ARTICOLO PUBBLICATO SU IL GIORNALE OFF
La fotografia cosiddetta commerciale (leggi: fotografia di moda) è quasi sempre noiosa e infatti il suo fine non è quello di stupirci, altrimenti vedremmo un sacco di mostre di John French. Ma gli scatti di Giulia Gasparini rappresentano un’inaspettata eccezione perché, pur restando nell’alveo della fotografia informativa, debordano senza ritegno nella fotografia d’arte.
Inutile cercare informazioni su di lei: in un noto sito web di arte contemporanea, nella sua pagina alla voce “Biografia”, leggiamo: “La bellezza è negli occhi di chi guarda”. Stop. Così, secco. In un altro sito dedicato all’immagine, fra i più famosi dell’universo, il capitolo “Professione” è così completato: “hard worker”. Bon, non è una posa, come potrebbe sembrare a chi, come me, ne ha visti e ne vede, di artisti autoproclamatisi tali che tutti sudati sgomitano lungo la main street con frasi e comportamenti a effetto: se fossi un operatore di borsa scafato direi di tener d’occhio il titolo Giulia Gasparini, perché promette notevoli margini di profitto.
Ventisei anni, autodidatta come i migliori (Jimi Hendrix, are you experienced?), Giulia Gasparini vive e lavora fra l’operosa Lombardia e la città che non dorme mai, New York: non ancora N. Y. based, ma ancora per poco, opera fra moda e fotografia con un taglio di lettura molto, molto personale e, soprattutto (‘chè sennò tutti i fotografi di moda sarebbero artisti: fare arte è hard work, appunto), evocativo, simbolico, malato, polisemico, unico come solo un lavoro d’arte può esserlo nell’era della riproducibilità blah blah blah.
Certo, la produzione di Gasparini è piantata a terra e non potrebbe essere diversamente, dal momento che la committenza vien da lì e quindi la sua fotografia ha da essere fotografia informativa, eppure non poche delle sue serie si prestano a quel sistema di lettura che il frivolo Umberto Eco definiva “double code”, cioè il doppio codice di lettura di un’opera: uno essoterico, visibile a tutti, l’altro esoterico, nascosto, una strizzatina d’occhio a chi sa. Inutile aggiungere che, a parere di chi scrive, il lato esoterico di Giulia Gasparini è quello d’arte.
E’un discorso di luci e ombre e di tecnica as usual, ma non c’è solo questo nei suoi scatti, c’è sempre anche e soprattutto quel “qualcosa” in più che trascende il carattere meramente descrittivo dell’immagine, facendola balzare nell’orbita dello fotografia d’arte.
Prendete le serie come Darkdron for Highsnobiety, Marianne Mirage, Aries e gli scatti dedicati a N. Y. city: il “qualcosa” di cui sopra possono essere le ombre, le messinscena, gli interventi crudeli e le trasfigurazioni di un volto e tutti quegli “accenti” che non ci fanno restare più o meno impassibili come quando siamo davanti al risultato laccatissimo di una shooting di moda e nonsolomoda, ma che ci scuotono, ci colpiscono e ci appaiono come irresistibili, onirici, spiazzanti, ironici, misteriosi e a tratti pure incomprensibili, proiettando l’hard worker Giulia Gasparini in un contesto molto superiore alla solita roba che si vede in giro. Tenetela d’occhio, io l’aspetto fuori.
KRITIKA legge ilGiornaleOFF
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