La pittura di Denis Bachetti ci esibisce un’astrazione che cerca di riconfigurarsi. I toni del grigio e del celeste hanno una qualità atmosferica. La nuvola ad esempio riconfigura l’astrazione dell’aria. Nei quadri di Bachetti, la linea sembra avvolta o di contro sciolta. Sarà la dialettica fra il galleggiante ed il mulinello, laddove l’astrazione “si peschi” una figurazione. A volte, noi immaginiamo che l’uomo incontri la donna. La carezza si percepisce come “una nuvoletta” sulla corporeità, subentrando la morbidezza del sostegno. In alta montagna il Sole favorirebbe la vitalità al massimo grado. Ciò pare paradossale, conoscendo la durezza del ghiaccio. Ma la neve può avere una sua esplosione, tramite le valanghe. Bachetti ricorre ai toni del grigio e del celeste, da percepire come ghiacciati. Durante la valanga, accade che la neve si srotoli da una vetta “a galleggiante”, se le nubi lambiscono le rocce. Bachetti esibisce una “liquefazione” della carnalità. Il calore dell’incontro fra le vite “si ghiaccerà”, facendo ascendere tutta la materialità del sudore. Alcuni dipinti hanno uno sfondo “mucoso”; altri riconfigurano vene, ossicini, globuli, articolazioni ecc… Apparirà “la nuvoletta” della corporeità, da ghiacciare per infonderle “il ripescaggio” d’una spiritualizzazione. La carnalità, nei dipinti di Bachetti, vivrebbe il “Purgatorio” dell’astrazione che speri di tornare a possedere un corpo. In alta montagna, e sotto l’intensità maggiore dei raggi ultravioletti, il ghiaccio si scioglierà in maniera “effusiva”, paradossalmente come dal caldo vulcano. Bachetti propone una pittura dove la carnalità rotola oltre il suo galleggiamento. E’ la situazione del mucoso, quando la percezione della durezza s’accompagna a quella del bagnabile. Le figure di Bachetti vivrebbero una sorta “d’effusione”, dal “galleggiante” del sudore al “mulinello” del respiro. Sarà la carnalità che si spiritualizza fra le nuvole, ossia simbolicamente nei Cieli. Forse un Sole mediante “l’albeggiare” dei vari corpi (nei loro abbracci), giungerebbe a “germogliare”. Nei dipinti di Bachetti, il nostro sguardo potrà cadere sul punto di fuga giallastro. Sullo sfondo, rimarrà la percezione “aerea” del grigiazzurro. Il Sole, passando dall’alba al tramonto, designa in cielo un “inarcamento” visivo. Tutti gli elementi in grado di risalire avranno qualcosa di divino, nei dipinti di Bachetti? In effetti, noi vediamo gli inarcamenti pure lungo il bordo superiore della tela. Al centro, perdura la sensazione che “l’avvolgimento” del “respiro” fra le linee (complice lo sfondo “atmosferico”) giunga a “germogliare”. I fiori comunque risalgono, mirando al Sole. In quanto virtualmente “infiammati”, quelli s’inarcheranno nella loro devozione. Sarà la trasfigurazione dell’uomo, oltre gli aneliti più “freddi” (della morte). Il mulinello del “germoglio” (quando la vitalità pare solo “a galleggiare”) si percepirà in via quasi solenne. La rotazione è il movimento della perfezione, secondo gli antichi Greci. L’abbraccio fra i corpi umani li farà “galleggiare” nella trascendenza d’una preghiera. Bachetti in via strettamente figurativa cerca la coralità. In una risorgiva, la qualità fluente dell’acqua si fa oscurare materialmente, dal terriccio. Il limbo si percepisce sempre in via larvale. La sua “fluidità” vitale è soltanto elastica, ancorandosi all’esteriorità materiale. Bachetti dipinge un “limbo” della figurazione, fra il respiro della carnalità e “l’ibernazione” del suo spiritualismo. Almeno in certi dipinti, a noi sembra che il tono bruno, dal “terreno” sul lato inferiore, riesca a “zampillare” o perfino ad “innaffiare”. E’ ancora la “nuvoletta” sulla corporeità, che galleggi verso la sua trascendenza. Goethe sognava che la Terra respirasse. In cielo essa avrebbe avuto un’aureola di vapori. La Terra poteva inspirare ed espirare continuamente, come le persone in vita. Per Bachelard, Goethe percepisce nel cielo una vera e propria meteorologia “della bocca”. La Terra che inspiri attirerebbe a sé i vapori, condensati dalle nubi (a monte delle piogge). Sarà il cosiddetto stato “d’affermazione acquosa”. La Terra che invece espiri rinvierebbe in cielo i vapori, assottigliandoli. Così, noi vedremo il Sole o la notte stellata, nel correlato stato di “negazione acquosa”. Nei dipinti di Bachetti, le figure umane proveranno anche ad abbracciarsi, baciarsi, penetrarsi ecc… Esse, sotto “l’affermazione acquosa” del tono grigiazzurro, scioglieranno finalmente “l’ibernazione” dei propri sentimenti. Le linee accerchianti si percepiscono ad inspirare, per “trattenere” al massimo l’unione fra i corpi (per l’abbraccio, il bacio, l’accarezzarsi ecc…). E’ la carnalità che letteralmente “si condensi” della sua spiritualizzazione. L’innaffiamento e pure lo zampillio si percepirebbero oltre il “palpeggio” all’acqua. Qualcosa che nei dipinti di Bachetti può riguardare il “mulinello” dell’anelito vitale, nell’arco del trapasso (dal mondo materiale a quello “celestiale”). Quando l’acquosità