Thomas De Quincey sarà stato il primo a tematizzare il rapporto fra arte e crimine, sicuramente l’ultimo – e il suo outing fece parecchio rumore – fu il compositore Karlheinz Stockhausen, quando, con le macerie ancora fumanti dell’eccidio dell’11 settembre 2001, definì la tragedia delle Twin Towers la più grande opera d’arte mai realizzata.
Lui, e lo scrittore Bret Easton Ellis autore dell’eccellentissimo American Psycho – da cui la regista Mary Harron avrebbe poi tratto l’omonimo film – mancano nei riferimenti illustri, sul versante letterario e più generalmente culturale, della mostra Il delitto quasi perfetto di scena al PAC di Milano, ordinata da Cristina Ricupero, curatrice e scrittrice d’arte Paris based il cui nome forse ai più dirà poco ma che in realtà è piuttosto in gamba, sulla falsariga dell’omonima mega-collettiva (quaranta artisti di livello internazionale) da lei stessa curata lo scorso gennaio al Witte de With di Amsterdam.
Grandi nomi, sia sull’uno che sull’altro versante, con la differenza che al PAC si possono vedere anche le opere di Maurizio Cattelan e di Luca Vitone (Monica Bonvicini è invece presente sia in questa che nella mostra olandese).
Nessun lavoro inedito e tutti nomi noti e/o notissimi, il PAC ha vinto facile: ciò non significa che Il delitto quasi perfetto sia una mostra “inutile”, anzi, come accade nella fiere d’arte internazionali, essa dà la possibilità, specialmente ai non-globetrotters dell’arte contemporanea, di fare un incontro ravvicinato con molte opere di eccellentissimi artisti in un colpo solo.
Nulla da dire, dunque, sulla qualità della mostra, né sull’ordinamento in sé. Bella. Bellissima. Il “problema” è il suo concept, un po’ paraculo per la verità: il legame, concettuale appunto, fra alcune di queste espressioni dell’arte visuale e la proteiforme estetica del crimine (quindi letteratura, cinema ovviamente, storia, cronaca e “semplice” mauvais geste) pare in taluni casi forzato.
Le opere scelte di Cattelan, Bonvicini, Vitone, Pettibon, Dan Attoe o Richard Hawkins, ad esempio, sono perfette per questo concept (il bouquet di fazzoletti che Cattelan realizzò per tributare la memoria delle vittime delle stragi di Roma e Milano nell’estate 1993), ma è difficile farle rientrare tutte e quaranta in un contesto, l’estetica del crimine, pur magmatico e proteiforme.
L’impressione è che la suddetta estetica del crimine sia soprattutto un pretesto culturale per convogliare, in una koinè intellettual/artistica, un po’ di illustrissimi maudits.
Questa mostra è un delitto quasi perfetto, appunto.
Mentre una mostra che ha ucciso veramente, per esempio, è stata Crime Scene di Luca Reffo (di cui si può leggere la recensione qui), dove l’assassinio figurava veramente come una delle belle arti .
Tuttavia questo non rappresenta un problema: Il delitto quasi perfetto è una mostra di fine stagione che con siffatto titolo e cotanti nomi attira pubblico come api al miele.
Non siamo ai livelli nazionalpopolari delle mostre degli Impressionisti, ciononostante il PAC la sfangherà anche in questa occasione: con ogni probabilità il numero dei visitatori a fine mostra sarà ragguardevole e il Governatore delle Province avrà un motivo in più per inorgoglirsi.
(Ma vi propongo una bella recensione alternativa: Eloisa Reverie Vezzosi per voi).
Il delitto quasi perfetto
a cura di Cristina Ricupero
PAC Padiglione d’Arte Contemporanea, Milano
www.pacmilano.it
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