(Lunardi, tra il pubblico) : tu hai detto solo cazzate…. (Carmelo Bene):…ma scusa tu sei un artista…? (Lunardi) :…no (Carmelo Bene):…ma allora… che cazzo ne vuoi sapere. Ma vaffanculo… (Maurizio Costanzo Show, 1994)
Arrivano di tanto in tanto nuove immagini da Marte
Non che siano molto diverse, la musica è sempre quella. E’ evidente che non è abitato, manca vegetazione e la vita, nel suo spettro di differenze, è assente. Non vi sono mari, fiumi, laghi ma deserto e niente. E non v’è arte. Chiaro che non vi sono musei, libri, sale da concerto: meno chiaro, ma in realtà più evidente, che non è la carenza di ossigeno o di molecole appropriate a fare di Marte una palla di fango secco e gelato, ma l’assenza di arte, di poesia.
Il risultato della sottrazione Terra meno Marte è arte: detto forse meglio è la poesia, l’evidenza dell’arte nel pianeta Terra, ad allontanarlo da ogni parentela con Marte. Terra e minerali in entrambi, così come gas e acqua, forse si tirerà via anche una forma di vita da Marte, ma la faccenda non cambia: se sulla Terra non vi fosse arte, se non fosse la poesia la ragione o la non-ragione (è lo stesso) a fare e informare il nostro pianeta, sarebbe tale quale a Marte. Sputato.
Possiamo prendere distanza ora da Marte (ma vi ritorneremo) per fare rotta verso casa, entrare sino in soggiorno per finire di montare, finalmente, i mobili Ikea: anche sedersi sui cartoni non è male, ma perlomeno il divano andrebbe montato, dato che lo si è comprato per quello. In qualche modo anche le istruzioni per il montaggio dei mobili Ikea sono terrestri: sono cosa tipica ed esclusiva del nostro pianeta, difficile trovarle su Marte e non solo perché prenderebbero fuoco ancor prima di toccarne la superficie. Si può provare a forzare questa evidenza immaginando note e indicazioni dell’Ikea scritte in poesia: in questo gioco le si pensi in versi, asciutti, aderenti al nostro vissuto. Le si leggano in una forma che mette in scena proprio la poesia nelle e delle parole.
Perché esiste il dubbio che i mobili rimarrebbero confusi e le parti mai composte, che comprenderemmo ancor meno e che ci si allontanerebbe dall’obiettivo di montare il divano? E’ difficile dare credito al gioco poetico che anima sia la mano che i componenti del mobile? Si pensi ancora ai bugiardini dei medicinali: stessa cosa. Note e istruzioni non esistono certo per i numeri, i paragrafi carini e l’ordine che dovrebbe offrire, in questo caso, alla nostra salute e in qualche modo alla realtà: sono qualcosa di comprensibile, presente, qualcosa che si avvicina ed è reale, perché vincolato e parente all’espressione poetica che sorregge sempre e comunque la parola. E se il testo del bugiardino non è in rima o peggio privo di ogni risonanza poetica, non può comunque prendere poi così distanza dalla poesia: se le parole agiscono, sortiscono un effetto, è sempre e comunque perché non sanno celare il meccanismo, il codice interno che le fa tutte, ma proprio tutte, figlie e sorelle dalla poesia.
Qui, però, occorre prendere una decisione: o tiriamo dritti nella visione che l’Ikea in rima finisca con l’essere funzionale anche al mobile, che le istruzioni tecniche e i libri di anatomia, il teorema di Bernoulli, i manuali di chimica industriale in poesia trovino un percorso anche funzionale all’atto del tecnico, del medico e del chimico, oppure si vira via. Viriamo, diciamo che ce la stiamo raccontando: stiamo cantando la filastrocca del paese dei balocchi, dell’isola che non c’è e altro bla bla. Viriamo, abbandoniamo la rotta convinti che la poesia-Ikea non apra visioni del mondo, del reale ma sia solo un atto visionario. E’ una virata confortante, umidiccia, ma lecita. Io però tiro dritto per la visione non-visionaria.