pare “addormentata”, placidamente, ogni anima andrà riposando. E’ la situazione ad esempio dei laghi. Bachetti dipinge linee che proveranno a racchiudersi in se stesse, attraverso gli abbracci, i baci, le carezze ecc… Il sentimento amoroso sempre va percepito ad “inabissare” la vitalità, almeno illudendo che il tempo presente non trascorra mai. Nei quadri di Bachetti, le linee dei vari fianchi funzionerebbero a mo’ di “tracolla” per il raccoglimento del respiro esistenziale. C’è il “galleggiante” del carnale, sopra “l’ibernazione” del suo spiritualismo? Ma allora la vitalità abbisognerà d’una “lenza”, perché l’aldilà letteralmente la “ri-peschi”! Sarà anche il simbolismo dell’ispirazione, da ricercare “abbandonandosi” a se stessi. Bachetti dipinge le figure nell’eternità della propria “ebbrezza” (laddove la carnalità permetta paradossalmente una trascendenza). Gli abbracci, i baci, le carezze si condenseranno sul “galleggiante” della vitalità che non voglia smettere di respirare. Nei dipinti di Bachetti, la figura umana a volte avrebbe perduto il sostegno degli organi interni. La carne si distaccherebbe dalle campiture. Bachetti dipingerà una rappresentazione figurativa che “avrà allagato” tutto il “metabolismo” degli abbracci, dei baci, delle carezze ecc… Egli insiste a tracciare una linea che s’inarca dall’alto al basso. Essa, complice la tonalità grigiazzurra, si percepirebbe nel proprio “splash”. Sarà la raffigurazione della lenza che “abbracci, baci od accarezzi” (per respirare la vitalità, anziché pungere mortalmente). Bachetti nel contempo dipinge la carne e gli organi, mediante il tono di quel mare che sostiene se stesso nel suo ondeggiare. Spesso, torna la figura d’un ovale che si schiaccia. La stretta degli organi esterni (il braccio, il seno, il “ditone” ecc…) cerca la simmetria d’incurvamento, con la propria “esondazione” nell’anelito vitale. Ci pare che le ossa abbiano un’elasticità acrobatica. Bachetti potrebbe velare un profilo di ¾, oppure dal sotto in su. Qualcosa che aiuterebbe a percepire tutte le “acrobazie” d’una carnalità che voglia spiritualizzarsi. La figura che posa frontalmente infatti è più stabilizzata in se stessa. Bachetti invece cerca il “sovraccarico” del metabolismo, a tal punto che gli organi interni si confonderebbero con quelli interni. Esteticamente, è l’epidermide abilitata da sola a “pompare” la respirazione del corpo intero (senza alcun nascondimento, una volta “alluvionata” verso di noi, certamente anche per sedurci). Pare che Bachetti conferisca più “maneggevolezza” agli organi, e non solo se interni. Subentrerà il guadagno estetico d’un comfort? La figura dell’ovale si percepisce nella perfezione del cerchio che anche “si riposi”, godendo di se stessa. Baudrillard ricorda che il più rudimentale scalpello non sposava la forma del braccio che lo muoveva, bensì solo la forza di questo (nel suo pragmatismo). Principalmente coi lavori pesanti, la corporeità “s’imponeva” sugli strumenti. Contava solo la gestualità dell’individuo. Qualcosa che oggi si farebbe seguire dai suoi strumenti, grazie alla tecnologia meccanica e digitale. Se creiamo una manopola, ad esempio, è per “sostituire” la mano. La nostra gestualità diventerà tendenzialmente irrilevante. Non c’è un mero utilizzo, bensì un utilizzo con maneggevolezza. Bachetti insiste a raffigurare una sorta di linea “a lenza”, grazie al quale la virtualità d’uno “scalpello” astrattistico permetterebbe all’osservatore di “palpeggiare” il “respiro” delle campiture. E’ una pittura che chiaramente s’impone, e non solo per le dimensioni delle tele. Basta percepire tutta “l’esondazione” dei toni, anche laddove la linea si schiacci nel suo ovale, come se un pouf avesse gli aneliti. Bachetti dunque avrebbe avanzato una “maneggevolezza” dell’astrazione. Pare che i baci, le carezze, gli abbracci della figurazione vadano imponendosi solo dalla propria “silhouette”. Scorgiamo le pose a ¾ oppure dal sotto in su, quando l’astrazione avrà “scalpellato” ogni “ammassamento” sulla mera frontalità. Una silhouette certo è più caricata di fascino. Essa permette un “esondarsi” della corporeità, laddove quest’ultima si veda sinuosa. Bachetti raffigura lo strumento della “lenza”, abilitandolo a spiritualizzarsi nel “mulinello” per la “boccata d’aria”. Così la vitalità sembra imporsi solo paradossalmente, nel vuoto d’un cielo. C’è sempre la “silhouette” d’una respirazione. Bachetti non toglie la carnalità della pelle, ma prova a conferirle una “maneggevolezza”, nel suo astrarsi in via spiritualizzante. E’ lo schiacciarsi degli organi interni (che “risucchiano” la vita) su quelli esterni (che “esondano” la vita), nel loro comfort.
Denis Bachetti | Tutuyat – innocenza della precarietà
Museo Toni Benetton, Mogliano Veneto (TV)
a cura di Paolo Meneghetti
dal 26 Novembre al 7 Dicembre (ogni giorno ad ingresso libero)
Per informazioni sulla mostra: LUCA TORZOLINI; 338-1774824; lucatorzolini@gmail.com
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