L’immagine degli aerei che entrano nelle Twin Towersnon è la più bella opera d’arte del mondo, come asseriscono Karlheinz Stockhausen e Damien Hirst, anche se quest’ultimo ha ritrattato mostrando umilmente i segni della contrizione.
Se fosse la più bella opera d’arte del mondo, gli artisti dovrebbero cambiare mestiere e diventare terroristi a loro volta. Oppure: gli artisti considerano queste immagini come arte perché è nella natura dell’arte e di ogni artista essere terrorista? Seminare terrore nelle quiete stanze sarebbe una loro prerogativa solo in una visione desolatamente borghese dell’arte e del suo rapporto con la società. Una volta, nelle società così dette primitive, questo compito toccava allo sciamano, ed era connesso al passaggio dalla giovane età a quella adulta, prova del quale si dava attraverso la capacità di affrontare l’orrore, misurarne il peso sotto forma di dolore, nel corpo e nello spirito.
Una eco di queste prove arcaiche estreme è rintracciabile anche nell’arte contemporanea: è la durezza, di cui parla Susan Sontag in un saggio sulla fotografia.
L’immagine dell’aereo che penetra nel grattacielo avvolto in una palla di fuoco è un’immagine dura? A me non sembra, altrimenti dovrebbe ispirarci un sacro terrore, cosa che non è. Negli innumerevoli articoli di giornale, nei notiziari televisivi che variamente hanno commentato quei fatti e le immagini relative, una delle parole che con maggiore frequenza ricorreva era la parola “burro”. «Gli aerei entrano negli edifici come se questi fossero di burro», «Affondano nelle possenti strutture d’acciaio come un coltello affonda nel burro». Ora, se c’è una parola in grado di definire le immagini dell’attentato è esattamente la parola “burro”: sono immagini di burro, fatte di burro, immagini senza nessuna consistenza oppure con una consistenza facile a sciogliersi. Come definire questa mancanza di consistenza? Che cosa produce l’inconsistenza di dette immagini? Nel fatto, io credo, che esse si trovano in rapporto di abissale distanza rispetto alla vita di qualunque essere umano sulla terra. Che cosa ho io a che fare con quelle immagini, lei, tu, oppure loro, noi tutti? Niente di niente.
Il processo di progressiva disumanizzazione dell’uomo – vedi L’uomo è antiquato di Günther Anders – che aspira a trasformare se stesso in un macchina pari a quelle che produce, di cui si crede erroneamente padrone ma dalle quali in realtà viene dominato, la volontà più o meno inconsapevole di trasformarsi in un aggregato di dati tecnologici e di equazioni numericamente computabili (è la disincarnazione di cui ho letto anche in Ivan Illich, complici la perversione del messaggio evangelico a opera della Chiesa e più in generale l’istituzione medica nel suo complesso), questo processo non è ancora concluso. Sacche di resistenza sono perciò tuttora possibili e praticabili.
Di fronte all’orrore contrapporre il silenzio, suggeriva lo stesso Illich: vuol dire dare al silenzio valenza e forza comunicativa, l’esatto contrario degli applausi al comparire del feretro sul sagrato; ma non vuol dire tacere sugli orrori.
Non considerare come opera d’arte l’immagine delle Twin Towers in fiamme è una forma di resistenza contro lo strapotere delle immagini, anzitutto, per opporre e sostituire all’interpretazione consolidata, banale, una diversa, intelligente lettura delle stesse.
L’immagine delle Twin Towers colpite dagli aerei, tutta la serie fotogramma per fotogramma che documenta le fasi dell’attacco fino al crollo definitivo, fatta eccezione per le minuscole figure che precipitano nel vuoto come proiettili o quelle dove compaiono sagome di esseri umani che invocano aiuto, sono immagini tutte tragicamente stupide, parlano lo stesso banale omicida linguaggio su cui altri hanno puntato il dito a proposito della ferocia nazista, prima, o dell’idiozia nei comunicati delle Brigate Rosse, poi, da Hannah Arendt a Leonardo Sciascia.
Aldo Runfola nasce a Palermo nel 1950. E’ un artista e vive a Berlino. Ha studiato filosofia all’Università Statale di Milano e si definisce un umanista in prestito alle arti visive. Lavora con media diversi, video fotografia testi ricami, esposti in varie personali e collettive a partire dal 1984. Affascinato e in eguale misura sospettoso tanto delle parole che delle immagini, ha girato un video dove avanza l’ipotesi che l’arte sia una costruzione teoretica. Gli piace leggere, scrivere e sciare quando nevica.
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