IL MONDO INTORNO. UNA CONVERSAZIONE CON FRANKO B

0 Posted by - March 22, 2010 - Interviste

Kritika onpaper # 2 – Milano – 04 | 03 | 2010

Franko B. è una delle figure più discusse e controverse dell’ultimo ventennio artistico internazionale. Autore di un corpus compatto e poetico di numerose performance, immagini e installazioni, l’artista di origine italiana e adozione londinese getta, con le sue opere, un’ombra inquietante e romantica sul mondo che abitiamo, così presente e sfuggente.

Vorrei iniziare parlando un po’del tuo nuovo lavoro, Love in the times of pain

Non è esattamente nuovo, è il risultato di una ricerca iniziata circa tre anni fa. Il titolo deriva dal libro di Gabriel Garcia Marquez L’amore al tempo del colera. I titoli delle opere nascono anche dal contesto in cui vengono realizzate o esposte: qualche tempo fa in Russia chiamai una mostra L’amore al tempo della paura. Nel frattempo stavo lavoravo con questi uccelli imbalsamati e ho deciso di chiamare l’installazione L’amore al tempo del dolore; non tanto perché si tratta di esseri viventi morti ma perché il dolore è il terreno per riflettere sulla condizione del mondo occidentale in preda a politiche guerrafondaie, a continui avvenimenti di sangue…siamo circondati da dolore! Questi uccellini sono installati come se fossero in una foresta; una foresta che però è morta, il risultato di quello che succederà se il mondo deciderà di andare avanti così. Recentemente sono stato molto colpito dalle immagini di Chernobyl oggi: in Inghilterra c’è un’ottima casa editrice, la Trolley Book, che stampa libri necessari su argomenti scottanti di cui non parla mai nessuno. A Chernobyl è nata una nuova vita che non è quella che conoscevamo prima; le radiazioni sono ancora fortissime e non vive in apparenza nulla anche se tra gli alberi morti e nelle città fantasma continua una vita sotterranea: vegetazione spontanea, insetti, roditori…

Questa installazione mi ricorda anche qualcosa come un disastro ecologico, e penso soprattutto alle fuoriuscite di greggio dalle varie petroliere

Si, c’è questa connessione e anche il problema di vivere in un mondo ormai totalmente di plastica, un materiale “eterno”, e non sappiamo esattamente quanto si potrà continuare con questa produzione smisurata. E’ un lavoro che è anche una riflessione sul tempo: cosa resterà dopo la plastica? Cosa succederà agli animali imbalsamati ricoperti di acrilico nero, destinati comunque a deteriorarsi ed allo stesso tempo resi immortali dalla pittura industriale?
Nonostante siano belli gli uccelli imbalsamati sono oggetti tristi, macabri; ho voluto dare loro una nuova bellezza, una nuova estetica per un’altra vita: non sono più solo uccelli imbalsamati ma il corpo di un prodotto artistico.

I tuoi temi sono spesso molto legati tra loro

Un tema va avanti per anni o per un ciclo di diversi lavori e talvolta è contemporaneo ad altri; contemporaneamente a quest’ultima installazione ho iniziato un altro progetto intitolato The Golden Age: ho fatto una mostra dove c’erano una dozzina di quadri neri raffiguranti vecchi e nuovi simboli del capitalismo e colonialismo: lo stemma della Nato, della vecchia Russia, la svastica, la stella di David, le bandiere di Turchia, Stati Uniti, Regno Unito…
Al centro della stanza una giostra per adulti decadente ma dorata: lo spettatore può sedersi sulla giostra e farla girare ma ovunque si guardi sulle pareti vi è sempre in presenza di questo potere che non ci abbandona mai; concentrazione economica, egemonia della Chiesa, appartenenza a gruppi o a ghetti. Tutti questi simboli vivono un’età dell’oro perché la popolazione cresce credendo e affidandosi a queste istituzioni, ad autoritarismi di ogni sorta.

Tornando ai fantasmi, c’è qualcosa nel potente e repentino flash della performance Don’t leave me this way che ricorda un’apparizione che scompare immediatamente di nuovo nel buio

Si, è la maniera del corpo di lasciare una traccia, una memoria, anche se è stato solamente causa della luce e dell’accecamento. C’è il fantasma sì, ma in questo caso è individuale perché ognuno lo vede in maniera differente.
L’idea in questa azione era anche creare un’immagine totalmente fuori controllo, che dipende in tutto e per tutto dal pubblico che decide se volerla vedere o meno, se tenere gli occhi aperti o mettere una mano come protezione o insultarti per lo spavento dell’abbaglio. Inneschi tu stesso il tuo meccanismo. Poi trovo poetica l’idea del “non lasciarmi in questa maniera”, indagare l’idea di un modo giusto per “lasciarsi”. Non so come nascono i titoli; anche Jimmy Sommerville aveva inciso una canzone chiamata così e in Inghilterra, sempre con lo stesso titolo, avevano messo in scena anche un musical sul tema delle morti per Aids: un mio collaboratore mi disse di stare attento a questi rimandi. Ma questi esempi non c’entrano nulla con il mio lavoro. L’idea in questo caso è determinata dall’azione dello spettatore che entra nello spazio e può decidere se guardarti o no, se essere coinvolto o meno dall’azione…poi ti lascia. Che investimento si ha in una relazione di questo genere? Come ci si rapporta all’immagine?

