mille e mille volte in arte: far di una immagine altro da sé, ossia pittura. La metamorfosi non si interessa al tuo corpo: certo lo usa e lo esibisce, ma la metamorfosi non riguarda il tuo di corpo ma il corpo del lavoro realizzato. Il tuo corpo come ogni corpo copre solo (nell’ arte come nella vita) il ruolo di pretesto poco convincente. Il corpo del lavoro è invece effettivo, alieno da esibizione di altro da sé. La foto trova metamorfosi nel correre verso la pittura: da centro a centro, Un sottile ponticello tanto solido e certo nella dimensione del lavoro quando inconsistente e evanescente a quel che ne sta fuori: come i nostri occhi ad esempio… L’arte parla del proprio corpo, non del tuo…cosa c’entri tu ?
Eleonora Manca:
Quanto dici rispetto a una certa pittoricità nelle mie foto è assolutamente pertinente (e di fatto provengo dalla pittura). Mi piace molto l’idea, da tu stesso sottolineata, che il “corpo” stesso della metamorfosi sia dunque quello della foto stessa che dialoga con la pittura o con un “qualcosa” che sfora i confini della fotografia stessa. L’ultima domanda, però, mi porta a considerare che tu non abbia speso molto tempo a cercare di capire la mia arte (anche attraverso quello che dico/scrivo; ma per carità lasciamo la matematica ai matematici) o che non ti sia arrivato il messaggio, visto e considerato che, generalmente, mi sgolo (in ogni senso) per sottolineare quanto non parli mai del mio corpo. Ergo, io non c’entro proprio niente. Sono solo un nesso. Un nesso che intende parlare dell’accezione più ampia di corpo. Parto da me al singolare, certo, ma poi finisce subito tutto lì. E tu vedi il corpo in metamorfosi della fotografia stessa, altri vedono altri corpi. Non ho mai saputo, anche involontariamente, regalar(mi) la testimonianza di me e/o del mio corpo.
Ivano Sossella usw:
In effetti cerco di stare in superficie e di non approfondire se non d’ obbligo. Poi, ahimè se leggo Ergo intendo Ego e i messaggi vanno e vengono. Ma per tornare a dove siamo: il corpo, mi comunichi, è un nesso; un catalizzatore dunque, qualcosa che da modo di fare senza esserne il motore. Qualcosa più di un pretesto ma comunque sempre fuori dal corpo-del-testo ossia del lavoro. Sinceramente mi chiedo quando non sia così in arte… L’arte taglia a fette il cosa dal come: cosa dipingi dal come lo dipingi (o fotografi). Sempre così. Sono fotografie, quelle che ho visto, che suggeriscono ambiente e situazioni oniriche dal punto di vista cinematografico e mantengono una ricerca del risultato piacevole. Ponticelli o strizzate d’occhio alla pittura ma anche come detto al cinema alla coreografia: metamorfiche se vuoi in questo.
Temo che lo sturm und drang che tutto sommato suggerisci sia solo atmosfera mentre il cuore del lavoro rivela una fotografia che non riconosce più se stessa e nulla di quel che vi si vede
Eleonora Manca:
Artista e opera sono due faccende ben distinte. Che piaccia o meno l’artista, in quanto umano, ha sempre da fare i conti con l’ansia del comunicare. L’esito artistico no. Sebbene io stessa riesca “a mancarmi” non c’è scampo, né fine, alla pubblica gogna. Tanto vale arrendersi al colpo di grazia, di cui non sono comunque responsabile (anche di quello che ti fa leggere ego al posto di ergo. Peccato tu abbia messo entrambi i termini in maiuscolo…). Ma, mi hai fatto un complimento meraviglioso…asserire che il cuore del mio lavoro riveli una fotografia che non riconosce più se stessa e nulla di quel che si vede è quanto ho sempre pensato che ogni mio lavoro dovesse portare con sé. Il nihil. Nel suo arteficiarsi in altro, nel suo inesauribile (inesauriente) scolare. E…beh…lo Sturm und Drang, per quanto fascinoso, lasciamolo scritto, coi pennarelli colorati, nel diario del liceo (con buona pace di tutti i giovani e meno giovani Werther).
Ivano Sossella usw:
Ti ringrazio cara Eleonora per questo Feat che non è parsimonioso in genuinità: ora posso stamparmi una cartolina.
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