ILARIA FACCI | AUTOSCATTI SBAGLIATI

0 Posted by - December 10, 2013 - Approfondimenti

Da tempo sostengo l’urgente necessità per le arti visive, quanto meno le arti visive ristrette alla provincia milanese, di guardare al mondo della moda e in generale della cosiddetta “creatività” priva della denominazione d’origine controllata dell’arte contemporanea: avrebbero molto da imparare, non solo in termini logistici (come si realizza un evento, come si effettua la comunicazione, come si presenta il prodotto), ma anche e soprattutto in termini stricto sensu estetici.

Le gallerie d’arte – quanto meno, insisto, quelle che operano sul territorio di Milangeles – sono troppo ancorate ai gusti correnti – dei loro collezionisti e non solo.

In fin del conto ad esser chiamati in causa sono un po’ tutti gli operatori del settore, non solo le gallerie (che pure rappresentano la parte più in vista del sistema), ma anche giornalisti, blogghisti/e del cazzo, critici/curatori e critici e curatori, insomma tutti gli ingranaggi intellettuali e operativi del succitato sistema.

Perché, a parte alcuni capitani coraggiosi (primi nomi che mi vengono in mente: Guido Cabib, Massimo Carasi, Annamaria D’Ambrosio, Loris Di FalcoClaudio Composti, Roberto MilaniFederico Rui – ma dovrebbe osare di più, perchè audax vicit -, Carlo Madesani, Giampaolo Abbondio), tutti gli altri protagonisti della giovane arte contemporanea non allargano i propri orizzonti prendendo in seria considerazione (anche) quelle espressioni della creatività a torto escluse dal circuito in quanto giudicate di volta in volta troppo forti, troppo patinate, troppo difficili, troppo facili, e come faccio a venderle?, e blah blah blah?

Ora, Ilaria Facci è un’artista (sì. Perché tu sei ciò che fai) che ha iniziato a fare autoscatti tre mesi fa. Prima d’allora non ha fatto un cazzo. Lavora a Cosmopolitan e quindi d’immagine un po’ s’intende anche lei.

Il risultato del suo giovanissimo operato (giovanissimo non tanto per età anagrafica, anche se è nata nel 1982, quanto piuttosto per età lavorativa) è, a mio modo di vedere, già da ora straordinariamente importante.

Si tratta di immagini che troveremmo forse su quelle riviste schicchissime da venti euro finanziate dalle maison di moda o su quelle realtà editoriali specializzate in musica, moda, arte e dintorni, ma difficilmente in un white cube di Milangeles.

Perché qui, per quanto si faccia i fighi, siamo sempre il cosiddetto paese di santi e navigatori et cetera et cetera.

Le opere di Ilaria Facci, ora come ora, non esistono affatto, nel senso che esistono solo in quanto immagini digitali non (ancora) partorite in forma di stampa, ma secondo me (e non solo secondo me) spaccano. Molto più di alcune fotografie che mi è capitato spesso di vedere in esposizione presso varie gallerie milanesi e non solo.

La presentazione della produzione d’arte di Ilaria Facci è affidata qui, per precisa ed insindacabile volontà mia, ‘chè sono un ducetto, a un altro artista: Christian Zucconi, il quale ha saputo sviscerarne il senso meglio di quanto avessi potuto fare io.

Anche perché ritengo che, in assoluto, i veri critici siano due: il tempo e gli artisti stessi.

Poi perché su KritikaOnline vige l’interdisciplinarietà.

E poi perché su KritikaOnline vige la totale libertà (purché argomentata e aliena da contumelie).

E poi perché mi andava di fare così, per la madonna.

Christian Zucconi a proposito di Ilaria Facci:

Nell’era dei social networks e degli smartphone l’autoscatto è una forma ormai banalizzata dall’abuso. Quante volte abbiamo mandato a quel paese l’autore dell’ennesimo selfie, spesso “arricchito” dall’espressione che Ben Stiller in Zoolander ha reso nota come Blue Steel?

Eppure tra le faccine, le boccucce e le duck faces che infestano la rete sono stato assalito, e in questo caso il vocabolo è quanto mai oculato, da alcuni autoscatti che di banale e scontato non avevano nulla, a partire dal titolo che li presentava: Autoscatti sbagliati.

Immediatamente intuendo che quel titolo fosse ben al di là dall’indicare una qualunque implicazione tecnica, fui obbligato a pensare che in fondo ogni autoscatto è “sbagliato”: nessuno si vede come davvero è; tanto meno esprime se stesso in un’immagine “corretta” – sotto tutti gli aspetti.

Negli autoscatti di Ilaria Facci veramente “il soggetto si sente diventare oggetto”, direi anzi che deve diventarlo. L’impressione immediata è appunto quella di una ricerca tesa a rendere visibile ciò che visibile non è; quasi una pratica magica volta a dare forma a una sorta di persistente orrore interiore – proprio e del mondo. Ho sempre pensato che soltanto vedendo e toccando l’ineffabile possiamo comprenderlo.

Per questo motivo io stesso fin da bambino ho modellato pupazzetti di cera, fantasmi che non facevano più paura dal momento in cui diventavano concreti e tridimensionali.

Questo è il punctum, questo è ciò che nelle immagini di Ilaria da subito mi ha punto, per dirla con Roland Barthes. Nei suoi autoscatti manca del tutto quella forma sottilmente narcisistica e masturbatoria che spesso si accompagna a questa pratica.

La sua macchina fotografica non è uno strumento auto-erotico, bensì autoptico nel senso etimologico di “vista di sé” (dal greco antico autós ‘sé’ e ópsis ‘vista’, ‘apparenza’).

È infatti attraverso non solo al mezzo fotografico, ma propriamente attraverso la macchina fotografica, che Ilaria si scruta per trovarsi, o ri-trovarsi, e comprendersi. Beninteso, qui non si tratta di arte come terapia, ma di vera e propria identificazione della persona (dall’etrusco phersu ‘maschera’) con lo strumento autoptico: Ilaria non è la figura ritratta nelle immagini, è l’obiettivo che la osserva.

1 Comment

  • consuelo March 6, 2014 - 3:10 pm Reply

    L’Arte in Persona.. Ilaria Facci un identità trasparente,nessuna maschera… la bellezza vista con occhi diversi e tante sfumature….

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