Resta quindi sempre al centro dell’opera un corpo e la sua relazione con l’altro

Si. In questo caso si è giocato molto con l’idea di cosa la gente si aspetti da me…e di negarglielo.

Anche perché era un’azione brevissima, giusto?

Si, e poi vi era una seconda parte in cui lo spettatore veniva accompagnato in una stanza completamente buia e fatto sedere di fronte a me senza ovviamente essere a conoscenza della mia presenza…dopo qualche istante lampeggiava ancora un flash fortissimo e poi, di nuovo al buio, ti venivano a riprendere. Tante persone  non mi hanno nemmeno visto perché prese solamente dallo shock della luce.

La performance è uno dei tuoi mezzi privilegiati

È un mezzo utile per rappresentare delle cose, necessario per me. Mi dà lo spazio mentale per pensare ad altri lavori non avendo la pressione di essere intrappolato nel dover fare qualcos’altro. La performance è importante nel rapporto con lo spettatore, nella dimensione live. Prima di iniziare con le performance in pubblico realizzavo solo fotografie o video perché la pittura non avrebbe raggiunto lo stesso effetto. Il video è stato un primo mezzo di lavoro anche sotto l’influenza del cinema di Pasolini, di Fellini…

Quali film preferisci di Pasolini?

Medea con la Callas e Teorema che trovo assolutamente bellissimo…

Sono d’accordo, è molto evocativo, anche Derek Jarman per il suo Sebastiane si era ispirato a Teorema

Di Derek Jarman trovo interessante Angelic Conversation; preferisco Peter Greenaway come filmaker. Sai, Jarman si è politicizzato in una maniera poco interessante, proprio come regista gay; voleva essere Pasolini ma non ne aveva il tessuto poetico; ti immagini se Pasolini avesse girato Caravaggio? Lui è diventato un santo della comunità gay, nessuno gli toglie il fatto che sia stato un ottimo regista, ma usare il proprio attivismo politico per spingere la propria carriera…questo non è corretto.

Nello scorso Giugno hai partecipato ad una giornata d’arte curata da Ron Athey che si intitolava Vision of Excess. Pensi che l’arte debba sempre contenere in sé una visione dell’eccesso?

Anche. Però non necessariamente. Forse è un po’ conformista quello sto per dire ma sono del parere che la libertà abbia in sé dei doveri da rispettare; se hai del potere devi usarlo bene; se hai responsabilità, se sei in grado di fare quello che vuoi, di realizzare i tuoi sogni devi comunque controllarti: l’eccesso fine a sé stesso usato solo perché ti puoi permettere di farlo non ha senso, l’eccesso va usato in una maniera collettiva, costruttiva. La questione diventa politica proprio perché viviamo in un mondo ipocrita che nega questioni fondamentali: l’importante è non replicare un atteggiamento adolescenziale dell’eccesso, ma averne una consapevolezza responsabile.

Vi è una scadenza di  tutto? Alcune cose restano sottintese man mano che ci evolviamo, altre mutano, altre si abbandonano

Si, ma tutto è necessario…Nella nostra vita c’è sempre qualcosa che ci guida anche se non è perfetta; delle volte il sentimento è giusto però non c’è l’energia adatta, c’è sempre da soppesare le questioni. Non si può essere reazionari tutta la vita, si può solo rispondere a crisi o incidenti.

E al cambiamento del tempo

Si, e bisogna spingere per cambiare, per avere altri riscontri: questo è un altro problema politico, e si veda a riguardo lo status quo che viviamo, in cui deve sempre capitare il peggio prima che si metta un freno alle cose e dove non c’è mai un ricambio degli organismi di potere. L’alternativa, la nuova maniera non va cercata, va creata!

Un parere sull’arte contemporanea

Generalmente non mi interessa: c’è gente che amo, c’è un linguaggio che mi interessa che è una coscienza a volte individuale a volte no…ma ovviamente c’è sempre qualcosa che manca. L’arte non si separa mai dal mondo che viviamo e soprattutto in Europa riflette l’atteggiamento dominante che è televisivo: la musica Pop e l’arte vanno a braccetto: da dove arriva questa problematica? Tutto oggi è diventato abusato, sintetizzato e invece fino a qualche decina d’anni fa c’erano movimenti di liberazione, di lotte che andrebbero ancora combattute…

…e invece manca il terreno per lottare

Si, adesso la gente non ha voglia di lottare e anche gli artisti vogliono essere come attori di Hollywood…Io non credo che la colpa di questa nuova condizione sia da attribuire ad un paio di persone nel mondo; si tratta piuttosto di una nuova coscienza sociale, generalizzata, che si sta imponendo senza divisioni di classi o generi.

Franko B è nato a Milano e vive a Londra dal 1979. La sua produzione artistica comprende video, fotografia, performance, pittura, installazione e scultura. Ha reaizzato una performance alla Tate Modern di Londra ed esposto in diverse città in Europa e nel Mondo (Zagabria, Mexico City, Milano, Amsterdam, Anversa, Copenaghen, Madrid, Vienna, Liverpool e recentementa presso il Palais des Beaux-Arts di Bruxelles e a Crawford. Su di lui sono state realizzate due monografie, Franko B (Black Dog Publishing 1998) e Oh Lover Boy (2001) e il progetto fotografico Still Life (2003).

___________________________________________________________

Matteo Bergamini, FAC FronteArteContemporanea, art critic, indipendent curator, Exibart, Con-fine. E Kritika, of course….

No comments

Leave a reply