ARTICOLO PUBBLICATO SU IL GIORNALE OFF
A parte i big big shows delle superstar Damien Hirst e Francesco Vezzoli, è sempre più difficile accontentare i globetrotters dell’arte contemporanea: c’è sempre qualcosa che non va nei comuni mortali e signora mia ormai si vedono sempre le stesse cose.
Ma fra il tutto e il nulla c’è sempre in mezzo qualcosa e talvolta questo qualcosa è speciale.
Se siete stanchi delle solite mostre blockbusters o solo per veri intenditori, allora andate a vedere Riti di Antonio Biasiucci, una mostra curata, organizzata e comunicata dagli studenti del corso di laurea magistrale in Arti, Patrimoni e Mercati dell’Università IULM in collaborazione con la Triennale di Milano.
Allestita in IULM Open Space, praticamente lo spazio mostre dell’Università, Riti di Antonio Biasiucci è incentrata su una produzione che va dagli anni Ottanta a oggi. Il percorso espositivo, firmato dall’architetto Gianluca Peluffo e commentato da un testo del regista teatrale Antonio Neiwiller letto da Toni Servillo, è dedicato a cinque topoi di Biasiucci contrassegnati dal rito, specificatamente la gestualità ad esso sottesa, creativa e distruttiva.
E’ una specie di teatro delle visioni (ma niente circo nè effetti speciali bru bru), dove la semioscurità permea di un climax ancestrale e vagamente mitopoietico opere rigorosamente in bianco e nero. E, ficcare gli occhi nelle foto per credere, qui il nero è proprio nero, abissale come l’inconscio.
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