A questo punto, tanto per poggiare meglio i piedi sul pavimento, conviene osservare con semplicità che volenti o nolenti la nostra conoscenza, evoluta e adulta, ha corso, formato e informato il proprio percorso storico in poesia: in arte.
Tutto il nostro passato è arte, la nostra conoscenza non-poetica, tecnica e tecnicistica del nostro passato è poetica: la lingua scritta ma ancor prima la lingua e la conoscenza orale erano-sono inevitabilmente, biologicamente, poetiche: artistiche. Non avremo alcuna possibilità di comprendere un teorema di fisica e nemmeno una addizione (tanto dimostrabile quanto incomprensibile) se non fosse che proprio il cuore dell’ arte gli dona evidenza e realtà. Con un salto nel folclore del pensiero si potrebbe osservare la naturalezza con la quale incorniciamo e poniamo in quadreria i disegni delle macchine di Leonardo e dei centomila come lui o come il passato più lontano, del quale si è smarrita ogni traccia sul terreno, riesca ad avere ancora efficacia e presenza attraverso la poesia. La descrizione effettiva del mondo e della conoscenza vedica, ad esempio, è una offerta artistica, poesia; come lo è la stella tracciata sulla sabbia dai pitagorici, forti per la poesia che ne mosse le dita e inventò l’ infinito matematico e non.
Ha davvero qualche ragione fare ancora attrito e non lasciarsi invece sorprendere dalla evidenza che nessun monumento alla conoscenza potrebbe reggersi su qualcosa, farsi qualcosa senza l’arte?
Per andare avanti possiamo giocare ancora: al gioco della torre. Cosa butti giù, la convinzione che la mia Audi (*) si muova grazie a un motore o che proprio il fatto che esista l’arte nel mondo gli permette di muoversi e percorrerlo? In un mondo senza arte non ci sarebbero auto, nessun ingranaggio potrebbe ruotare: il momento che permette e concede di superare, di aggirare la sola misura funzionale della ruota nasce dal disegno inutile, impensabile e insensato di un cerchio sulla roccia: risponde a un desiderio artistico pur servendo, in questo caso, le necessità del moto. Dio ha fatto Marte senza arte, senza poesia: deserto e niente.
Facciamocene una ragione: è questione di cultura, di società, di mercato, di storia che si identifichi l’arte grazie ad alcune strategie confortanti: una mostra, un concerto, una raccolta di versi, il mercato e la monetizzazione, il successo e le strategie.
E’ confortante davvero, ma anche piacevole e giusto che si sappia come-dove incontrare l’arte nel nostro pianeta: riconoscerla, seppur un po’ forzatamente, aiuta
Ma non di certo basta. E’ pur vero che la nostra forza si alimenta di illusioni e forse è necessario farsi accompagnare dall’idea che se esiste un quadro deve pur esistere il muro sul quale appenderlo: se esiste il gesto dell’arte, per dirla in altro modo, deve pur esistere la sua messa-in-scena. Togliere un quadro dal muro e polverizzarlo crea danno al muro non al quadro: e in ogni caso se il muro regge e si presenta per quel che è, se ne avvertiamo la natura-di-muro, rintracciamo allora il gesto artistico che ha voluto dare ai sassi la parola del nostro mondo combinandoli: un muro giustamente rispettoso di fisica e meccanica pur nella evidenza poetica del gesto e del pensiero.
Poco importa se non si rintraccia poesia nella cazzuola, nella malta e nel muratore che ha tirato su il muro, se non evochino, proprio loro, la messa-in-scena, dell’ arte. Sul pianeta Terra è possibile la costruzione di un muro perché non è stata la sola esigenza di fare-casa a realizzarlo: è un desiderio artistico, poetico a renderlo possibile e terrestre. Non basta la necessità concreta e contingente di unire due sponde per costruire un ponte: nemmeno solo per pensarlo. Non sono sufficienti calcoli e misure: affondano nel sogno e noi nel fiume.E’ la presenza, l’evidenza dell’arte, con o senza messa-in-scena, con o senza sottolineatura che induce e permette la visione di un arco tra due sponde di un torrente infuriato e degli angoli di una piramide in uno spazio senza forma.
Nell’arte l’evidenza supera la dimostrazione e non esiste gesto, atto e manufatto che non porti a galla, che non sottolinei con l’evidenziatore che è proprio l’arte in questo pianeta a dare realtà e possibilità al gesto, all’atto e al manufatto
Io domani parto: te lo giuro. Vado in una stazione missilistica: ho visto nei film che basta tagliare i fili dell’ allarme e della recinzione. Lo faccio di notte e non mi vede nessuno. La piattaforma è illuminata ma anche talmente grossa che mi arrampico per la rampa e entro nel missile senza troppe storie. Una volta dentro parto e di quello che succede giù non mi importa: raggiunta l’ orbita attorno al pianeta che mi possono poi fare ? Niente, ecco quello che possono fare.
L’aspetto della Terra vista dallo spazio è elementare: il cielo, i mari, le terre, le nuvole. I terrestri hanno messo in scena l’ arte con generosità e anche se non si intende ascoltare il respiro poetico che muove le parole (anche delle istruzioni Ikea), il segno del’ arte (artistico o artistese che sia) è presente in gran pompa sulla Terra. Ogni luogo, oggetto, azione portano in superficie un filo rosso che conduce alla poesia, sia questa rivelata o no nella loro apparenza. Quassù nello spazio, però, la messa-in-scena dell’arte non ci raggiunge: non arrivano l’eco di un verso, la cuspide di un tempio, gli armonici di una viola.
Nemmeno il tracciato di una strada, qui nello spazio ci riguarda: potesse giungere sino a noi la vedremmo disegnata da un gesto incapace di limitarsi al calcolo di curve e pendenze. Quella strada ci porterebbe la visione di un mondo indimostrabile eppur dicibile che ha sostenuto il desiderio di una strada e ha dato ragione ai numeri che la permettono. Al quarto giorno dirigo verso Marte dove Dio ha creato un mondo senza arte, senza poesia. Gli unici versi che incontrano questo pianeta potranno essere quelli che porteremo noi, attraversando con una poesia i paesaggi rossi e desolati fatti di deserto e niente.
Di questi tempi Marte e la Terra sono vicini: a metà strada paralizzo il razzo e mi metto fuori in attività extraveicolare. Seduto sul razzo: da una parte la Terra e dall’altra Marte. Non me ne importa proprio nulla di quel che potrebbe accadere a Marte: devo farne poesia di ogni sasso per potermene avvicinare, devo cantarne la desolazione e la dominanza della monocromia: altrimenti deserto e niente.
Marte potrebbe andare a fottersi in fondo al cosmo e me ne importerebbe zero. Della Terra mi appartiene invece ogni grado di rotazione del suo asse, mi appartiene ancora di più l’evidenza che l’arte, la sua costruzione in poesia, la motiva. Questa adesione alla Terra, qui dallo spazio, non ha nulla di biologico: quassù ti dimentichi di esservi mai stato, dei riti e delle abitudini.
Non è il terrestre che ama il suo pianeta a portare indifferenza a Marte e attenzione alla Terra, ma l’evidenza che è l’arte il tratto reale che ci unisce
La Terra ed io a cavallo di un razzo siamo l’inizio e la fine di un verso, di una pennellata sulla tela. Che sia messa-in-scena, deputata e individuabile, ufficiale e regolamentata o che non lo sia affatto, l’ arte, se non è forse effetto del reale ne è certo sostanza. Che non ci si illuda la si possa costringere in un cassetto della storia, nella strategia di un mercato, nell’espressione di uno stato.
L’arte serve ai terrestri per costruire il mondo e prima ancora per pensarlo, regolamentarlo: ogni comma nasconde una poesia. L’arte aiuta tanto i re a salire sul trono quando la ghigliottina che mozza testa e corona: l’evidenza dell’arte è il pianeta Terra, il mondo che abbiamo il fortuito caso di abitare, la realtà che ci persuade e convince: l’ evidenza e la costruzione del reale è verità poetica. Togli un quadro dal muro, spegni lo stereo e non accade nulla: togli l’arte dal quadro, dal muro, dallo stereo e dalla musica e non rimane nulla.
Togli l’arte dal pianeta Terra, togli la poesia e ti ritrovi su Marte
(*) non ho ancora l’ Audi: ma spero presto.
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